IL FIUME LAMBRO: DUE STORIE

IL FIUME LAMBRO: DUE STORIE

I fiumi, disegnati dal capriccio della natura ancor più che le strade tracciate dall’uomo, sono stati a partire dal passato più remoto i poli attrattivi più convincenti per l’umanità, che su questi percorsi ha sviluppato le sue civiltà. Propriamente nella caratteristica di entità aggregante e generatrice di eventi di storie e di attività umane, si identificano i valori a cui ci riconduciamo in questo scorrere. Il fiume Lambro non può sottrarsi a questa ineluttabile condizione. Non è difficile, lungo il suo corso imbattersi in una sequenza di attività produttive, che si sono evolute nel tempo e che nella maggior parte dei casi oggi sono scomparse, ma che tutte indistintamente sono state “vissute” da quell’umanità che ci piace descrivere. Le due note che portiamo in proscenio si accomunano poi, non solo per questo primo legame con il Lambro, ma si caratterizzano per una più sottile valenza. Seguendo gli invisibili fili che formano la fitta ragnatela degli “eventi umani”, occorre nella più assoluta casualità, d’imbattersi in un “fatto”, che dall’apparente completa neutralità, un po’ alla volta stupendoci, ci riconduce ad una vicenda  già nota, che grazie al nuovo imprevisto contributo, nella migliore delle ipotesi può completarsi, come pure aprire nuovi dubbi o addirittura restituire verità opposte a quelle cristallizzate fino a quel momento.

LO SCIAGURATO EGIDIO E IL MULINO DI PROSPERO BEATORE (BERTORI)

E’ quanto e successo sfogliando un volume di Edoardo Fossati dedicato al luogo di Sant’Albino in Monza “Cascine Bastoni e Sant’Albino”. L’estensore descrive nel corso dell’interessante ricerca la dinastia dei Bertori che, cito l’autore: “si potevano perciò considerare tra le famiglie più importanti di Monza fin dai primi decenni del cinquecento”. Prosegue descrivendone le proprietà e i passaggi, avvenuti attraverso alcune generazioni. Ecco ad un certo punto spuntare un nome, Prospero Bertori, non è per noi il: “Carneade! Chi era costui?” di come si dice, “manzoniana memoria”, ma ci riconduce dritto dritto, alle vicende legate al nostro sciagurato Egidio.

Riandiamo alla vicenda ampiamente trattata, legata alla “Monaca di Monza” e all’epopea negativa di Giampaolo Osio, che conduce le due sventurate testimone della sua tresca con Virginia de Leyva, lungo il Lambro e poi sino  a Velate, in cerca del momento propizio per sopprimerle. L’episodio che ora ci interessa è quello della notte del 29 Novembre 1607,  quando l’Osio getta nel Lambro, suor Ottavia Ricci.

SUORA ALLA CHIUSA

“et quando fossimo poco lontano da detto ponte che ci eravamo aviati dietro al Lambro dove era uno zappello detto Osio gettò nel Lambro suor Ottavia”

La monaca è recuperata, dopo varie peripezie, dagli abitanti del mulino. Quando giorni dopo, si svolgono gli interrogatori da parte del vicario criminale, conosciamo l’identità del luogo. Questo, quanto riporta il notaio Francino nel registrare la deposizione degli abitanti del mulino: “E’ chiamata come teste per informazione della Curia Caterina Morona detta la Alesia, figlia del fu Matteo, abitante fuori Monza nel mulino di Prospero Beatore”, rimandiamo a quanto descritto a suo tempo per rinfrescarci la memoria sui fatti. Abbiamo in quell’occasione accertato, a seguito degli interrogatori e l’oggettività dei fatti ricostruiti, che i mulini erano gli scomparsi “mulini delle Grazie”, la cui proprietà era del citato Prospero Beatore e tutto era finito lì.

teresiano mulini e santuario grazie

Ora alla luce di quanto rintracciato nel libro su Sant’Albino di Monza, siamo nell’opportunità di aggiungere alcuni particolari, che non modificano il “succo” della questione, ma che hanno istillato qualche dubbio, che ci piace ora condividere e vagliare. Partiamo da quel Beatore che senza equivoci si trasforma nel Bertori, che i documenti dell’epoca ci tramandano. Segnaliamo dunque questa prima discrepanza, legata alla cattiva interpretazione del testo originale, oppure ad una non corretta trascrizione del notaio del 1607.  Riandiamo alle proprietà dei Bertori, ne citiamo alcune e tra queste quelle che ci interessano. Sappiamo che negli anni venti del cinquecento ci sono loro beni a “Cascine Bastoni” (località prossima a Sant’Albino di Monza) un mulino alla Santa, un terreno ed un mulino alle Grazie. Arriviamo al 1596 quando Giovan Battista Bertori muore, il 22 Maggio il notaio Annibale Bevolco procede alla divisione dei beni. Gli eredi sono i figli Augusto, Prospero e Pietro. Ci sono altri due figli Camillo e Marc’Antonio, ma al momento risultano “banditi” dalla città di Monza e dunque nell’attesa che la condanna finisca, i loro beni  sono affidati a dei “curatori”. Non sappiamo i motivi che tenevano lontani da Monza i due fratelli, conosciamo nel dettaglio  i beni che invece sono assegnati ai cinque fratelli, ci soffermiamo  su quelli che coinvolgono la nostra ricostruzione. La sorpresa è immediata, tra le proprietà assegnate a Prospero, troviamo dei mulini, ma non sono i mulini delle Grazie, si tratta di altri mulini quelli del “Salice”, anche questi scomparsi, o meglio demoliti, come quelli di Val Negra, in occasione dell’edificazione del Parco di Monza.

zona mulini salice

Questi mulini erano posti  più a nord, di quelli delle Grazie, vale a dire risalendo il Lambro, si incontravano i citati mulini di Val Negra, quindi il mulino del Cantone che sopravvive, anche se in occasione della sistemazione del Parco, a cui facevamo cenno, la struttura originale fu abbattuta ed edificata una nuova, con caratteristiche architettoniche, “neo romantiche” in linea con il progetto che gli architetti del tempo, avevano pensato per il Parco Reale.  Solo a questo punto si incontravano i mulini del Salice. Nel testamento di cui abbiamo notizia, sono elencati anche i mulini delle Grazie, ma vengono passati in eredità ad uno dei figli che non possono risiedere a Monza, Camillo. Sono “li doi mulini de miglio alle Grazie”. L’anno del testamento abbiamo visto è il 1596, mancano 11 anni al fatidico 1607, della nostra vicenda. Nel frattempo le cose potrebbero essere cambiate? Abbiamo altri riscontri documentali per gli anni successivi, e sono la divisione di beni in occasione delle morte del Prospero, ma i mulini che passano in eredità ai figli Severo e Carlo Felice, sono solo quelli del Salice, non sappiamo l’anno, ma conosciamo che ora sono indicati con i nomi dei conduttori, vale  a dire il “mulino del Brianza” ed il “mulino del Balestro”. Anche la documentazione prodotta dell’ingegner Barca nel 1615, non ci aiuta più di tanto. Nel suo inventario, sia per i mulini delle Grazie che per quelli del Salice, c’informa che i proprietari sono i signori Bertori. La possibilità che il luogo in cui era stata gettata in acqua suor Ottavia, non fosse quello prossimo alle Grazie, si è affacciata ed è stato necessario, riandare alle deposizioni che citavano il luogo, per chiarire l’evento.  Sia le indicazioni dei padri delle Grazie che le testimonianze dei Valsasnetti, che avevano recuperato, nel fiume, la pelliccia della monaca,  erano abbastanza chiare nel lasciarci intendere che il  mulino fosse quello delle Grazie. Non potevamo comunque dimenticare che l’Alessia fosse nel mulino di Prospero Beatore-Bertori, come chiaramente indicato dal notaio Francino che aveva certificato tutta l’indagine.salice mulino

La spiegazione possibile era dunque che in quell’anno il fratello Camillo fosse ancora “bandito” e la cura dei mulini delle Grazie fosse in capo a Prospero. Per aggiungere una nota di colore prima di chiudere, un risvolto che traiamo dal volume citato sul personaggio “Prospero Bertori”. Nel 1602 lo stesso era stato oggetto di una “reprimenda” del vescovo di Bobbio, Camillo Aulario, che aveva svolto una visita pastorale a Monza. Nei decreti emanati al termine delle visita, segnalava alla Curia milanese che: “Prosper Bertorus e Francisca eius famula e concubina per plures annos cun magno scandalo” convivevano, senza essere sposati grazie anche alla complicità del curato, loro amico  e che anche il Vicario ne era al corrente. Il vescovo deve concludere: “et omnino pervidendum etiam manu potenti”.

LA “FOLA” DELLA CARTA: LIVELLARIO ANTONIO OSCULATI DEL PEREGALLO

Ancora il Lambro è il pretesto per portare a “galla” uno spaccato di una altra vicenda che abbiamo narrato. Questa volta riandiamo alla Cascina del Bruno ed alla divisione testamentaria del 1717 grazie alla quale la signora Maddalena Osculati era in grado, dopo controverse vicissitudini di dimostrare la sua proprietà sull’oratorio della frazione di Arcore. Due differenti vicende, si sono inanellate in un curioso gioco di rimandi fino a chiudere quel cerchio che ora possiamo descrivere. Ricostruiamo il percorso così come l’abbiamo incontrato con quella casualità imprescindibile e singolare, che è il vero spirito di queste semplici ricerche. Durante la raccolta di materiale utile alla stesura di un racconto che parlasse di Ornago, l’attenzione si è rivolta verso un volume che trattava le vicende del santuario di Ornago e dei miracoli ad esso legati. Nel corso delle differenti istruttorie ecclesiali che comprovassero il potere miracoloso dell’acqua che era sgorgata nell’Aprile del 1714 ad Ornago e dove in seguito fu edificato il noto santuario della Beata Vergine del Lazzaretto, mi sono imbattuto in una singolare e curiosa testimonianza, che mi ha interessato soprattutto per la località da cui proveniva il testimone, che ben conoscevo.

peregallo

La zona dove sorgeva la “folla” di Peregallo, condotta da Antonio Osculati.
La riproduzione della mappa, relativa al catasto Teresiano, indica il nome del livellario, e la proprietà delle “Madri di San Paolo” in Monza.

Il luogo è Peregallo, località condivisa tra Lesmo e Arcore, il personaggio è Antonio Osculata(i). E’ degna d’attenzione l’attività che il protagonista svolge e di conseguenza il luogo in cui lavora. Questa la testimonianza: “Il mio mestiere è tendere alla folla della carta”. Lavora dunque alla folla, in cui si otteneva l’impasto, fatto di stracci, che serviva alla produzione della carta. Il complesso era posto sul Lambro,  nel corso dei tempi il luogo subì  diverse trasformazioni, sino alle ultime attività tessili e chimiche del ‘900, che ora sono dismesse. Riandiamo  agli accadimenti del 1714, che non sono privi di una indubbia singolarità. Un passo e siamo ad Ornago; è Aprile, tre ragazzi scoprono in prossimità della località nota come Lazzaretto, a memoria delle ripetute pestilenze dei secoli passati, una sorgente d’acqua. L’avvenimento, considerato il luogo in cui si manifesta, è subito battezzato come miracoloso e l’acqua che sgorga a sua volta fonte di miracoli. Passata l’euforia iniziale, si presentano i problemi pratici a cui ogni attività umana si accompagna. La fede, fa da traino e senza forse, le prospettive economiche e di notorietà del paese, hanno il loro peso. Fatto sta che la Curia vuole essere sicura della “miracolosità” della sorgente e dell’acqua. Ornago e abitanti, non vogliono lasciarsi scappare l’occasione. Parte l’indagine ecclesiale, esito negativo, non sia mai detto, si fa ricorso, via con la seconda e poi la terza, alla fine tutti contenti, il miracolo c’è, la Chiesa certifica, la patente è ottenuta.

immagine ornago

La prima immaginetta ufficiale che attesta la miracolosità del luogo ad Ornago

Ecco che il nostro Antonio  entra in gioco nella terza indagine. Il sospetto e capiremo nel seguito il perché, che la diatriba si svolga senza esclusione di colpi è evidente. Come si dice, i partigiani del “miracolo” sono pronti a giocare tutte le carte possibili pur di spuntarla. In questa dimensione ci sembra d’inquadrare la testimonianza del citato Antonio. Scopriamo che i suoi trascorsi non sono poi così cristallini. Questo emerge dalla testimonianza, interrogato se abbia avuto a che fare con la giustizia e se sia stato condannato, deve ammettere:

Int. Che dica se sij stato altre volte esaminato, se in civile, o criminale, per qual causa, et in qual luogho, e come sij sortito dalle sue depositioni

Risp. Signor sì, che sono stato esaminato dal Sig. Frigè di Vimercato, et fu perché giusto di questi tempi di vindemia io ero fuora in una vigna a curare l’uva vicina a me, et havendo uno chiamato Il bonalume una pistola in mano contro uno di quelli, che erano ivi, fu processato, et io fui esaminato per testimonio, et io sortij bene dal mio esame, dicendo la pura verità, né io seppi poi altro.

Int. Se esso esaminato sij mai stato processato, inquisito, o condannato, per qual causa, in qual luogo et con qual forma.

Risp. Fui processato per una schioppettata, che diedi ad uno chiamato Carlino delle scale, del luogo di Velate, pieve di Vimercato, ma guarì, et con cento lire ne andai al di fuori.

Non propriamente uno stinco di santo. Per ritornare al contenuto della deposizione, l’Osculati afferma di aver condotto alla fonte miracolosa il cognato Francesco Centi infermo, questo il tono della deposizione:

Int. Che dica qual sij questo che ha ricevuto la gratia, qual gratia sij, da chi, in che modo et in qual tempo e se sa altro.

Risp. Francesco Centi del luogo di Intra, quale non haveva la loquela, et erano circa nove mesi, che non poteva parlare, et questa gratia l’ha ricevuta dalla B.ta V. Maria qui alla Capelletta d’Ornago. Il modo fu che lo condussi qua io, et invocata quella B.ta V., et poscia andassimo a quell’acqua, nella quale si lavò, et cominciò a parlare, et andare, et questo sarà circa tre mesi, et questo lo so perché io ero presente.

Il seguito dell’interrogatorio diventa stringente tanto che alla fine l’Osculati ammette:

Int. Se sa che presentemente il detto Centi parli liberamente e dica come.

Risp. Il detto Centi so, che hora parla liberamente, ma non tanto, ma per altro è sano di corpo, mentre prima della gratia ricevuta non poteva né andare né parlare.

Int. Se il detto Cenci è capace di parlare dei suoi negotij e farsi intendere non con li segni, come faceva prima, ma con parlare.

Risp. Lo vedo, che lui si fa intendere con le parole, et è capace per li suoi negotij di farsi capire con la parola, tanto che basta ancorché patisca qualche difficoltà a tempo a tempo.

La commissione alla fine deve decidere, la guarigione non è completa, ci sono stati miglioramenti, ma la salute non è recuperata appieno. Il fatto non sarà giudicato miracoloso.

Il secondo grado ci porta alla citata “folla della carta” del Peregallo, il “giro sul web” in cerca di notizie, lega il luogo alla genealogia degli Osculati. In effetti la citata “folla” è si della carta, ma i ricercatori del Museo Verri di Biassono, che hanno realizzato la ricerca a cui mi riferisco, sostengono l’esistenza di tale impianto produttivo un poco più a sud, dell’insediamento del Peregallo, vale a dire nella località indicata come “Resiga”, dove collocano la casa ove ebbe i natali quell’Osculati che di nome faceva Gaetano noto come “avventuroso esploratore brianzolo” . Le vicende dell’esploratore rimandano all’800, e noi rimandiamo i curiosi al sito del Museo Verri di Biassono, per saperne di più. Scandagliamo la progenie del Gaetano e troviamo, fin dove i documenti dei quattro fondi notarile spulciati dai ricercatori del museo sono arrivati, un altro Antonio Osculati,  che nell”anno 1685, diviene livellario per conto di  Giovanni Pietro Verri, unitamente al fratello, di  un campo detto il Gerrone, esteso 37 pertiche, posto nel territorio di Biassono.

san giorgio teresiano

Dal catasto teresiano, la zona dove era collocata la “folla”, nella cui abitazione visse la dinastia degli Osculati, che diede i natali all’esploratore.

Ci giunge notizie che anche questi Osculati, erano un po’ birichini, tanto che a partire dal 1694 e fin tutto il 1716, non pagano nessun affitto ai Verri, tanto da essere ritenuti decaduti del titolo. Possiamo addurre a parziale scusante, la poca fertilità che doveva avere un terreno chiamato “Gerrone”, tanti sassi e poca terra, e dei miseri frutti che questo poteva produrre, ma gli impegni sottoscritti davanti ad un notaio vanno rispettati, e i fratelli Osculati, non erano stati ligi di certo. D’altra parte anche il nostro Antonio del Peregallo,  era livellario, ma della “folla” di carta che era  proprietà delle Madri di San Paolo di Monza.

folla san giorgio

Come appare oggi la zona in cui sorgeva la “folla”. Appena oltre il ponte, da cui è stata ripresa l’immagine, le abitazioni segnano l’area.
foto (scoprilabrianzatuttoattaccato)

In ogni caso tutta questa progenie del Gaetano Osculati, mettila a San Giorgio di Biassono, mettila al Peregallo, ha vissuto e procreato su questo paio di chilometri di fiume, appunto sino a quel 1808 anno di nascita di Gaetano Osculati, ed ecco finalmente il circolo, che abbiamo tenuto aperto tanto a lungo, chiudersi  quando scopriamo che alla morte del padre, avvenuta nel 1850, l’esploratore deve dividere i beni di famiglia con ben nove altri fra fratelli e sorelle, una curiosità, una sorella monaca non partecipa alla spartizione, è invece presente e s’intasca i beni posti in Biassono l’altra sorella, quella Maddalena Osculati dell’oratorio del Bruno di Arcore, che avevamo introdotto all’inizio della vicenda.

oratorio del bruno

Uno scorcio dell’Oratorio del Bruno, prima dei lavori di recupero degli anni ’90.
foto (archivio comunale di Arcore)

Per una completa informazioni ricostruiamo, in una stringata cronologia gli eventi arcoresi, completati da quelli che oggi possiamo aggiungere. L’anno della diatriba, tra la signora Maddalena e la parrocchia di Arcore, era stato il 1847, nel 1850 muore il padre Gerolamo, ma l’eredità è divisa solo nel 1862, in quella data Maddalena è in possesso anche dei beni del marito quel Gaetano Caronno che aveva altri possedimenti in località San Giorgio. Finalmente, la magnanima Maddalena nell’anno 1887 dona l’Oratorio della Cascina del Bruno alla parrocchia di Arcore, con la speranza di ricevere alla sua morte una prece e  salvarsi l’anima.