MESE DI MARZO

MESE DI MARZO

Questa rubrica trae spunto dalla descrizione di quelle “santità” che hanno avuto una particolare venerazione in Brianza. La loro ricorrenza, oltre ad una valenza religiosa, aveva un differente, se non ancora più importante valore nello scandire lo scorrere quotidiano della vita dei contadini, calendarizzando quelle attività che segnavano l’annata dei lavori della terra. Un connubio portatore altresì, di una fioritura di proverbi altrettanto pregni di cultura contadina, sia intesa come “saper fare”, ma sopratutto come solidità morale nell’attribuire un valore concreto agli accadimenti della vita.

Usanze, Santi, tradizioni

Abbiamo, come sempre fatto riferimento ai testi di Sandro Motta e Flavio Ronzoni per instradarci sulle peculiarità che il mese di marzo aveva nella Brianza contadina a cui questa rubrica è dedicata. Ci rendiamo conto che in questo mese le ricorrenze  legate al calendario religioso, risultano abbastanza marginali se riferite al territorio che indaghiamo. Se si esclude la Pasqua, ricordando che tale festività si è celebrata nel mese di marzo, nel lasso di tempo dal 1950 ad oggi per 16 volte, la prossima sarà nel 2024, dunque non è il caso di quest’anno, che vedrà la festa il 12 aprile, rimane la ricorrenza di San Giuseppe (19), a cui aggiungiamo San Benedetto (21) e l’Annunciazione (25).

La potatura delle viti, tra i lavori agricoli del mese

Per bocca del Motta associamo altri due santi, attraverso i proverbi che scandivano alcune scadenze dei lavori nei campi

A San Custantin (11) mola (affila) ul scighezzin”. “A San Patrizi (17), o giuvinott, vanga in spala e fà giudizi”.

Uno spazio lo dedichiamo a Santa Perpetua (7) per un omaggio a Manzoni, più che alla santa.

Restando nell’ambito dei lavori agricoli nei campi si procedeva a potare le viti. Nello stesso periodo si approntavano i campi destinati alla piantagione di granoturco, il letame veniva sparso e in seguito si procedeva con l’aratura.

 

Se nel mese di marzo non cadeva la Pasqua, lo stesso mese risultava, magari solo parzialmente, comunque “quaresimale”.

La religione a quei tempi aveva senz’altro un peso e ruolo rilevante  nella vita dei contadini e non solo formalmente le indicazioni della Chiesa erano tenuta in conto. Dunque il periodo della quaresima veniva vissuto aggiungendo alla vita, non certamente agiata del tempo, altre privazioni, sia materiali ma anche di ordine morale. L’astinenza era vivamente consigliata per lo meno nei venerdì che cadevano nei quaranta giorni di quaresima. Ieri come oggi c’era chi rispettava le regole e chi se ne faceva beffa.

Foto di Luca Fantoni: “aratura”

Il mese di marzo è sopratutto all’insegna dell’incertezza meteorologica. E’ un fiorire di proverbi: “matt cumé un cavall” riferito al tempo del mese (pazzerellone). Ancora “Marz, marzoca, fioe d’una listroca, un dì el pioev e un dì el tira vent, un dì el fioca e un dì el fa bell temp” sempre Sandro Motta propone: “O marz del lela, se gh’é ul suu, derva l’umbrela”.

Altri proverbi, che abbiamo già incontrato, nello scorrere del mese di gennaio ricordano che la buona riuscita dei raccolti, in questo caso segale, frumento e cipolle, saranno assicurati se il mese di marzo sarà asciutto (“pulverent”). Immediatamente si guarda al mese successivo in cui la pioggia per i raccolti sarà “manna”:“Marz succ, april bagnaa, l’é sciur ul vilan che l’ha sumenaa”. Di contro l’allerta era subito lanciato:  “Ul gel marzulin el fà piang ul cuntadin”.

I primi tepori possono invogliare a sdraiarsi sull’erba che sta spuntando, anche se bisogna essere guardinghi: “A marz se te gh’heet minga i scarp, va a pee biott; ma se te ghi heet, tegni amò un po”’. Un modo di dire che oggi potrebbe apparire solo metaforico, ma ricorda ancora come negli anni appena finita la guerra, era un lusso avere un paio di scarpe e andavano conservate il più a lungo possibile, tanto che appena il tempo lo permetteva, si calzavano gli zoccoli o meglio ancora a “pee biott” (piedi nudi).

Le problematiche legate all’igiene e a quello personale in particolare, che risultava sempre assai precario erano alquanto sentiti. L’attenzione si indirizzava verso le pulci e succedanei ed ecco pronto il proverbio: “Marz marzott, a mazzà un pùles se ne mazza vott”. “A mazzà i marziroe, se mazza mamm, pà e fioe”.

Il prossimo inizio della primavera, nel risveglio auspicato della natura, aggiunge una connotazione naturalistica al mese in corso.

Foto di Luca Fantoni

E’ dunque un fiorire rigoglioso di essenze, ne parleremo diffusamente nella scadenza di San Giuseppe, ora riportiamo quanto propone il Ronzoni a proposito della primula: “Un altro fiore tipico del mese di marzo era la primula, che fin dall’inizio del mese riempie i boschi e le rive delle colline annunciando l’arrivo della primavera; il suo nome botanico, d’altra parte, Primula veris, significa appunto “la prima della primavera”. Simbolo di giovinezza, ma anche di salute e di salvezza, per le numerose proprietà curative della pianta, la primula nel dialetto delle colline della Brianza aveva un nome piuttosto particolare, ”petòn del luf”, cioè “peto del lupo”. Anche questa denominazione, che sembrerebbe così poco adatta al grazioso fiorellino, si collegava ad un racconto popolare che aveva come protagonista San Biagio, protettore della gola ma anche grande amico degli animali e delle bestie selvatiche, che accorrevano alla sua grotta per farsi curare. Un giorno, dopo aver curato nel bosco un ferocissimo lupo che infestava la Brianza, San Biagio smarrì la strada, che però riuscì a ritrovare grazie al lupo, che, direttosi verso la grotta del santo per ringraziarlo, aveva lasciato dietro di sé una scia di fiorellini gialli, miracolosamente spuntati ad ogni passo, anzi, ad ogni peto, del lupo.”

In un disegno di Alessandro Greppi del 1857: “La fiera”

Leggendo ancora, quanto esposto dal Motta e ripreso dal Ronzoni, il mese di marzo è indicato per “l’inizio del ciclo delle Fiere primaverili di Bestiame e Merci della Brianza. Da noi queste manifestazioni venivano organizzate in concomitanza con le feste di celebri Santuari o Chiese, dedicati ai Santi o alla Madonna.”  

Il Ronzoni aggiunge: “…occasioni di svago, ma le fiere primaverili erano frequentate soprattutto perché vi si potevano acquistare animali da stalla e da cortile, attrezzi agricoli, sementi e piantine da trapiantare”.

Cosa oggi rimanga di queste tradizioni, risulta non semplice da individuare. Così possiamo citare Monza, per la ricorrenza dell’Annunciazione, la Fiera nei pressi del Santuario delle Grazie. Racconteremo sempre per la stessa occasione la Madonna del Drighet di Usmate, che pur riconducendo alla rappresentazione dell’annunciazione, è ricordata alla fine di aprile con una processione. Dobbiamo limitarci a queste, anche se strada facendo potremmo imbatterci in altre occasioni, che non mancheremo di proporre.


I santi di marzo

In occasione delle varie ricorrenze, sarà pubblicato il relativo contenuto