LA MONTAGNOLA

LA MONTAGNOLA

A margine di un post di qualche tempo fa, che raccontava del “Fantasma della Montagnola”, si era voluto inquadrare geograficamente e storicamente la località, con un link a parte. Riproponiamo ora la ricerca di Tonino Sala, come post autonomo del blog.

“Montagnola”, è la trascrizione in lingua del termine dialettale “Muntagnœla” nel significato di piccolo rilievo (dove nel parlare normale per definire una piccola altura si preferirebbe “Muntagnèta”), o anche aggettivazione della forma di un modesto accumulo, sia di oggetti che di parole; termine che, un tempo, identificava il vertice di uno scosceso volto a lato sud del territorio. Nella realtà il luogo era, ed è, soltanto parte del continuum del bordo del rilievo di un terrazzamento mendeliano, formatosi all’epoca delle glaciazioni e dei successivi periodi alluvionali e diluviali, che articolato e ricco di intagli e vallette principiava poco sotto il piano dei terreni di Velate-Camparada-Lesmo insinuandosi fino al centro del paese, a formarne la costa originale, i cui margini, in progressione, sono delimitati oggi dalle vie Varisco, Tiziano, Toscana, Brianza, D’Adda, Monte Grappa, Monte Bianco, Col di Lana, Spazzate e, a chiudere il settore, Via Maiella e Gran Sasso.

Nel patrimonio delle rappresentazioni disponibili che illustrano il territorio brianzolo, anche il Brenna dà un notevole contributo di bellezza cartografica. Scrive Antonio Viganò su I quaderni della Brianza”: … la carta topografica de’ “Contorni di Milano:è un capolavoro di rara perfezione tecnica, sottesa da un equivalente gusto estetico che la rendono innanzitutto piacevole alla vista al pari di un qualificato prodotto artistico ….”
Lo scorcio stralciato dal foglio quinto (datato 1838) porta chiaramente il nome “Palazzo d’Adda” e “Montagnola”; la villa al piano è ancora rappresentata a corpo unico con un impianto leggermente diverso rispetto a quello delle rilevazioni teresiane, però è già tracciato il nuovo viale ed è demolita la cascina che sul fronte ne limitava la visione.

Cercare di immaginare il complesso territoriale ai margini del rilievo della “Bassa Brianza”, al quale appartiene anche il nostro paese, e tentando di ricostruire il come dalla conformazione originale si sia arrivati a determinarne gli spazi abitativi, le linee di comunicazione e gli adattamenti, sarebbe una ricerca che implicherebbe l’intervento di  storici e specialisti nelle analisi socio-territoriali e a queste si può solo accennare.

In origine il territorio era solo percorso dai sentieri che gli animali nelle frequenze del passaggio, col loro calpestio, si erano venuti formandosi sui fondi delle incisioni e sui margini delle rogge e degli acquitrini, con attraversamenti là dove i livelli erano più facilmente varcabili. In un secondo tempo, poi, quando la specie “homo” all’inseguimento delle prede arrivò su queste primitive tracce di percorso non ne modificò di molto le piste che cominciarono a prendere consistenza e, in alcuni punti, a variare per adeguarsi alle necessità che via via aumentavano per l’ispessirsi degli stanziamenti seguiti al mutare delle economie, da semplice caccia e raccolta delle origini, all’allevamento e all’agricoltura.

Una serie di installazioni, dapprima di clan tra loro imparentati, che continuavano a estendersi sul territorio in una sorta di “ver sacrum” fino ad incontrarsi con altri, man mano vennero a coprire gli spazi più comodi e più fertili del territorio e naturalmente, quelli che in origine erano radi sentieri, o semplici percorsi su traccia, diventarono vere e proprie strade.

L’unica differenza, fra l’ieri e l’oggi, prima che le necessità di gruppi residenti intervenissero a modificarne l’aspetto, è la selva boscosa che copriva, al tempo, uniformandolo, il territorio. È storico che l’avvento dell’agricoltura procedette per gradi mettendo a coltura, via via nel tempo, prima i campi che meglio si prestavano sia per comodità che per fertilità, risalendo poi, man mano, a quelli meno disponibili e di maggior impegno; così che, fra la fine del ‘600 e i primi del ‘700, nell’intento di avere maggiori redditi dai terreni, anche una parte dei bordi scoscesi dei terrazzamenti alluvionali – quali, ad esempio, i margini collinosi del nostro territorio – furono ridotti a “ronchi”, cioè trasformati in gradinate a ripiani, atte a essere adibite a coltivo.

Per avere una traccia certa rappresentata di confini e conformazione del territorio arcorese è necessario ricorrere al censimento delle proprietà fondiarie ordinata dal governo austriaco, tradotto in mappe (1718 -nomina della “Giunta per il censimento”; 1760 – pubblicazione del nuovo catasto). La compilazione del nuovo catasto doveva fornire l’indicazione della misura e del valore delle proprietà terriere, su cui si sarebbe poi applicata l’imposta fondiaria secondo il loro reddito, con l’obiettivo di conseguire una migliore perequazione fiscale.

“…il catasto ebbe come effetto l’assalto, da parte del ceto borghese, alle brughiere e alle terre incolte…”. Infatti, i proprietari terrieri, … su cui adesso, a differenza di prima, ricadeva il maggior peso dell’imposta, avanzavano la richiesta di godere anche dei vantaggi connessi con tale nuovo aggravio e dirigevano le loro mire sui beni comunali, sulle brughiere e sulle terre incolte, nel tentativo di entrare in possesso di altre porzioni di terreno per accrescere, mediante nuove colture, il loro reddito, che non sarebbe ricaduto sotto l’imposta stabilita dal catasto”.

D’altra parte però questo “assalto” (giustificato dal fatto che la tassazione sarebbe stata calcolata sul valore accertato al tempo della rilevazione senza alcun aggiornamento) significava sottrazione di quel terreno comune che rappresentava per i sudditi non proprietari “l’unica fonte di sussistenza, in quanto vi mandavano a pascolare le loro bestie, ne traevano la legna per l’inverno, ecc.” (Storia d’Italia – De Agostini)

1721 – è la cosiddetta “Mappa originale di campagna”, in scala 1/2000, misurata in “trabucchi” (m. 2,61) e disegnata sul posto in tante parcelle poi riunite in un unico foglio di grandi dimensioni (183 x 197 cm), completa delle rilevazioni quantitative, qualitative e proprietarie, riepilogate a lato. Le quantità sono espresse in “pertiche, tavole e trabucchi”,

Misure di superficie della Lombardia

Pertica = m2 654,52      = 24 tavole

Tavola = m2 27,2716 =   4 trabucchi

Trabucco = m2 6,8179 = 36 piedi

Piede = m2 0,1884

Mappa 1722 – (ridisegnata sulla minuta della rilevazione “di campagna” del 1721, aggiornata, correggendola numerazione delle parcelle rispetto alle numerazioni della rilevazione originale, e pubblicata nel 1760) – Il luogo rappresentato è il saliente della “Montagnola”, come risulta nello stralcio del foglio IX del “Catasto Teresiano”. Sono evidenti, nelle ondate tratteggiate i pianori (pianœu) dei ronchi che incombono sul piano, al limite del quale, dopo la, forse, primitiva villa o cascina, vi è il brolo (144), i giardini all’italiana (143) e l’impostazione della residenza di campagna arcorese dei d’Adda (376).

Prossima al margine basso è disegnata la residenza di campagna dei d’Adda, è un corpo unico, se pur articolato, che si affaccia su un “piazzaletto” (chiamato, nel dialetto arcorese, senza poterne spiegare l’etimologia, “Bruaxel”). Non è possibile identificare gli accessi, se avvenissero direttamente dalla piazzetta, sotto arco, o dalla stradina che conduce alla costruzione collocata ortogonalmente più sopra. Oltre lo schizzo in pianta del fabbricato, e l’angolo che compare in alcuni disegni e dipinti facendo da spalla prospettica, la versione originale dell’edificio non è nota, come non è noto né il quando (è però certa l’esistenza di una casa da nobile già sul finire del’ 400 lasciata in eredità da Francesco I ai figli Agostino e Costanzo) né il come fu costruita, anche se fra le ipotesi formulate sul “Castello” e sulla sua collocazione vi sia quella di un suo adattamento e riduzione di questo alla residenza in immagine.

Qui sotto la sezione ingrandita del luogo nella versione originale. Anche qui i “rivelli” dei ronchi sono segnati, però con una semplice linea continua.

Quale fosse l’edificio oggetto del primitivo lascito non si può che supporre, certo si è che discutere sul prima e sul dopo di questi fabbricati, mancando totalmente di documenti o tradizioni, potrebbe anche essere solo un piacevole perditempo.

Nel documento “Fondi di seconda stazione”, compilato per il completamento della rilevazione catastale, dopo le interruzioni conseguenti alle guerre di successione polacca e austriaca, i due immobili sono così censiti:

376 – D’adda = C.te Francesco q.m Costanzo

Casa di propria abitazione comp.so li due giardini in mappa al n° 141 e 143 in tutto 5 pertiche e 9 tavole – Coerenza da Levante Roggia detta Fontanino, a Mezzog.no e ponente Strada ed a Tramontana Brolo del nom.to Sig. Conte.

377 – D’adda = C.teso detto

Casa d’affitto (depennato) comp.so l’Orto in mappa al n° 172 e l’Ortino al n° 173 in tutto due pertiche e 15 tavole

Fitto annuale £ 80 (depennato)

Coerenza a detta Casa ed Orti da’ Levante del nom.to Monsig.re Vismara, à Mezzog.no Ponente e Tramontana dell’Anti ’ detto Sig. Conte D’adda (qui sotto le sue ascendenze)

Da una planimetria, della quale si riproduce una sezione, pubblicata dal Rosa sul suo “I Marchesi d’Adda e la villa d’Arcore” è possibile avere un’idea della conformazione della villa come appariva nel “1808”,

Planimetria della villa tratta dal testo del Rosa

L’impianto è leggermente diverso da quello rilevato nel 1721; dove abbia attinto l’immagine che pubblica non si sa.

Sulla stessa “Storia” è riprodotto un disegno, dice il disegnatore Viganò, “delineato dal vero”, dove l’unica parte della villa originale al piano è la spalla che serve da margine prospettico al disegno della “Casa” dell’Abate. Per la verità c’è un po’ di fantasia nel particolare della linea di monti che, nella realtà, da questa posizione, sono del tutto invisibili.

L’immagine, che raffigura la Montagnola e gli spazi al piano, si presta a una relativamente facile lettura sul come era il luogo.

L’intrico di stradine e sentieri dividono il piano dai “ronchi” che poi saranno raccordati con l’apporto di 160.000 m3 di materiale; la presenza di altre costruzioni oltre alle due ville evidenzia l’esistenza di una notevole organizzazione di gestione e manutenzione del luogo: scuderie, case coloniche, serre, ecc.; quel rettilineo contornato da alberi, in alto al lato destro, alveo di una roggia (Fontanino) che percorrendo il vallo fra due collinette, separa la proprietà d’Adda dalla proprietà Vismara (1760), viene a scaricarsi sul piano e da qui alla Molgorana (sulla mappa del Brenna e sulla quella catastale del 1859 è ancora ben evidenziato); a lato sinistro la strada per Peregallo-Lesmo si biforca con la svolta a sinistra per il San Martino e sulla destra si incunea al bordo del rialzo collinare che risale aggirandolo fino al piano di accesso al retro della “casa” dell’Abate (è curioso notare che nonostante la rivoluzione apportata dall’ultima sistemazione dell’architetto Balzaretti un residuo di questo “rimontare” esista ancora e sia visibile sul lato dello sperone).

L’attuale Via Corridoni fino agli anni venti del secolo scorso nominata “Strada dei Ronchi” consente una visione diretta molto chiara del margine dell’altura che domina sul piano.