Arcore: Riaffiorano vestigia dell’antica Roma

Arcore: Riaffiorano vestigia dell’antica Roma

di Paolo Cazzaniga

I lavori per realizzare la famigerata “Pedemontana”, ormai da mesi sotto gli occhi di tutti, nel loro avanzare hanno messo in luce alcune emergenze archeologiche, che sembrano risalire all’epoca dell’antica Roma.

La zona oggetto degli scavi con alcuni archeologi al lavoro

 

Nell’attesa che si possano conoscere i dettagli della campagna di sondaggio in corso da alcune settimane, cercheremo di fornire, quanto finora si conosce e si è ipotizzato, sulle tracce lasciate nel nostro territorio dall’epoca romana. 

Scavi archeologici a Bernate

Iniziamo col dire del luogo in cui sono venuti alla luce gli antichi reperti archeologici. Ci troviamo a Bernate e più precisamente al termine di via San Giacomo.

La zona interessata dagli scavi archeologici e la posizione in cui era collocato lo scomparso oratorio di San Giacomo

 

Questa viabilità che oggi risulta defilata, in passato aveva una sua importanza. 

Non dimentichiamo la collocazione sulla stessa via di quell’Oratorio dedicato a San Giacomo, (vedi articolo) ancora illustrato sulle mappe del Settecento, posizionato, non casualmente in aperta campagna, come sarà indicato fino alla sua scomparsa, (oratorio campestre) ma collocato, in origine, su una viabilità non certo secondaria.

Viabilità Romana: Via Speluca o Via Aurea

Vediamo ora quale era il tessuto viario delle nostre zone in epoca romana. 

Importanza primaria per la via dello “Spluga”, “Speluca” in latino, conosciuta anche come ”via Aurea” da quel “Cunus Aureus”, con cui i romani indicavano il passo dello Spluga.

La via univa Milano con Lindau, sul lago di Costanza in Svizzera. La strada, nel suo tracciato, dopo Arcore (Arculae) toccava Usmate (Uximatum),  per dirigersi verso Lomagna (Lomagna), superato l’Adda a Olginate puntava verso Lecco, attraversando la Valsassina raggiungeva Chiavenna, quindi Madesimo e saliva poi verso lo Spluga. Dopo i lavori d’ampliamento, voluti dall’imperatore Augusto, la via fu chiamata “Drusilla Augusta” in onore di Livia Drusilla, terza moglie dell’imperatore. Non è da escludere, vista la sua conformazione rettilinea e posizione, che via San Giacomo, in epoca romana, fosse un tratto della “Via Speluca”.

Una ricostruzione della viabilità romana nel nostro territorio, si evidenzia la “Strada dello Spluga”. Nella mappa sono evidenziati i tracciati della "centuriazione romana", ancora oggi identificabili.

Le pietre miliari di Arcore

Nell’area dove poi si è sviluppato Arcore erano poste due pietre miliari (un miglio presso gli antichi romani equivaleva a mille passi, all’incirca metri 1480): la prima, che contrassegnava una stazione di posta (?), si trovava all’altezza del luogo dove all’inizio del Novecento fu costruita la Cascina Sentierone, (XIII miliario) l’altra era collocata probabilmente dove poi sorse il convento benedettino di Sant’Apollinare (XIV miliario).

Cosa possiamo ipotizzare sugli scavi in corso

Dalle frammentarie informazioni raccolte si ha notizia che nell’area  indagata, ci fosse un insediamento rurale, ancora da definire la portata, sia in termini di dimensioni che di evenienze archeologiche di qualche interesse, oltre ai tracciati murari che sembrano fin qua emergere.

Alcuni tratti della base dei muri, emersi dagli scavi.

Iscrizione romana a Giulia Drusilla

Il ritrovamento di questo insediamento romano, rimanda ad un sintetico, ma interessante lavoro di Giacomo Contratto, storico dell’evo antico e del medioevo, che nelle considerazioni relative alla famosa lapide, rinvenuta verso la metà del Settecento da Giorgio Giulini, ad Arcore ed oggi conservata presso il Museo Archeologico di Milano, pone la sua attenzione su un particolare che oggi ci torna molto utile.

La lastra di marmo con l'iscrizione a Giulia Drusilla

 

Nella descrizione della dedica, soffermandosi sull’ultima riga scrive: “è occupata da due lettere, una delle quali andata perduta: si tratta dell’abbreviazione epigrafica dell’espressione burocratica decreto decurionum, attestante l’attività dell’ordo decurionum, ovvero quei funzionari che avevano il compito di amministrare colonie e municipia per conto del potere centrale. 
Poiché, come appena accennato, i decurioni disponevano del controllo politico, fiscale e militare di comunità e agglomerati cittadini, è plausibile supporre la presenza nell’area di un insediamento romano già sufficientemente sviluppato da commissionare un’opera raffinata come l’epigrafe di Sant’Apollinare nel I secolo d.C..

Poco oltre considerando l’area ora occupata da Arcore:“… si snodava la cosiddetta Via Speluca o Via Aurea… Attorno queste importanti arterie era comune che sbocciassero infrastrutture di varia natura come mutationes, mansiones e vici”

Quindi parlando giusto di Bernate: “…la curiosa nomenclatura della frazione Bernate, forse riconducibile – con una certa fantasia – al latino (castra) hiberna, una particolare tipologia di accampamento militare romano permanente (e per questo chiamato anche castra stativa)”.

Per completezza d’informazione dobbiamo tuttavia segnalare che l’attribuzione arcorese dell’iscrizione è stata più volte messa in dubbio,  l’importanza del manufatto sembrerebbero denotare un’origine cittadina della lapide. Al proposito lo storico epigrafista, Theodor Mommsen (1817-1903) attribuì una provenienza comasca o milanese dell’epigrafe.

da: “Giulia Drusilla un’iscrizione romana nella Regio XI. Arcore” di Giacomo Contratto

Giulia Drusilla

Iniziamo da principio: rampolla della dinastia giulio-claudia, figlia secondogenita di Agrippina Maggiore e Germanico Giulio Cesare — grande condottiero e per un certo periodo erede dell’imperatore Tiberio —8 nacque il 16 settembre del 16 d.C. a Confluentes, lungo il limes retico-germanico.

Rimasta orfana del padre a soli tre anni, crebbe a Roma con la famiglia grazie alla protezione della nonna Antonia Minore. Nel 26 d.C., però, tutta la famiglia iniziò ad essere oggetto di persecuzione da parte del praefectus praetorio Sciano, che processò ed esiliò la madre e i fratelli Nerone e Druso; Giulia, invece, andò in sposa al senatore Lucio Cassio Longino, di cui fu moglie fino al 37 d.C.,  e in seconde nozze si legò a Marco Emilio Lepido, amico dell’unico fratello rimasto in vita, Gaio, divenuto nel frattempo nuovo princeps con la morte di Tiberio. I rapporti tra Gaio — meglio conosciuto ai più come Caligola — e la sorella furono oggetto di speculazioni e sordide dicerie già a partire dagli storici a loro contemporanei; Svetonio, ad esempio, nel De Vita Caesarum racconta di frequenti rapporti incestuosi, consumati a suo dire fin dagli anni dell’adolescenza. La storiografia moderna ha però in gran parte messo in discussione queste affermazioni, che si inquadravano in un gioco politico di scontri — spesso durissimi — tra imperatore e il Senato, vere e proprie battaglie nelle quali il discredito dell’avversario era arma ampiamente utilizzata dalle élite letterate erudite, in gran parte filo-senatorie e quindi avverse a quei regimi eccessivamente autocratici come quello rappresentato da Caligola» Caligola, ad ogni modo, dovette nutrire un sincero e profondo affetto per la sorella, e quando Giulia — correva giugno del 38 d.C. —venne a mancare a seguito di una rapida e sconosciuta malattia, questi la fece “divinizzare” come Diva Drusilla Panthea, associandola alla dea Venere» L’epigrafe di Sant’Apollinare, risalente anch’essa al 38 d.C., potrebbe dunque essere stata realizzata a imperituro memento di questa dipartita, per ricordare — e forse, in qualche modo, celebrare —la scomparsa di questa donna.

 

Ipotesi di un agglomerato rurale

Dunque senza dare troppo peso all’origine del nome di Bernate, su cui magari torneremo in altra occasione, forti anche delle deduzioni appena esposte e soprattutto da quanto emerge dagli scavi in corso, vediamo di inquadrare il reticolo delle fondamenta di edifici che si sta evidenziando nell’area, come un semplice insediamento rurale, forse dedicato ad ospitare contadini dediti alla coltivazione dei campi limitrofi e animali da allevare.

Una visione estesa del reticolo delle fondamenta che caratterizza il luogo di scavi

 

In età romana, il territorio rurale veniva suddiviso in cento parti (centurie), secondo le linee incrociate del cardo e del decumano (le strade principali che si estendevano la prima sull’asse nord-sud, la seconda sull’asse est-ovest). La centuriazione, che dava luogo alla formazione di appezzamenti di terreno quadrati con il lato lungo 20 actus (circa 710 metri), serviva per fare le assegnazioni di terre ai cittadini delle colonie di nuova fondazione. Le tracce di tale suddivisione sono ancora visibili sui rilevamenti cartografici della fine dell’Ottocento. Tali rilevazioni hanno messo in inevidenza resti di centuriazione localizzati intorno a Cascina del Bruno. E’ dunque ipotizzabile che sparsi per il territorio ci fossero degli insediamenti agricoli.

Possiamo solo sulla base di indagini e studi pregressi, prossimi e non alla nostra zona, cercare di esporre alcune possibilità, senza pretesa di certezze. Speriamo che gli archeologi al lavoro, possano svelare qualcosa di più in tempi brevi.

Ipotesi di "stalla", nell'epoca romana indagata, da un lavoro della "studiosa" Kim Bowes

 

La prima domanda che possiamo farci è quella di conoscere se il sito è configurabile come una piccola o media proprietà terriera, oppure facesse parte di una “villa rustica”. In zona abbiamo documentati ritrovamenti ad Agrate, Robbiano, Cassago. Del resto la conformazione del territorio brianzolo lascia ipotizzare una presenza non trascurabile di “ville suburbane”. Dal lavoro “Abitare in campagna in età romana” (A.V.) citiamo letteralmente: “Nei pressi di Vimercate sorgeva probabilmente un vicus con funzioni di centro di mercato su un importante snodo stradale dove risiedeva forse un elite cittadina…”

Ritornando al concetto di “villa” intendiamo il podere, la fattoria, la casa di campagna, il complesso del possedimento rurale con l’insieme degli edifici di campagna annessi, sia ad uso agricolo che abitativo. Il termine, per tutto il medioevo, indicò appunto le fattorie di campagna e di conseguenza il villaggio di campagna o il piccolo comune rurale che ne derivò.

Ipotesi di un insediamento rurale più complesso d'epoca romana, dell'archeologo Frédéric Trément

 

Ricordiamo come nell’area lombarda le ville rustiche rinvenute non hanno mai evidenziato caratteri di fasto e di vastità, come invece nell’Italia centro-meridionale. Nell’alto milanese le ville infatti raramente sono caratterizzate da “latifundia” (Nell’Italia romana, il latifundium era un vasto fondo dedicato allo sfruttamento agricolo, in origine costituito a partire dalla distribuzione dell’ager publicus). I resti archeologici rivelano nelle nostre zone un tipo di villa di limitate dimensioni a carattere rustico, ove coesistevano destinazioni agricole accanto a quelle residenziali, che attestano l’esistenza di piccoli e medi proprietari terrieri, che vivevano in campagna in fattorie isolate.

Dai resti delle fondamenta possiamo cogliere una collocazione ortogonale tra i vari edifici che componevano il sito

 

Nel considerare l’estensione del sito, e l’appartenenza, attribuibile ad un latifondista o ad un piccolo proprietario, ipotizziamo  le alternative che determinerebbe differenti ipotesi sulle maestranze impiegate nei lavori dei campi e della fattoria. Una o più famiglie, con l’aiuto di braccianti liberi, oppure schiavi legati al latifondo? Al momento non sappiamo se siano stati scoperti manufatti o strumenti da lavoro, che possano dare indicazioni più precise.

Una ripresa ravvicinata dove oltre i resti di un muro perimetrale, si può cogliere parte della pavimentazione in laterizio

 
 

Non vogliamo dilungarci ancora in ipotesi tutte da dimostrare, anche se possiamo cogliere dalle foto fatte, un ordine abbastanza preciso del “reticolo” costruttivo delle fondamenta dei muri, che si dispongono sempre ortogonalmente gli uni agli altri, così come l’estensione dell’area interessata che abbiamo notato dilatarsi, nello scorrere delle ultime settimane.