ARCORE : I CIMITERI

ARCORE : I CIMITERI

Affrontiamo un argomento, diciamo “fuori stagione”, il periodo canonico sarebbe stato Novembre, con quelle giornate malinconiche fatte di piogge fini, nebbie e foglie cadute, questo nell’immaginario collettivo è il momento dei cimiteri e dei morti. Quindi per rompere un po’ gli schemi o forse per cercare di proporre questo luogo con spirito diverso, ed uscire dalla lugubre visione “moderna” della morte, parliamo oggi dell’evoluzione che ha caratterizzato i vari luoghi di sepoltura, usati ad Arcore nei secoli. Il culto dei morti si perde nella notte dei tempi, spendiamo due parole per ricondurci al culto dei defunti in Brianza, una venerazione sentita e un punto, “i noster mort”, di riferimento irrinunciabile, quando ancora la civiltà contadina, aveva un peso importante, nella società. Segnaliamo a tal proposito l’importante familiarità che esisteva in Brianza coi morti, forse oggi, come tante altre cose, affievolita: essi sono una potenza positiva, intercedono per aiutare i vivi, che con devozione li invocano. Nel mondo contadino, in ragione di quella mutualità irrinunciabile che contraddistingueva i rapporti fra individui, anche dopo la morte, questa prerogativa continuava ad esistere e dunque, chi poteva dava una mano a chi aveva bisogno, nella convinzione che la morte non sopprime la vita, ma la trasforma. Consapevoli i vivi, rivolgevano le loro preghiere a suffragio delle anime purganti, che sapevano bisognose, certi dell’intercessione dei defunti per i loro bisogni materiali, perpetrando attraverso questo scambio, la comunione tra i due mondi. A livello individuale ognuno aveva i propri morti da invocare, mentre a livello sociale i culti erano indirizzati particolarmente ai morti per la peste, perché sia il grande numero, sia l’eccezionalità dell’avvenimento aveva colpito l’immaginazione della gente, suscitandone l’affetto e la devozione popolare. Un importante rapporto, che necessitava di un contatto tangibile si concretizzava, poi nella visita al camposanto, dove il vecchio Brianzolo, dialogava con i suoi morti. I grossi problemi della famiglia si discutevano, si nella grande cucina, ma poi in chiesa con i Santi e al camposanto con i morti. Era prassi comune consigliare chi aveva grossi “fastidi” de nà prima in gesa e dopo al cimiteri”. A suggello di una filosofia di vita mai sopita nella Brianza, è interessante sottolineare il detto: Vutess che quij del mund de là te vutarann. Evidenziando ancora una volta questo sodalizio indissolubile tra vivi e morti. Naturalmente è ancora una volta Tonino Sala a traghettarci in questo viaggio, che ci condurrà di certo infine, “a riveder le stelle”.

I CIMITERI DI ARCORE

Breve racconto parzialmente dedotto da documenti e ricordi

colonna 2

La colonna, posta sul sagrato della parrocchiale, a segnare l’antica collocazione del cimitero.

Cimiteri. Dobbiamo proprio parlarne al plurale, non solo perché, le inumazioni, in tempi moderni (1789, 1881), vennero trasferite da un luogo all’altro ma anche perché ognuno degli antichi Monasteri aveva un proprio micro cimitero (e anche se non è possibile rintracciarne il luogo di quello del San Martino, quello del Sant’Apollinare è ben segnalato dalla croce in ferro a lato destro della chiesetta, ed è lì che monaci e monache che vi morirono, dal secolo IX-X fino alla chiusura nel secolo XV, furono sepolti);

apollinare

La croce in ferro a Sant’Apollinare, sta ad indicare il luogo di sepoltura dei religiosi che qui vissero, ai tempi del monastero

inoltre, nel luogo noto come “ai mort lungh”, a lato della biforcazione per “La Palazzina”, vi era il cimitero dei “morti del contagio” dove, nei cosiddetti “fupon”, dal 1300 al 1630, furono sepolti i morti di peste.

Chi furono i primi abitatori del paese, se Liguri, Etruschi o Galli non è noto, ma è certa una presenza romana, e il problema della collocazione dei defunti sarà stato ben presente anche allora; individuarne il luogo oggi è impossibile non vi sono ne resti ne tradizioni. Alla luce delle notizie storiche si può però azzardare qualche ipotesi rifacendosi agli usi e costumi dell’epoca.

È storico che passato l’uso primitivo di seppellire i morti, quasi come protettori, nei pavimenti delle capanne, e passato l’uso dell’incinerazione, introdotto da altre civiltà, con raccolta delle ceneri in urne sepolte in campi esterni all’abitato, una volta ritornati all’inumazione si andarono formando luoghi specifici, germe di veri e propri cimiteri. Normalmente questi erano posti relativamente discosti dall’abitato, a margine di una o più vie.

Anche per gli abitanti del primitivo villaggio, dal quale sarebbe poi nato il nostro paese, fu necessario fare la scelta del luogo. Originariamente il villaggio era caratterizzato dalla radunanza di individui dello stesso clan e solo in un secondo tempo, grazie a matrimoni esogamici e conseguentemente al formarsi di parentele esterne venne attuandosi la commistione di clan diversi nello stesso villaggio.

mort lung

Ai “Mort lung” , luogo di sepoltura delle epidemie di peste. Argomento di un passato post

Il luogo di Arcore, un agglomerato di poche capanne di tipo villanoviano, attraversato da sentieri che lo collegavano ad altri villaggi, era posto a lato ovest di un piccolo corso d’acqua (Molgorana) che si allargava in uno stagno prima di riprendere il suo corso.

Il sito scelto per le inumazioni era posto sulla sponda est della Molgorana, su un leggero rialzo (è l’attuale piazza della chiesa; il rialzo oggi non è rilevabile a causa dei riporti e livellamenti fatti quando venne ricoperto il torrente alla fine degli anni 20; rammentiamo che nel 1716, il curato Tagliasacco scriveva che la piazza era più alta della strada di poco meno di un metro e mezzo, proprio la quota negativa alla quale si trova oggi, interrato, il ponte che passava il torrente, estemporaneamente messo in luce una decina di anni fa durante uno scavo), il rialzo consentiva di evitare le esondazioni che nella loro furia avrebbero potuto riportare a galla i cadaveri degli inumati.

Terminata la conquista romana, il nostro territorio fu centuriato e diviso e divenne anche sede di un “castro” dove le truppe romane svernavano in attesa di altre conquiste: è storica l’assegnazione di terreni nella Brianza comasca fatta da Giulio Cesare ai legionari reduci dalle sue conquiste. La sacralità del luogo dove avvenivano le sepolture fu segnata da un modesto tempietto elevato agli dei protettori dei trapassati. È altresì storico che all’avvento del cristianesimo parecchi di questi edifici furono trasformati in cappelle al culto del nuovo unico Dio: questa fu la sorte del tempietto  e nell’ambito del luogo si continuò a seppellire nella terra i defunti.

Quando l’evangelizzazione delle campagne fu conclusa e furono cessate le lotte conseguenti alle invasioni barbariche con l’affermazione del Sacro Romano Impero (attorno al IX – X secolo) si pose mano alla costruzione di un edificio specifico da destinare al culto, Sullo stile delle catacombe, nelle pareti delle fondazioni, furono allestiti loculi, strutture a nicchia, atti ad accogliere i corpi dei defunti che una volta decomposti e consumati erano estratti e posti nel terreno, vero e proprio cimitero, in una fossa comune, davanti alla chiesa. Solo alle più alte personalità era concessa una tomba propria nel piccolo cimitero.

Così si continuò nel tempo anche dopo ingrandimenti e restauri che sicuramente furono necessari per adeguare e conservare l’edificio. D’altra parte, una prova di questo la si può derivare dalla descrizione della chiesa fatta da Goffredo da Bussero nel XIII secolo:

 In Plebe Vicomercati

“…ECCLESIA S.EUSTORGIO IN LOCO ARCURI: con altari dedicati a santa Maria e a sant’Ippolito…

…ECCLESIA S. MARTINI IN BURGO ARCURI: coll’altare di San Biagio

…ECCLESIA S. APOLLINARIS …”

 confrontandola con quella fatta alla morte del curato Tagliasacco nel 1731:

 “…la chiesa parochiale è con titolo di S:Eustorgio Pontefice e Confessore …fabbricata in un sito un pocco eminente, ed è di tre navi diviso da colonnette di marmo con la porta che riguarda l’occidente, a dirimpetto all’altar maggiore oltre i quale vi sono altri tre altari uno della B.V.M. del SS.mo Rosario, l’altro di S. Antonio da Padova, e l’altro di S. Margarita, a cui è il suo battistero, e il suo campanile con tre campane, e il suo orologio, ed ha la sua sacristia completamente capace, e provvista di supelletili… …avanti la porta maggiore è situato il cemeterio cinto di muro d’altezza di due brazza circa...”

 e quella dell’arcivescovo Pozzobonelli nel 1756. Si tratta evidentemente di due costruzioni diverse, probabilmente l’una derivata dall’altra.

ipso ecclesia

Estratto dalla visita pastorale del cardinale Pozzobonelli, l’anno è il 1756

Evidentemente non si tratta dello stesso edificio citato da Goffredo da Bussero che parlava di due altari laterali. Dove fosse e quando venne demolita questa prima chiesa sostituita poi da quella descritta nel 1731 non si è trovato in Archivio traccia alcuna, anche se è logico pensarne la collocazione sempre nell’ambito della piazza attuale. Non è escluso che non fosse affatto demolita ma ricostruita ingrandendo la primitiva struttura.

croce caduta

La croce posta alla sommità della colonna, collocata nella zona prospiciente la chiesa parrocchiale, ad indicare la collocazione dell’antico cimitero. La foto è stata realizzata in occasione della caduta della stessa dalla colonna nel 2011 prima che fosse ricollocata al suo posto

La struttura antica

 Dai libri parrocchiali riguardanti le registrazioni dei morti, iniziate a partire dal 20 maggio 1643 dal curato Berta, ci viene confermato che i defunti erano sepolti nel sotterraneo della chiesa organizzato a loculi come i moderni colombari. Una volta raggiunta la saturazione degli spazi disponibili, previo autorizzazione delle autorità civili e religiose, i resti venivano estratti, partendo naturalmente dai più antichi, e collocati in profonde fosse comuni nello spazio antistante la chiesa che fungeva da sagrato e cimitero, la colonna che ancora oggi è posta sulla piazza celebrava la sacralità del terreno.

 Un documento datato 1716: “…Aquandi et infrangendi murum cemeterij…“, redatto dal curato Tagliasacco, è corredato da uno schizzo che ne illustra chiaramente la posizione a margine della Molgorana e di fronte alla chiesa.

disegno chiesa

disegno chiesa segue

Le indicazioni del curato Tagliasacco del 1716, che illustra la posizione del cimitero

La sepoltura all’esterno della chiesa con relativo monumento funebre era riservata solo a persone di qualche importanza.

 “...24 marzo 1756 – – il fu Sig.r Antonio Civalli (probabilmente padre del Curato) figlio del q.da Sig. Francesco … passò da questa all’altra vita in età d’anni nouanta… e fu sepolto sul Cemeterio di questa Parochiale di S. Eustorgio d’Arcore vicino e dirimpetto alla Croce…“,

base colonna

Il cippo che regge la colonna che identificava il luogo del “cimiterio”

ricostruzione chiesa

Chiesa, piazza e cimitero come apparivano all’epoca del curato Tagliasacco

Nell’archivio parrocchiale sono custodite le ordinanze e le disposizioni da osservare quando si doveva intervenire a sgomberare gli spazi.

documento regio

documento regio 1755

Il “nuovo” cimitero

 Verso il 1780, durante il ministero del curato Castelnuovo, la popolazione era ormai cresciuta al punto tale (circa 1300 persone) che il sepolcro della chiesa non bastava più a consentire un regolare ricambio: si trattava di una quarantina di corpi all’anno; inoltre la necessità di trovar loro una nuova collocazione essendo ormai in stato di avanzata finitura la nuova chiesa che avrebbe richiesto poi la demolizione della vecchia e la ristrutturazione del Sagrato, e anche i nuovi decreti emanati dalle autorità di Sanità Pubblica riguardanti le sepolture, imponevano la costruzione di un nuovo cimitero.

L’area scelta (a margine di una antica “strada molinara”, quella che da Peregallo si innestava direttamente sulla attuale via del cimitero – Via della Pace, ben visibile sulle mappe del 1722, la Via Roma ancora non esisteva, e ad angolo con la nuova via da poco tracciata), a est della Molgorana, era quella occupata oggi dal distributore Agip di Via Casati. Espropriata l’area, che faceva parte del Beneficio parrocchiale, predisposto il terreno e costruita la recinzione, il nuovo cimitero fu disponibile nei primi mesi del 1789.

L’ultimo defunto, “…sepolto…il 7 febbraio 1789 …in questa Chiesa vecchia di Arcore…” (vecchia per distinguerla dalla nuova, attuale, che era ancora in fase di finitura) fu Andrea Spinello; il primo sepolto nel nuovo “Publico Cemeterio” il 21 febbraio 1789 fu “…Giuseppe Ignazio figlio di Gioanni Sala in età di giorni venti…“.

 Eccone le registrazioni:

…7 febbraio 1789 – ultima sepoltura nella Chiesa vecchia Andrea Spinello del fu Gerolamo…in età d’anni quarantasette munito […] fatte l’esequie col mio intervento e di altri tre sacerdoti è stato sepolto il di lui cadauere in questa Chiesa vecchia di Arcore…“,

ricostruzione cimitero

Il disegno ricostruisce l’aspetto del cimitero vecchio, posto nell’area dove oggi è collocato il distributore dell’Agip in via Casati.

Il cimitero attuale

            Il Publico Cemeterio sarebbe durato meno di cento anni. La popolazione, gradualmente, dal 1789 al 1881, era cresciuta a oltre 3000 persone, la media annuale dei decessi era salita da 45 a 100. Alcune epidemie (Colera – 1868 e Difterite -1877), inoltre, avevano generato picchi di frequenza tali da alterare sensibilmente il valore delle medie e da provocare una crisi di spazi.

Così si legge negli atti del Consiglio comunale tenutosi nel maggio del 1879: “Il Sig. Sindaco riferisce al Consiglio che in seguito a verifiche eseguite […] per l’aumentata popolazione insufficiente è l’area dell’attuale Cimitero Comunale per lo smaltimento dei cadaveri […] anche per il numero straordinario di cadaveri occasionati dalla difterite nel 1877, propone, […] anziché allargare il Cimitero ora esistente che si trova poco discosto dalla Stazione ferroviaria […] allargamento che d’altronde non sarebbe concesso essendo ora il Cimitero distante solo circa 100 metri dall’abitato che di più impedisce lo sviluppo del paese in quella regione, si costruisca il Cimitero nuovo o nel terreno Cossa […] o di Casa Giulini-Casati, discosto più di 200 metri dall’abitato, nella direzione del Cimitero attuale, in fianco alla strada comunale […] Si nota poi che il Cimitero, essendo promiscuo con Frazioni di Velate Milanese e Lesmo, verranno anche i medesimi Comuni chiamati a corrispondere la loro rispettiva quota di spesa in ragione di popolazione e previa la deliberazione sul Progetto dei rispettivi Consigli Comunali”.

Prossimo alla saturazione e ormai entrato a far parte del tessuto urbano (erano state tracciate e costruite la nuova provinciale – dalla Pappina alla Foppa – e la ferrovia che aveva letteralmente diviso in due il paese; le abitazioni costruite in Via Casati, ex Borgo Milano, avevano chiuso gli spazi del cimitero), non era possibile ampliare il luogo né sarebbe stato igienico. Occorreva trovare una nuova area.

Geometri, geologi, chimici e specialisti del ramo scelsero il luogo dove collocare il nuovo cimitero.

seconda mappa arcore

La mappa che indica le collocazioni del vecchio e nuovo cimitero. La nuova area fu collocata a margine dell’antica strada “molinara” che univa il Vimercatese ai mulini sul Lambro.

L’area scelta era ed è a margine della “strada molinara”, residuo storico dell’antica centuriazione, di cui si è già detto, che congiungeva direttamente il Vimercatese con i molini del Lambro.

Si trascrivono paragrafo e note riguardanti l’argomento tratti da “La storia di Arcore” di Luisa Dodi edito dal Comune nel 1996:

Un’opera pubblica degli anni ottanta: il nuovo cimitero

Il 6 settembre 1874, in sostituzione del precedente datato 1865, fu emanato un nuovo Regolamento nazionale sulla Sanità pubblica, al quale tutti i Comuni avrebbero dovuto adeguarsi. In particolare il Regolamento conteneva una serie di norme relative ai Cimiteri e alle sepolture, che le varie prefettura si preoccuparono di far conoscere ai sindaci delle rispettive province, vigilando sull’applicazione di esse nei singoli Comuni. Anche per il Comune di Arcore, quindi, si pose il problema di adeguare il proprio servizio mortuario alle prescrizioni del Regolamento del 1874.

          Già nel 1877 l’amministrazione comunale introdusse al vigente regolamento comunale di polizia mortuaria alcune modifiche, le quali attribuivano al municipio maggiori poteri di controllo su questo servizio. Significativa in proposito era la norma secondo la quale “il trasporto dei cadaveri al Camposanto” si doveva effettuare “sotto la vigilanza del Municipio”.

           Rispecchiava invece la preoccupazione per l’incremento del fenomeno della mendicità un altro articolo che così suonava: “è vietato introdursi nel Cimitero o il soffermarsi all’ingresso del medesimo allo scopo di questuare. Tale divieto è esteso anche a coloro che fossero muniti del permesso di cui all’Art. 67 della Legge di Pubblica Sicurezza”.

         Due anni dopo fu affrontato il problema del Cimitero e già a una prima analisi gli amministratori si resero conto che non poteva più continuare a tenere in piedi quello esistente, risalente al Settecento e che si doveva pensare a una costruzione ex novo. Infatti il Cimitero arcorese stava ormai scoppiando dato il continuo aumento del numero dei morti e d’altra parte la sua collocazione troppo vicina all’abitato (il Regolamento del 1874 stabiliva una distanza di almeno 200 metri) ne rendeva impossibile l’allargamento.

         Anche sulla spinta delle sollecitazioni che periodicamente, dal 1878 in poi, pervennero ad Arcore dal prefetto di Milano Achille Basile, si decise pertanto di individuare un’area adatta ad ospitare la nuova struttura e di approntare un progetto di costruzione del futuro cimitero.

        A seguito di un sopralluogo effettuato nel dicembre 1880 dal medico provinciale Pellegrini, dal sindaco Tommaselli e dall’ingegner Serafino Cantù, come zona meglio rispondente, anche per la natura del terreno (ghiaioso con argilla), ai requisiti richiesti, fu scelta “la località a destra della cosiddetta strada Molinara”, un terreno agricolo “aratorio moronato” di proprietà del marchese Emanale D’Adda, che distava dall’abitato 370 metri.

            Il Comune acquistò il terreno, dopo averne domandato l’autorizzazione al sovrano Umberto I (come era d’obbligo per una recente legge del 5 giugno 1880)

cappella cimitero

Il nuovo cimitero fu dotato della cappella affrescata.

            Il progetto, redatto dall’ingegner Cantù, fu approvato dal Consiglio comunale il 30 marzo 1881 ed ebbe subito anche il parere positivo della Prefettura. Il Cimitero progettato era di forma quadrata (la planimetria è conservata nell’Archivio comunale) con muri di cinta, una cella mortuaria e una cappelletta e copriva una superficie all’incirca di 4000 mq. (Nota: in una lettera del 12 gennaio 1881 indirizzata al segretario comunale il sindaco Tommaselli raccomandava di “costruire sotto la cella mortuaria una gran fossa a volta, una specie di sotterraneo, per depositarvi le ossa che verranno a suo tempo levate dal cimitero vecchio, e formarvi quindi l’ossario”. Ma né la cella mortuario né l’ossario furono realizzati). Il costo complessivo previsto era di £ 6624. La spesa fu ripartita proporzionalmente con le altre località situate fuori dai confini del Comune, ma comprese nella parrocchia di Sant’Eustorgio: Bernate e Uniti, frazione di Velate Milanese, Cascina Cà e Cascina Pioltelli nel Comune di Lesmo. Complessivamente gli abitanti che il nuovo Cimitero serviva erano 3082 (di cui 427 erano i Bernatesi e 90 i cittadini di Lesmo.

            La cerimonia per la benedizione del Camposanto ebbe luogo nell’estate del 1881 e fu celebrata da monsignor Riboldi, vescovo di Pavia. In quello stesso momento il Cimitero entrò in funzione.

Si riprende il racconto:

 Il campo scelto, come abbiamo visto, di proprietà d’Adda, era allora in affitto alla famiglia Pirola e nel linguaggio paesano si traduceva l’andare all’altro mondo con l”andà al camp dal Pireula“.

Nel 1881 il Cimitero fu trasferito nel luogo attuale, debitamente cintato e munito di una cappella splendidamente affrescata, ora deturpata da una orrenda struttura, dove apposte ai lati dell’arco furono collocate le lapidi dei curati Zappa e Lovati.

cappella cimitero 2

La cappella come si presenta oggi

 

lapide zappa

Lapide dedicata al parroco Zappa

altra alpide 2

Lapide dedicata la parroco Lovati

Il vecchio cimitero rimase ancora aperto alla devozione dei visitatori fino agli anni venti quando nell’area, risistemata, venne collocato il monumento agli eroi della guerra 15-18.

Così scrive il curato Zappa: “…il 26 luglio 1881 fu solennemente benedetto il nuovo cimitero da Sua Eccellenza Ill.ma e Rev.ma Monsignor Agostino Riboldi, vescovo di Pavia…“. Dalle registrazioni risulta che le salme di alcuni eminenti cittadini furono riesumate e collocate nel nuovo cimitero, taluni in cappelle apposite realizzate dagli eredi. Così il curato Zappa scrisse a proposito della prima sepoltura: “…Nova Virginia, di anni uno, morta per meningite il 25 luglio, è il primo defunto sepolto nel nuovo Cimitero…“.

Ma la vicenda non è finita, a cavallo degli anni 20-30 fu necessario un allargamento dell’area che fu chiamata “Cimitero nuovo” e si approfittò per la costruzione della cella mortuaria completa di tavolo anatomico e dell’ossario; negli anni cinquanta si costruirono i primi colombari e una nuova cappella, seguì poi un prolungamento dei colombari; e in tempi attuali un nuovo ampliamento dell’area con la costruzione di cappelle private, di una nuova schiera di colombari e di nuove strutture d’ingresso. Anche la nuova area si avvia velocemente alla saturazione sarà quindi necessario modificare i regolamenti, introdurre la cremazione, abolire le concessioni perpetue e rivedere i termini di durata per le riesumazioni e collocazione dei resti negli ossari.

POSTILLE

inaugurazione

La foto, scattata il 3 dicembre 1922, è relativa all’inaugurazione e benedizione del monumento ai caduti della guerra 1915-18. Il luogo è quello dell’ex cimitero 1789-1881 (attuale area del distributore AGIP – il monumento si trova ora a lato dei giardinetti dell’ex Comune, oggi Biblioteca comunale). Il prete officiante è il parroco Magistrelli coadiuvato da un prelato per ora rimasto sconosciuto.

inaugurazione 2

Alcune note sul paesaggio: si notano le recinzioni della ferrovia e la linea ferroviaria già elettrificata; sfumati nella nebbia la casa dei “Baciocch” e i fantasmi dei “muron”.

sommità croce

La sommità della colonna, posta sul sagrato della Parrocchiale, fotografata priva della croce e come si presentata prima della caduta della stessa

Un salto di molti anni, siamo nel 2011 e dopo 300 anni di onorato servizio, la croce posta sulla colonna del sagrato della parrocchiale, cade a terra, raccontiamo quel curioso episodio.

Quella che segue è la trascrizione della nota pubblicata sul notiziario comunale dell’aprile 2011 relativa al crollo della croce, la stessa fu ricollocata al suo posto,  nel giugno dello stesso anno.

La colonna oggi è senza croce. Chi se ne è accorto?
A proposito della croce che per quasi trecento anni è stata in cima alla colonna che segnalava la sacralità dello spazio antistante la chiesa.
Era fissata ad incastro in cima a una piramide di quattro sfere in pietra. Nel tempo, tra l’innesto e la pietra si formò uno spazio nel quale l’acqua penetrò e il gelo di questo inverno divaricando e approfondendo la crepa ne indebolì l’appoggio. In una giornata di vento teso la croce è stata divelta e precipitata a terra; buon per noi che nessuno la prese in testa.
Ora la croce, raccolta e custodita, giace in attesa di un minimo di restauro e della ricollocazione sulla colonna.
Non sembrerebbe ben chiaro di chi sia l’onere del lavoro: la piazza, dopo l’abbattimento dell’antica canonica e la costruzione del “Centro Giovanni XXIII°”, è di competenza dell’amministrazione comunale, ma la colonna e la croce…?

croce rimessa in opera

Operai al lavoro ricollocano la croce caduta qualche mese prima, siamo nel Giugno del 2011

Grazie all’interessamento del Signor Fulvio Ferrario e alla disponibilità del geometra Corbetta che organizzò l’intervento di ricollocazione, la croce fu ricollocata in sede nel giugno dello stesso anno.