La viabilità storica ad Usmate e a Velate, tra riscontri documentali e qualche “bufala”

La viabilità storica ad Usmate e a Velate, tra riscontri documentali e qualche “bufala”

Dai Romani al XVIII secolo

Plinio il Vecchio, nell’elogiare alcune qualità pecuniarie dell’antica Roma, pone attenzione alla cura che i romani prestavano nell’aprire nuove strade, ancora uno storico di fama, Victor W. von Hagen, a sua volta sottolinea: “ Le strade romane sono un fattore di un’importanza incalcolabile nella storia stessa dell’umanità. Roma divenne… la padrona del mondo proprio perché attraverso le sue strade era riuscita a controllare sistematicamente gran parte della superficie della terra”.

Pur nella limitata emergenza di reperti, di quell’epoca presenti nel nostro territorio, l’antica Roma non mancò di tracciare, con le sue vie di comunicazioni, anche le nostre plaghe. Senz’altro, anche prima della venuta della civiltà romana, cammini e vie solcavano la Brianza, tuttavia risulta abbastanza difficile decifrare oggi questi percorsi, ci accontentiamo dunque di iniziare dalla storica e documentata via “Spluga”, “Speluca” in latino, conosciuta anche come ”via Aurea” da quel “Cunus Aureus”, con cui i romani indicavano il passo dello Spluga.

La via univa Milano con Lindau, sul lago di Costanza in Svizzera. La strada, nel suo tracciato, toccava Usmate (Uximatum), provenendo da Arcore (Arculae) per dirigersi verso Lomagna (Lomagna), superato l’Adda a Olginate puntava verso Lecco, attraversando la Valsassina raggiungeva Chiavenna, quindi Madesimo e saliva poi verso lo Spluga. Dopo i lavori d’ampliamento, voluti dall’imperatore Augusto, la via fu chiamata “Drusilla Augusta” in onore di Livia Drusilla, terza moglie dell’imperatore.

Una ricostruzione della viabilità romana nel nostro territorio, si evidenzia la “Strada dello Spluga” e l’andamento della centuriazione, che come si può vedere è disposta con differenti orientamenti, verso l’Adda e verso il Lambro

La strada romana, nel tratto da Milano a Olginate, era marcata da 29 pietre miliari, nel nostro territorio comunale la località del Bettolino risultava su quel percorso, collocata allo scandire del XVI miglio. Nell’uso romano, di dislocare punti di sosta e assistenza sulle vie più importanti, il Bettolino veniva a trovarsi in quell’intervallo compreso tra 12 e 18 miglia in cui si collocavano le “mutatio”. Vere e proprie “stazioni di servizio” ante litteram, dove si otteneva assistenza per persone, mezzi e animali. Una vocazione che traspare evidente dal toponimo “Bettolino”, piccola bettola

Possiamo supporre che nei secoli successivi, tramontato l’Impero Romano e venuta meno quella costante cura del territorio che aveva caratterizzato quel periodo storico, l’itinerario andò a spostarsi verso Velate, escludendo Usmate, che si trovava in una zona più bassa e dunque più soggetta ad impaludamenti provocati dai diversi rami della Molgora, che non più regimentati, trovavano sfogo verso la pianura. Di fatto la via proveniente da Monza dopo Arcore puntava verso Bernate e da qui su Velate, poi tenendo un percorso di costa, dirigeva sempre su Lomagna.

Una mappa del XII secolo. In evidenza del percorso che si biforcava a Velate. Un cammino in quota dirigeva verso Galbiate. Il secondo, più a destra, ricalcava in parte l’antico tracciato romano, terminando a Imbersago, dove l’Adda era superabile con l’utilizzo d’imbarcazioni

Questa tendenza andò consolidandosi nel tempo, tanto che in una mappa del XII secolo si evidenzia, da Velate, la diramazione di due direttrici, una che puntava verso Missaglia, quindi su percorsi che lambivano la Valle Santa Croce si saliva verso nord, ancora in quota, sulle pendici del San Genesio per poi discendere verso Garlate.

La seconda direttrice volgeva verso est percorrendo dopo Lomagna, più o meno, il tratto dell’antica via romana e terminando nella zona d’Imbersago, dove si passava l’Adda con il traghetto. L’antico ponte romano di Olginate era crollato e dunque l’attraversamento del fiume Adda era possibile solo con barche e traghetti. Di fatto la via per lo Spluga mutò il suo percorso. Per raggiungere il passo, partendo da Milano, occorreva salire verso Como e quindi percorsa la sponda occidentale del lago, dopo un lungo periplo giungere in Valtellina.

Appena oltre il Lambro, a Canonica, l’indicazione della “Strada che va a Velate”. Particolare che ci suggerisce la centralità di Velate nella viabilità dell’epoca

Velate rimaneva, tuttavia, uno snodo importante anche per le direttrici che provenivano da ovest. Ancora su una mappa di metà Settecento, poco dopo il superamento del Lambro a Canonica, la strada, nota come la “direttrice del Gernetto” che si originava dalla Porta Carrobiolo di Monza e saliva appunto sino a Canonica, è indicata come “Strada che va a Velate”, lasciando intendere l’importanza del nodo stradale che insisteva su Velate.

La “Ferdinandea” e l’Ottocento

Una svolta nella viabilità del territorio comunale di Usmate e Velate, in quel momento ancora entità separate, si ebbe con la venuta in Italia di Ferdinando I, figlio di Maria Teresa d’Austria, che fu cinto con la Corona Ferrea nel 1838. Del resto, gli Asburgo avevano dimostrato un notevole interesse per Monza, edificandovi tra il 1777 ed il 1780 la Villa Reale.

Monza risultò il punto di partenza di una nuova arteria carrozzabile, che avrebbe collegato la Lombardia austriaca “storica” ai territori di recente acquisto, e costituenti la nuova Provincia di Sondrio. Attraverso questo passaggio si aprì una via diretta verso la Germania meridionale e l’Austria, tramite i valichi del Chiavennasco e del Bormiese. Al sovrano austriaco, Ferdinando I, venne intitolata la via che prese il nome, appunto di “Strada Ferdinandea”.

Il Ponte dei Leoni a Monza ultimato nel 1838 omaggio a Ferdinando I d’Austria, che veniva a Milano con la moglie Marianna Carolina di Savoia “per farsi incoronare con la ferrea”. In onore del sovrano fu intitolata la nuova strada militare (Strada Ferdinandea) che partiva dall’Arengario di Monza e quindi scendendo per l’attuale via Vittorio Emanuele, oltrepassava il Lambro su questo ponte

Attraverso Monza passava, già dal medioevo, la “via del ferro” che percorso a grandi linee l’antico tracciato romano, che interessava le nostre zone, superava l’Adda a Lecco sul “Ponte di Azzone Visconti” (l336-’38) e da qui si inoltrava in Valsassina, giungendo fin presso le “Miniere di ferro dette di Varone”. Questo percorso, nel Settecento, assunse la qualifica di Strada Provinciale con servizio di posta. Fu proprio questo tracciato a costituire l’ossatura della “Strada Ferdinandea”. L’importante novità fu il tratto centrale, messo in opera tra il 1824 e il 1831 dell’ingegnere Carlo Donegani, che realizzava per la prima volta un tracciato completo lungo la riva orientale del lago di Como, collegando Lecco alle nuove e importantissime arterie viarie dello Spluga e dello Stelvio.

La Cappella San Felice a Velate, mausoleo della famiglia Belgiojoso-Giulini. Il busto e la lapide di destra ricordano la figura di Rinaldo Belgiojoso, artefice di una vera rivoluzione nella gestione delle sue proprietà rurali, come indicato nel monumento funebre

Senz’altro questa opportunità ebbe i suoi riflessi positivi anche nel nostro territorio comunale, per altro in concomitanza con gli ingenti investimenti di Rinaldo di Belgiojoso, che acquisita buona parte di Velate ed Usmate, fu protagonista di una vera e propria svolta nella gestione delle sue proprietà dotandole, tra l’altro, di strutture all’avanguardia per quei tempi. Fu organizzato un sistema di collegamento articolato in percorsi viari primari e secondari di accesso agli insediamenti rurali e ai fondi. Rinaldo Belgiojoso si prodigò all’apertura e alla rettifica delle strade comunali di Velate dotandole di una solida selciatura, ancora oggi visibile su alcuni tratti secondari, e completandole con paracarri e cunette. Il piano stradale, collocato ad una quota sopraelevata rispetto alla campagna, era realizzato per dirigere poi in modo opportuno lo scolo delle acque.

Menzioniamo, fra i vari interventi, l’apertura del lungo rettilineo che partendo dalla villa Belgiojoso saliva verso il Mongorio. Il viale fu poi prolungato sino a Rogoredo nel 1837 da Giorgio Giulini, genero del Belgiojoso.

Il viale della Brina, che si origina sul lato sud del Parco della Villa Belgiojoso e termina nei pressi del “Bettolino” inestandosi nella ex S.S. 36

Allo stesso modo, sul lato opposto della villa, l’importante tracciato del rettilineo (Via della Brina) che andava a raccordarsi alla citata “Strada Ferdinandea” nelle vicinanze del Bettolino, località che aveva senz’altro rinnovato la sua funzione di ricovero ed assistenza. Ricordiamo, al proposito, la volontà del Belgiojoso di riedificare completamente il complesso, come illustra un progetto dell’architetto Pollack, intento che rimase solo sulla carta.

Il progetto dell’architetto Pollack, per la riedificazione del “Bettolino”, indicato nel disegno come “Osteria”. La costruzione rimase solo sulla carta e non fu mai realizzata

A metà Ottocento, attraverso gli atti preparatori al censimento noto come “Catasto Lombardo-Veneto”, possiamo conoscere nel dettaglio i principali percorsi stradali che interessavano il territorio comunale.
Per Velate le strade comunali: per la cascina Vega, del viale della Brina, alla Brugorella per Bernate, per Camparada, detta del Mongorio per Casatenovo; e quelle consorziali: per Usmate, per le cascine Volontera, Dosso e Valmora, della cascina Valmora al Masciocco. Mentre per Usmate risultavano le strade comunali: per Vimercate, per Velate, per Imparì superiore, per Carnate, per Lomagna e le consorziali: per la cascina Oggiono, per la cascina Dossi e Fornace, per Imparì inferiore, dei Ronchi, della Fornasetta, per le cascine Tazza e Cazzullo, per cascina Corrada.

Il reclamo di Beatrice Belgiojoso, uno dei proprietari dei terreni interessati al passaggio della nuova strada comunale. Nella mappa odierna il tratto di strada al centro del reclamo

La strada che dalla Volontera conduceva al Dosso, quindi a Valmora, per discendere al Masciocco, classificata come “comunale”, tracciata poco prima del censimento di cui si è detto, determinò nel 1867 una serie di reclami da parte di alcuni proprietari che si erano visti espropriare parte dei loro terreni, per il passaggio della strada, ma si trovavano ancora a loro carico la tassazione per quegli appezzamenti ceduti.

La “bufala”: il presunto Cammino di Santiago

Prendiamoci una pausa per raccontare di questa, per certi versi, singolare e bizzarra tesi.
Spericolati storici locali, percorsi da quella sfrenata fantasia che di certo non “fa la storia”, hanno ripetutamente scritto che per il Dosso di Velate transitava il “Cammino di Santiago di Compostela”.

L’oratorio del Dosso di Velate

Le pezze d’appoggio ad una simile affermazione si concentrano sull’antica dedicazione del primitivo oratorio del Dosso intitolato a San Giacomo (Santiago) e sulla stima delle distanze che scandivano le tappe del percorso, 25 chilometri, quindi il Dosso era la tappa intermedia tra Santa Maria Hoè e Milano (sic).

Presto detto, un po’ di confusione per quest’ultima nozione, forse scambiando le distanze che segnavano lo scandire delle “mansio” sulle strade romane, come abbiamo visto, ma ancor di più, nessuna notizia storica su quale fosse l’itinerario a cui intendesse riferirsi il fantasioso storico. Quanto alla dedicazione dell’edificio religioso a San Giacomo, proponiamo la documentata venerazione della famiglia Casati, proprietaria fin dal 1300, della zona e che aveva edificato l’oratorio nel nome del suo santo protettore.

Un primo indizio ci dirige nella vicina Casatenovo, dove la dinastia dei Casati trova origine. In questa località, nella zona dell’attuale Villa Lattuada, sorgeva il “Conventino di San Giacomo”, fondato dai Casati e tenuto dai Domenicani. La famiglia, come succedeva a quei tempi non aveva mancato, una volta acquisito un importante rango sociale, di stabilirsi a Milano, già a quel tempo piazza di riferimento. Qui, in quella pratica di accreditare il proprio status, aveva diretto, in ambito religioso, il suo interesse verso la Chiesa di San Marco e Brugaldolo Casati, nel 1319, affida al frate Andrea da Monza la gestione per costruire una cappella all’interno della chiesa, dedicandola alla sua famiglia, per la precisione risultava essere la settima nella navata di destra della chiesa. Qui verranno sepolti, in seguito, i componenti della dinastia.

La Chiesa di San Marco a Milano, in un dipinto di metà Ottocento, quando ancora il naviglio non era stato coperto

Ancora una precisa informazione che identifica San Giacomo patrono dei Casati, nella documentazione relativa ai lavori di ristrutturazione e ampliamento della chiesa milanese. Nel 1713, il priore Alessandro Bugati nella tenuta dei registri delle entrate e uscite scrive: “Ricevuto il 4 novembre dall’Ill. Sig. Galezzo Casati per mano dell’Ill. Sig Dott. Tomaso Nava (era il genero) per la costruzione d’un nuovo sepolcro a piedi della sua Cappella intitolata S. Giacomo lire quarantadue…”. Un anno dopo nella lista dei pagamenti, il 18 novembre, compare il nome di Mastro Ottavio Fontana che ha realizzato fra l’altro.”…quattro Sepolcri nuovi… l’altro de Sig.ri Casati a piedi della loro Cappella intitolata S. Giacomo…”.

La nota tenuta dal priore di San Marco in cui nel 1713 si registra il versamento di Galeazzo Casati per la costruzione di un nuovo sepolcro nella Cappella di famiglia dedicata a San Giacomo

Non bastasse, ecco il testamento dei fratelli Galeazzo e Ambrogio Casati, che avevano una loro abitazione al Masciocco, dove avevano edificato l’oratorio dedicato alla Vergine del Carmelo, lì i Casati risultavano già proprietari di terreni a partire dal Catasto di Carlo V, nel 1558. Il 13 marzo 1712 i fratelli tra le innumerevoli volontà elencano, nel loro comune testamento, questa che ci riguarda da vicino: “Vogliamo ed ordiniamo che doppo esser fatto cadavere il corpo di ciaschuno de noi testatori syj sepolto nella nostra Cappella sotto l’invocazione di S. Giacomo Apostolo e situata nella Chiesa di S. Marco…”. Ogni dubbio ci sembra fugato, dopo la lettura di queste note.

“Tutte le strade portano a Roma”, ma non certo a Santiago di Compostela, come ci si è intestarditi di sostenere per la strada del Dosso di Velate.

Nuove strade: ieri, oggi e domani

Riprendiamo il nostro excursus sulla viabilità reale del territorio, per approdare agli anni Venti del Novecento quando si prospetta la realizzazione di quella che per molti anni sarà indicata come S.S. 36. Così, al proposito, riporta lo scritto “Il Novecento ad Usmate Velate, dalla prima guerra mondiale agli anni Sessanta” di Marina Comi :”… il 30 marzo 1924 il Consiglio comunale usmatese aveva approvato il seguente ordine del giorno: «visti i progetti in corso di studio per la rettificazione della strada provinciale Milano-Lecco, ritenuto del massimo interesse per il comune che sia scelto il progetto in forza del quale la strada dovrà seguire la linea attraversante il paese di Usmate. Che tale linea, oltre a seguire il più breve percorso importerà minori spese di manutenzione e costruzione, evitando la costruzione di un ponte sul torrente Molgora e in particolare il paese di Usmate potrà risolvere la questione igienica del risanamento di località malsane che verrebbero abbattute”.

Via Orientale, così come si presentava prima degli interventi degli anni Trenta del Novecento, con l’abbattimento degli stabili del vecchio agglomerato abitativo del centro di Usmate

Dobbiamo attendere il 1931 quando, come riporta lo stesso scritto citato: “…la realizzazione della strada statale 36 portò a tagliare in due il parco dell’asilo, la cui parte rimasta al di là della strada venne ceduta al Comune: “nei primi giorni di gennaio – si scrive sul chronicus della parrocchia – il piccone demolisce la corte Stallette e la parte sinistra di via Orientale. Sono i lavori preparatori per la nuova strada nazionale che, sventrato il paese, taglierà in due l’ampio parco dell’Asilo infantile”.

Il tratto di via Roma che negli anni Trenta era stato interessato all’abbattimento del vetusto “cuore” del paese

Questo tratto dell’arteria, che interessava Usmate, prese il nome di “Via Roma”, tuttavia l’aumento notevole di traffico spinse il comune a numerosi interventi di potenziamento dell’illuminazione elettrica della strada per assicurare un’adeguata incolumità pubblica. 

Usmate in una mappa degli anni Trenta, con le indicazioni delle nuove costruzioni realizzate in quegli anni: la nuova Chiesa Parrocchiale terminata nel 1932, le scuole e il municipio inaugurati nel 1933. In evidenza poi la Roggia Scotti, non ancora “tombata”. Per finire il tracciato di Via Roma che determinò l’abbattimento di parte del nucleo centrale del paese

La fotografia scattata tra il 1936 e il 1938 ritrae il cortile delle nuove scuole di Usmate. Sulla destra l’edifico oggi utilizzato dalla Polizia Urbana ed altre Associazioni. Sullo sfondo verso sinistra il bivio realizzato con la costruzione della via Nazionale, oggi Corso Italia, che attraversa Usmate, la via che si diparte dal bivio verso destra è via Milano.

 Altre modifiche nel 1941, quando venne realizzato il cavalcavia Arcore-Usmate, per eliminare l’ostacolo di due passaggi a livello che interessavano l’arteria. All’inizio anni Sessanta fu realizzata la strada Agrate-Usmate, primo tratto della tangenziale est, che nel 1992 prese la connotazione attuale. L’opera offrì benefici al territorio comunale, fra tutti la riduzione del traffico in via Roma e la nascita di numerosi insediamenti produttivi e residenziali nelle adiacenze dell’arteria, positivi si per l’economia locale, ma che hanno contribuito, pesantemente, a quell’incremento di consumo di suolo con cui stiamo facendo i conti in questo periodo storico.

La zona tra Velate e Bernate interessata al passaggio della futura “Pedemontana”

Peserà, ancora di più, l’alto contributo che il territorio comunale dovrà riservare alla nascente “Pedemontana”, di cui i benefici, finora sbandierati, sono tutti da dimostrare.