Il Giudice del Gallo e il Monastero di Sant’Apollinare

Il Giudice del Gallo e il Monastero di Sant’Apollinare

di

Paolo Cazzaniga

Il documento proposto, proveniente dall’Archivio di Stato di Milano, datato 1656, e contiene precisi riferimenti al territorio di Arcore e di alcune località confinanti.

Inquadriamo l’epoca storica: è quella della dominazione spagnola, sono passati circa una cinquantina d’anni dalle vicende della Monaca di Monza, raccontate dal Manzoni, e la presenza di enti religiosi, permeava il tessuto sociale e mostrava tutto il suo peso anche sul versante economico. Il documento si riferisce ad uno di questi, il Monastero di Sant’Apollinare di Milano, che possedevano nelle nostre terre ingenti patrimoni immobiliari.

...che non habbi ardire in modo alcuno...

Immediatamente la curiosità si indirizza sulla figura dell’Egregio Sig. Giudice del Gallo, autore di questo pubblico avviso. Ricordiamo la complessa macchina amministrativa del tempo, che annoverava cariche e funzioni, che non sempre alla luce odierna, appaiono facilmente comprensibili. In ogni caso tale giudice aveva, come altri vari giudici regi, sede a Milano. Il giudice al segno del gallo faceva il paio con il giudice al segno del cavallo. I due avevano poteri di giurisdizione civile, in cooperazione con il podestà. La loro competenza si estendeva a tutti i territori dello stato e dunque anche alla Brianza. Il riferimento a nomi di animali, andava ad esemplificare la peculiarità della loro funzione: del Cavallo (celerità) e del Gallo (vigilanza). Tali simboli erano anche rappresentati su seggi dei due giudici.

Nell’avviso si evidenzia la vigilanza che porrà in atto il giudice, affinché nessuno osi importunare le Monache di Sant’Apollinare, così come il loro procuratore, Antonio Torre. In sostanza mette in guardia perché non si danneggino in alcun modo i beni posseduti dalle monache. L’elenco propone alcuni possibili danni, che potrebbero essere cagionati al monastero, pena sanzioni pecuniarie, i cui introiti saranno da dividere, in egual misura, tra lo stato e le monache. Viene indicato, a tutela di questi diritti, il “camparo”. Una figura pubblica, eletta annualmente, che aveva funzione di sorvegliare il territorio, quindi i boschi, pascoli le colture comunali ed in particolare la “regimentazione” delle acque.

L’interesse del documento va ora alle molte proprietà, del monastero che riguardavano i nostri territori e quelli prossimi. Riproponiamo l’elenco così come esposto nella “grida”:

Territorij di S. Assandra corte di Monza, nel detto Territorio di Monza, d’Oreno pieve di Vimercato, di Velascha di detta pieve S. Apolinare presso Hercole pieve predetta & Monteveggia pieve di Missalia….

In sintesi le monache avevano proprietà a Sant’Alessandro, da non confondere con la frazione di Villasanta, il Sant’Alessandro in questione si riferisce al territorio dell’odierno quartiere di Monza, in prossimità di Sesto San Giovanni.  Altri beni risultavano in Monza e ancora a Oreno, Velasca, nella località di Sant’Apollinare a Arcore (Hercole), e per finire a Montevecchia. L’entità del patrimonio, del monastero, si componeva di una parte di proprietà, che potevano farsi risalire alla fondazione dello stesso, 1222. Poi, una cospicua aggiunta, avvenne nel 1425, quando il monastero di S. Nazaro di Oreno, fu soppresso e il patrimonio acquisita dal Sant’Apollinare di Milano. In modo analogo nel 1437, quando stessa sorte toccò al Sant’Apollinare di Arcore. Infine i beni di Sant’Alessandro, furono in parte donati e in parte acquistati dalle monache.

Indicate in giallo le proprietà del Monastero di Sant'Apollinare di Milano nelle località di Arcore, Oreno e Velasca

Aggiungiamo ora qualche ulteriore informazione sui monasteri di Arcore e Oreno, alla base delle fortune del cenobio milanese. 

Il Sant'Apollinare di Arcore

Ad Arcore abbiamo ancora oggi la presenza del complesso abitativo così chiamato e dell’antica chiesetta, utilizzata occasionalmente per qualche evento espositivo, e che meriterebbe una maggiore fruizione. Tempo fa Tonino Sala aveva raccontato del luogo, sia in chiave storica, sia proponendo un breve racconto fantastico, ispirato ad eventi reali, che appartenevano al passato della località.

La facciata della Chiesa di Sant’Apollinare, sulla sinistra l’arco che immette all’interno della corte.

Il pilastro in arenaria, all’interno della corte, quanto ancora rimane dell’epoca medievale.

All’esterno un altro pilastro sempre di origini antiche e l’entrata alla chiesetta.

Le Monache di S. Apollinare di Milano, nel 1437, a seguito dalle disposizioni impartite dal Papa Eugenio IV, che aveva delegato l’Arciprete di Santa Maria del Monte alla soppressione del Monastero di Sant’Apollinare di Arcore dell’ordine di San Benedetto, incorporarono ed unirono i beni del monastero arcorese.

Per un approfondimento

Le monache di Milano, appartenevano all’ordine delle Clarisse, dunque risulta per certi versi non semplice interpretare le motivazioni dell’aggregazione, fra due ordini differenti, accomunati solo dalla dedica del monastero allo stesso santo. Tra le ipotesi, l’esplicita richiesta avanzata del S. Apollinare di Milano, come indicato nel “breve papale”, che possedeva altre proprietà nella zona. Richiesta motivata tra l’altro dal contenuto di un documento (20 aprile 1438) in cui si raccoglie la deposizione di tre testimoni che dichiarano all’arciprete delegato di dare seguito alle disposizioni romane, lo stato di deperimento del monastero di Arcore ridotto senza religiose. In effetti l’ultimo documento che attestava l’investitura affittuaria dei beni posseduti (nel Borgo di Arcore e nei territori di Velate, Bernate e Velasca) fatta al nobile de Antono per 8 fiorini all’anno risaliva al 1425.

L’abside della chiesetta

Dalla documentazione a disposizione, riferendoci alla famosa “donazione di Umfredo” risulta l’antichità della fondazione di Arcore (1110), che si colloca anteriormente alle prime notizie del cenobio di S. Apollinare di Milano che risale al pur lontano 1222. Per inciso ricordiamo la volontà di Umfredo che aveva donato una pertica del “Campo grande” riservando ai suoi figli e agli eredi futuri l’utilizzo del terreno, pagando un affitto annuo di 2 denari d’argento, alla chiesa di S. Apollinare. Si procurò poi di avere gratuitamente il terreno per il primo anno dopo la donazione.

L’edificio addossato alla chiesa di Sant’Apollinare prima dei restauri.

Ritornando all’aggregazione tra i due monasteri di differente ordine religioso, possiamo aggiungere che la gestione dei beni dei monasteri, in cui risultava attiva l’intera assemblea delle monache riunite appunto in “Capitolo”, necessitava poi di personaggi laici che potessero interfacciarsi con il mondo esterno, dunque ecco la presenza di “protettori” e “agenti”, che esplicavano la funzione di raccordo. Non c’è da stupirsi che, dunque queste persone fossero attente a quanto succedeva attorno alle proprietà del monastero e suggerire affari, leggi acquisizione, che tornavano sia a vantaggio dell’ente religioso, ma anche per i loro personali interessi.

Il San Nazaro di Oreno

Questa pratica di acquisizione non risultava nuova al S. Apollinare di Milano. Avevano anni prima avuto modo di incamerare altri terreni ed immobili nella zona. A Oreno esisteva, nelle vicinanze dell’attuale convento e chiesa di San Francesco un monastero femminili dedicato a San Nazaro, anche questo di fondazione antica.

Il fronte dell’edificio in prossimità della Chiesa di San Francesco di Oreno dove presumibilmente era collocato il Monastero di S. Nazaro, in origine retto dagli Umiliati.

Per un approfondimento

In un regesto (inventario, sommario) dei documenti, prodotto prima della sua soppressione, relativa al Monastero di Sant’Apollinare di Milano, abbiamo l’indicazione che il monastero di Oreno faceva parte della regola di Sant’Agostino, anche se da altri documenti tutti attendibili, dobbiamo indicare il cenobio, per lo meno alla sua fondazione e ancora per buona parte del Trecento, appartenente agli “umiliati”. Nel volume “Mirabilia Vicomercati”, si ha traccia di un testamento del 1305 di Beltrama filiam quondam Girardi de Oppreno, che risiede nel monastero si Sant’Eustorgio di Milano, che lascia somme in denaro a quattro donne tutte di Oreno, indicate come “sororibus domus Humiliatarum de Oppreno”, oltre a questo lascito personale, destina 20 soldi alla “domus Sancti Nazarii”, dove sono ospitate le “sorelle” appena indicate.
Tra i documenti disponibili, ne citiamo qualcuno  per documentare le consistenze e le modalità di acquisizione del patrimonio immobiliare del monastero.
Nel 1373 il S. Nazaro affitta a Ambrogio e Pietro Grossi, padre e figlio un’osteria e 10 pezzi di terra siti nel territorio di Oreno, il prezzo pattuito è la metà dei frutti prodotti dai terreni a cui aggiungere 6 capponi e sei dozzine di uova. Nel 1378 sempre in affitto alla signora Margarita Avogadri una casa in Oreno in località dove si dice “sotto il castello” e 8 pezze di terra per 25 fiorini d’oro e 6 brente di vino. Nel 1386 vengono affittati a Giorgio della Torre un sedime e terreni, l’affitto richiesto si compone della metà dei frutti della terra di 4 capponi 4 dozzine di uova a cui si aggiunge del legname che servirà per realizzare tutori per le vigne 100 pali e per il “riscaldamento” 200 fascine. Il monastero possiede proprietà, anche fuori Oreno e nel 1395 sono i nobili Francesco detto Passarotto e il figlio Pietrolo de domini de Oreno a prendere in affitto case e terreni alla “Cassina di Vallasca”, l’odierna Velasca, a cui aggiungere due vigne la “Baraggia” di 159 pertiche e il Bergamino di 22 pertiche.
Quando poi il monastero accettava una novizia la stessa si doveva accompagnare di una dote spirituale. Nel 1274 Guglielma figlia di Teoldo Oreno per la sua vestizione porta in dote 7 pertiche di terra denominate alla “strada nuova”. Nel 1285 sono 14 pertiche di vigna, sempre nella stessa “strada nuova” che Agata figlia del defunto Corrado Oreno, acquista da Petrazio Oreno, per girarle al monastero dove andrà a vivere. Passano gli anni, e nel 1386 una nuova vigna si aggiunge alla precedente, questa volta è Gianolo Cernusco, a provvedere per la sorella Florianina che entra in convento.
Come in altri casi anche nel monastero di S. Nazaro di Oreno, si conferma quella necessità del potentato locale di controllare dall’interno il monastero, un’entità che come abbiamo visto era fonte di ricchezze. Nel 1405 la superiora del monastero è Pomina de dominis de Oreno, famiglia che evidentemente aveva consolidato la sua posizione e appunto in quell’anno un parente della superiora Zane de dominis de Oreno, che ha la sua abitazione nella città di Monza, lascia in eredita una somma di denaro alla monaca e il subentro del monastero nella sua eredità, nell’ipotesi in cui il nipote Pietro, erede universale, non avesse avuto una discendenza.
Oggi indicare dove sorgesse il Monastero di S. Nazaro di Oreno, non è cosa facile. Abbiamo detto nella prossimità dell’odierno convento francescano. Attraverso una pubblicazione data alle stampe nel 1877 , opera di Massimiliano Penati dal titolo: L’antica chiesa di S. Nazaro e il monastero delle Agostiniane di Oreno, abbiamo qualche indicazione supplementare, anche se già in quell’ultimo quarto dell’Ottocento di entrambe le istituzione non c’era più traccia.

In corrispondenza del civico 4 l’androne, che a detta di Massimiliano Penati, segnava la poswizione dell’ingresso nell’antico monastero di S. Nazaro

In ogni caso con buona approssimazione possiamo ipotizzare la collocazione, nella stessa piazzetta della Chiesa di San Francesco, in corrispondenza del numero 4 dell’omonima via.

Pur con una consistenza di terreni e immobili tutt’altro che disprezzabile, molti monasteri periferici alla capitale del ducato, Milano, come appunto era il S. Nazaro di Oreno, dovevano fare i conti con le sempre più scarse vocazioni di novizie, che erano in grado di attirare. Ricordiamo, in quel periodo, il fenomeno delle “monacazioni forzate”, che vedevano coinvolte giovani, anche di rango sociale elevato, e forse per mitigare tale imposizione, le loro famiglie le indirizzavano verso i monasteri di Milano, fonte di maggior prestigio per entrambi. Anche S. Nazaro subì questa sorte e nel 1425 la superiora del monastero fece espressa richiesta di essere aggregata al monastero di Sant’Apollinare di Milano. L’autorizzazione fu concessa attraverso una bolla del Papa Martino V. Il passaggio non fu indolore e non tutto sembrava filare liscio. Nell’anno successivo in un documento si legge che fu tolta la scomunica alla “pretesa monaca del soppresso monastero di S. Nazaro, Catterina Fiorenza che si era opposta all’unione”. Non fu facile poi per il Sant’Apollinare, venire in possesso dei beni del S. Nazaro se ancora Martino V fu costretto alla promulgazione di una nuova bolla in cui si invitano “…i detentori occulti di decime, redditi, legati, beni mobili ed immobili, denari, libri, ____ acciò manifestino e restituiscano le cose di ragione del detto monastero…”, minacciando in caso contrario la scomunica.

Una nuova stagione

Il monastero di Sant’Apollinare di Milano, tuttavia, non poté sottrarsi a quanto il governo austriaco mise in atto verso la metà del Settecento.

Nel 1769 cominciarono le soppressioni di piccoli conventi, quelli cioè con un numero di religiosi inferiore a 12, attività che portò, fino al 1772, alla soppressione da parte dello Stato di una quarantina di istituti. Fu poi con il dispaccio 26 gennaio 1782 che si decretò la soppressione di tutti quegli istituti ritenuti socialmente inutili, quelli cioè non adibiti all’educazione, all’assistenza dei malati, alla predicazione, agli studi: 130 istituti maschili e un centinaio femminili di Celestini, Camaldolesi, Canonici Lateranensi, Carmelitani, Francescani, Certosini, Cappuccini, Cistercensi, scomparvero e altri ne furono ancora soppressi in età napoleonica.

"Tutto cambia perché nulla cambi".

I beni di Oreno e Velasca così come quelli di Sant’Alessandro saranno acquistati nel 1786 da Francesco Gallarati Scotti, dopo che lo stato li aveva incamerati alienandoli al monastero. La più parte dei beni di Arcore fu acquistata da Giacomo Locatelli, mentre un perticato minore finì al Notaio Dottor Gio Batta Riva. Non si manca di sottolineare come l’intento del governo austriaco di laicizzare lo stato, indirizzando la “religione” a compiti puramente spirituali, finì per concentrare ingenti patrimoni, nelle mani della nobiltà, e della nascente borghesia, che si sostituì nelle proprietà della Chiesa, continuando lo stesso modello di gestione del contado lombardo, senza che la massa dei contadini potesse migliorare in alcun modo la sua precaria condizione di vita.