Luigi Trécourt, pittore di Casa Giulini
Autore del ciclo pittorico dell’Oratorio San Felice
Le tappe della scoperta
Nuova luce sull’autore del ciclo pittorico, ormai illeggibile, dell’oratorio dedicato a San Felice, mausoleo della famiglia Giulini della Porta.
Nel volume “La Cappella Giulini della Porta a Usmate Velate Oratorio San Felice”, del 2015, si era ipotizzato che l’autore delle pitture della cappella fosse Giovanni Valtorta. Rifacendosi alla Visita Pastorale del 1907, in cui si riferiva che i dipinti fossero opera del Valtorti, l’autrice del libro nell’affermare: “Che non si ha notizia di alcun Valtorti frescante…”, fu propensa ad attribuire le pitture a Giovanni Valtorta, attivo in Lombardia e il cui “levigato neoclassicismo”, poteva sposarsi con i resti presenti nell’oratorio. Ora, complice quella casualità che segna le cose della vita, nella lettura della successione dei beni della Contessa Anna Giulini Casati, morta il 10 febbraio 1883, ho incontrato la figura del pittore Luigi Trécourt. Anna Giulini lasciava al figlio Agostino “la posata liscia d’argento, il mobiglio della camera da letto, la statua del Magni e due quadri del Trécourt”.
La curiosità di conoscere qualcosa in più sul Trécourt è stata premiata. Poco più di due anni fa, una casa d’asta milanese aveva battuto due opere di Luigi Trécourt, molto probabilmente erano i due ritratti indicati da Anna Giulini.
I due dipinti erano stati realizzati nel 1865 da Trecourt e regalati alla nipote di Beatrice Giulini, Bice di 10 anni, che viveva con la nonna dopo la morte del padre Cesare Giulini.
Marica Forni nel volume dedicato a Giuseppe Pollack riferisce nell’inventario “post mortem” di Beatrice Giulini, redatto nel 1871, la presenza al primo piano del Palazzo Belgiojoso a Velate, di una stanza destinata al pittore Luigi Trécourt. Dallo stesso inventario si ha la conferma che nella sala, al primo piano del palazzo, tra i diversi dipinti c’erano i ritratti che abbiamo illustrato, di Beatrice Giulini e uno del marito Giorgio Giulini. Lo stesso pittore risultava domiciliato a Milano nel palazzo in Via Giulini 3, dove aveva abitava la Contessa Beatrice sino alla morte.
Beatrice Giulini aveva ricordato nel suo testamento il pittore: “Lascio al sig. Luigi Trécourt lire 4400 per una sol volta… da pagarsi entro tre anni… corrispondendogli frattanto gli interessi del 4 ½ % all’anno”.
Tanta generosità richiedeva una spiegazione che ancora non arrivava.
Passo importante è stato ricostruire il percorso artistico del pittore, risalendo alla sua formazione, compiuta all’Accademia Carrara di Bergamo, quando presidente della stessa era Giovanni Battista Camozzi. Al matrimonio, tra Giovanni Battista e Giovanna, figlia di Giorgio e Beatrice Giulini, è da ricondurre la frequentazione del pittore con i Giulini.
La svolta nella dettagliata commemorazione apparsa su “Bergamo Notizie Patrie per l’anno 1891”, con cui abbiamo potuto attribuire la paternità del ciclo pittorico dell’Oratorio San Felice a Trecourt. L’estensore dell’articolo, Pasino Locatelli, scriveva: “L’ultimo a fresco lo fece nella cappella del cimitero di Costa di Mezzate. Rappresenta una tumulazione di Cristo; è una ripetizione dello stesso soggetto eseguito nella Cappella mortuaria Giulini a Velate, dallo stesso Trécourt tutta dipinta a fresco”.
La ricostruzione del ciclo pittorico della Cappella San Felice
Importante, per la ricostruzione dei dipinti che ornavano la Cappella, oltre alla fotografia di Gianni Magni che risale al 1982, e ai frammenti ancora oggi individuabili, risulta essere la Visita Pastorale del 1856, ad opera del Cardinale Romilli. Ricordiamo che l’edificio religioso, in quell’occasione risultava intitolato alla B.V.M. Immacolata.
Questa la descrizione: “Nella parte superiore si trovano delle immagini decorate che raffigurano il Redentore; ai quattro lati si trovano i simboli degli Evangelisti, sopra la porta interna è dipinta la visione di Ezechiele, un campo disseminato di ossa di morti tornati in vita.”
Di seguito la fotografia scattata nel 1982, che illustra la Resurrezione, dipinto che occupava buona parte della volta della cupola.
Il dipinto, ancora esistente nel cimitero di Costa di Mezzate, che risulta essere la copia di quanto Luigi Trécourt, aveva affrescato nell’Oratorio di Velate e che probabilmente faceva parte di quelle “immagini che raffigurano il Redentore”, presenti sulla cupola.
Grazie a quanto è ancora visibile nel medaglione a sinistra dell’ingresso (simbolo dell’Evangelista Luca, il toro), possiamo ricostruire, alla luce delle Sacre Scritture, le posizioni in cui erano raffigurati i simboli degli altri Evangelisti, sulla volta della cappella.
Andando ora alla pittura collocata sopra il portale d’ingresso si coglie il braccio e il viso di Ezechiele che invita i morti a ritornare in vita, secondo l’ordine ricevuto da Dio.
Effettivamente la profezia racconta che il Signore portò Ezechiele in una pianura piena di ossa e tutte inaridite. Il Signore invitò il profeta a rivolgersi alle ossa e annunciare alle stesse che Dio avrebbe fatto entrare in loro lo spirito ridandogli vita. Questo le parole del profeta: ”…sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai, ed ecco apparire sopra di esse i nervi; la carne cresceva e la pelle le ricopriva…”
Siamo al tempo dell’esilio babilonese degli ebrei, Ezechiele è tra i deportati e intende infondere al popolo fiducia per un ritorno in patria, simboleggiato dalla resurrezione dei morti voluta da Dio. Più estesamente questa rappresentazione rimanda anche alla resurrezione finale, dopo il Giudizio Universale.
Il resto del dipinto, andato perduto, illustrava, come riproposto sotto, in un’incisione del Cinquecento, “La profezia di Ezechiele” con le ossa che si ricompongono e si ricoprono di carne per ritornare a vivere.
Biografia e inquadramento artistico di Luigi Trécourt
Luigi Trécourt nasce a Bergamo nel 1808. Il padre Andrea Trécourt, francese, addetto all’esercito napoleonico si stabilì a Bergamo, sposandosi con Caterina Fantina. Nonostante la famiglia, numerosa, quattro maschi e due femmine e la non brillante situazione economica, nel 1821 Luigi Trecourt si iscrive all’Accademia Carrara di Bergamo, come i fratelli Giacomo e Francesco
Frequenta l’Accademia nel periodo in cui Giovanni Battista Camozzi è il presidente, da qui la frequentazione con i Camozzi che poi s’imparenteranno con i Giulini. E’ allievo del neoclassicista Giuseppe Diotti, che l’accoglierà nel suo studio come aiutante. Luigi Trecourt, nel 1826 viene premiato con una medaglia d’argento per la copia di un dorso di Laocoonte.
Nel periodo tra il 1830 e il 1834 è attivo nella veste di “aiuto” con il suo maestro Diotti, nell’eseguire quattro affreschi nel presbiterio del Duomo di Cremona. Tra questi quella “Parabola dei Fanciulli” (Sinite parvolus), di cui eseguirà una copia presentata poi all’Esposizione di Brera nel 1835.
Ancora nel 1835 partecipa all‘Esposizione delle Belle Arti all’Accademia Carrara con diversi dipinti. Tra tutti si segnala: “…Quello da lui eseguito per commissione del sig. Zaccaria Ganzoni ci parve superiore agli altri per bella mossa della testa per vaghezza dell’insieme e per certo amore di finito”. Sempre nel 1835 partecipa all’Esposizione dell’Accademia di belle arti di Brera nel 1835 con “La parabola dei fanciulli”, e nel 1837 con “La maledizione di Cam”.
Nel biennio 1836-37 al seguito del Diotti, con altri allievi della stessa scuola bergamansca, tra cui Giacomo fratello di Luigi, lavora alla decorazione della Parrocchiale di Rudiano nel bresciano. Di Luigi Trécourt l’affresco “L’adorazione dei pastori”.
Poi tra il 1840 e il 1842, quale stretto collaboratore, ancora del Diotti (autore di alcuni cartoni degli affreschi poi realizzati dal Trécourt), opera sotto la sua direzione, nel duomo di Chiari, dove nel 1842 Trécourt realizzerà due dipinti in completa autonomia.
Nel 1842 con l’apertura della Civica Scuola di Pittura, a Pavia, dove il fratello Giacomo assume l’incarico di direttore, Luigi Trécourt è nominato “maestro di pittura”.
Una nuova stagione pittorica, (metà anni ‘40) che vede la scuola bergamasca, non più al centro delle importanti commesse nell’ambito di primari edifici religiosi, orienta il Trécourt verso lavori in ambito locale e dove sostenuto dalla cerchia delle due famiglie Camozzi e Giulini, legate all’artista da vincoli di amicizia.
Nel 1844 dipinge per la Chiesa del Carrobiolo a Monza “L’incoronazione della Vergine”, nella volta del coro.
L’amico intimo, Gabriele Camozzi, che aveva studiato presso i Barnabiti a Monza, forse fu il tramite per l’incarico
Nel 1846 nella Chiesa di Costa di Mezzate, paese in cui risiedevano i Camozzi, dipinge l’affresco “San Giorgio uccide il drago”. Molto particolare la rappresentazione dei soggetti raffigurati.
Nel 1851 Luigi Trécourt, realizzerà l’affresco “Sant’Anna in gloria”, nella Chiesa dedicata alla santa a Bergamo, dove la moglie di Giovanni Battista Camozzi, Giovanna Giulini si prodiga come “benefattrice” nell’abbellire la chiesa.
Tra il 1844 e il 1850 realizza diversi affreschi, nella Parrocchiale di Nese in territorio di Alzano Lombardo che illustrano le “Storie di San Giorgio”. Sempre nella Bergamasca suoi affreschi in diverse chiese, tra cui Ranica e Levate.
Luigi Trécourt: La ritrattistica, ...il suo vero talento
Questo dipinto, forse il suo capolavoro, è conservato ai Musei Civici di Pavia. Si tratta del ritratto di due giovani donne intente nella lettura di una missiva da cui devono aver ricevuto una notizia inaspettata. Nella figura della donna in piedi ritroviamo una dolcezza di modellato e una ricerca espressiva d’impronta romantica caratteristico dei ritratti a noi noti del pittore
Trécourt si affaccia sulla scena artistica quando negli ambienti culturali milanesi è acceso il dibattito sul Romanticismo: tendenza intensa e vivissima di nuovi valori civili. Ma egli rimane legato alla propria origine formativa.
Nei quadri che ho visto si nota una chiara influenza di David, il grande neoclassicista francese; ed altre citazioni provenienti dalla Maniera secentesca.
I suoi dipinti su muro, si rivelano di qualità non eccelsa. Gli impianti compositivi sono modesti; il ritmo scenico è lento, e le figure sono statiche; c’è poco dinamismo gestuale; per questo c’è poco racconto, ma presenze senza storia.
Ben diverso è il discorso sui ritratti. Qui si manifesta il vero talento e la chiara personalità dell’artista Trécourt. I suoi ritratti non sono epici come si usava a quel tempo. E anche al contrario dell’Hayez, che nei ritratti costruiva un’intera categoria d’individui come modelli della storia; lui realizza un tipo di ritratto che possiamo definire intimo, personale, quasi confidenziale.
Sono ritratti perlopiù di personaggi della borghesia lombarda, ma anche delle classi medie che si stavano affermando.
Trécourt ha studiato i grandi maestri del Rinascimento, specialmente Raffaello, quello delle stanze, ma anche i ritratti; però dai suoi personaggi non traspare alcuna supponenza di casta.
Gli sfondi dei quadri sono sempre neutri; niente paesaggi, quinte, tende e altri orpelli che potessero distrarre dalla visione dei personaggi. Questi si stagliano nitidi in primo piano solo con la propria eloquenza visiva.
Gino Casiraghi
Il quadro “Bambino con ciambella e cane” é un ritratto da segnalare; ma lo sguardo è bene indirizzarlo sulla mela avariata a fianco del bambino: un piccolo capolavoro, di chiara influenza caravaggesca.
Luigi Trécourt muore a Costa di Mezzate il 4 aprile 1890, nell’abitazione della famiglia Camozzi-Vertova, dove lo legavano vincoli di amicizia di lunghissima data:
Dal necrologio apparso sulla “Gazzetta Provinciale di Bergamo”, proponiamo alcuni passaggi: “Volere è potere sarebbe l’epigrafe da inscrivere sulla tomba di Luigi Trécourt. Imperocché anche per lui tutta l’esistenza è prova evidentissima come nel più dei casi non soglia fallire un esito condegno agli sforzi perduranti di chi sappia fortemente volere contro gli ostacoli molteplici e multiformi della vita”… “cortesi, d’animo nobile e generoso, ottimo cittadino, Luigi Trécour seppe cattivarsi durevolmente l’affetto di chi lo avvicinava tanto che – sebbene abbia raggiunto la tarda età di 82 anni – questo tuttavia non scemò nell’animo degli amici e dei conoscenti il dolore per la sua perdita.
Alla illustre famiglia dei conti Camozzi-Vertova, verso la quale il Trécourt ebbe l’onore di serbare rapporti inalterati della più intima ed affettuosa amicizia per ben mezzo, secolo, noi inviamo più specialmente le attenzioni della nostra viva condoglianza, chiedendole venia del poco che abbiamo saputo scrivere in memoria del caro amico, ad onore del compianto artista”,
Aspetti, località e storia della Brianza. "Ci sono paesaggi, siano essi città, luoghi deserti, paesaggi montani, o tratti costieri, che reclamano a gran voce una storia. Essi evocano le loro storie, si se le creano". Ecco che, come diceva Sebastiano Vassalli: "E’ una traccia che gli uomini, non tutti, si lasciano dietro, come le lumache si lasciano la bava, e che è il loro segno più tenace e incancellabile. Una traccia di parole, cioè di niente".