RIMOLDO
Lo scomparso palazzo Parravicini e la chiesa dedicata a San Carlo Borromeo
La cascina di Rimoldo, è citata, una prima volta, in un documento del 1456.
Un maggior sviluppo si ebbe nel secolo successivo quando al seguito del tesoriere dello Stato, Brebbia, che ottenne in feudo l’intera pieve di Missaglia nel 1538, si installarono nelle cascine della zona vari signorotti, per lo più residenti a Milano. Già a metà del Cinquecento risultano presenze signorili a Casatenovo, Casatevecchio, Galgiana, Cascina Bracchi con Valaperta e, appunto, Rimoldo, Rogoredo e Campofiorenzo.
Nel 1580 la località faceva parte del comune che comprendeva oltre a Rimoldo, Vallaperta e Cascina Bracchi. Nel Seicento poi Rimoldo si staccò da Cascina Bracchi. In quest’epoca il luogo è noto come una cascina dei nobili Parravicini, trasformata in seguito in palazzo con corte aperta verso la strada, ingresso monumentale, ortogonale all’asse longitudinale del complesso e grande giardino rettangolare all’italiana, di tutto questo, non resta che una foto della corte e una colonna solitaria attorniata da alcuni parallelepipedi di pietra sullo spazio prospiciente al luogo dove sorgeva il palazzo abbattuta ad inizio anni settanta.
Il palazzo padronale univa, fin dal primo Settecento, la duplice funzione di residenza signorile per la villeggiatura, e di elemento centrale sia nella struttura fisica del complesso di fabbricati rurali sia nei rapporti sociali tra i padroni e i contadini. I fabbricati rustici si aggregarono nella parte sud, per lo più attorno al cortile d’ingresso e alla stessa strada d’accesso esternamente al cancello, costituendo una piccola comunità autonoma. Il complesso fu dotato anche di una propria chiesetta, fatta erigere dagli stessi padroni, nobili Parravicini, verso la metà del Seicento, e quindi di loro “jus patronato”, ma che per la posizione esterna alla corte del palazzo e senza alcun collegamento diretto interno con i locali della villa sembra essere nata più come chiesetta per l’intera comunità, che come cappella gentilizia privata. Poco più di un anno fa (2020), come apprezziamo dall’immagine d’apertura, un importante restauro, finanziato da un benefattore anonimo, ha recuperato l’esterno dell’edificio.
La chiesetta, intitolata a S. Carlo, presenta il tipico schema ad aula unica, diffuso in tutto l’ambito milanese dopo la Controriforma in osservanza a schemi progettuali precisi predisposti secondo una sorta di manualistica della Curia Arcivescovile. La stessa conformazione e gli elementi stilistici della facciata della Chiesetta confermano la datazione che si fa risalire al 1686. Il portale è del 1802, all’interno, prima del passaggio dell’oratorio, al comune e della dismissione definitiva, importante la presenza delle cappelle della Madonna e di San Francesco che erano sorte a seguito di riattamenti nel primo Ottocento, epoca a cui apparteneva anche il campaniletto che sovrastava il palazzo e fu abbattuto, con lo stesso, la decorazione della facciata dell’edificio religioso, sembra risalire al 1950.
Nella metà dell’ottocento abbiamo notizie che nel “palazzotto dei Rimoldo” vi furono accolti i colpiti del colera del 1855, in particolare quelli del vicino abitato di Vallaperta, in cui il morbo era stato particolarmente virulento.
Questo è il racconto che ci ha lasciato lo storico Cappellini, nel suo “Memorie storiche di Casatenovo”: “Rimasero colpiti per primi gli abitanti della Cascina Vallaperta e allora per non trasportare altrove i colpiti fu aperto un ricovero nel palazzotto dei Rimoldo. “Fu in quei cassinaggi a quei di di gran tristezza e dibattimenti deplorevoli perché quei contadini già assaliti dal morbo o vicini ad esserlo non volevano sottoporsi ad alcun preparativo o rimedio o essere assistiti dagli infermieri colà spediti, non essere trasportati all’ospedale, e fra queste querele e negative s’eran poi lasciati si fattamente cadere l’animo che anche i non affetti dalla malattia se ne stavano con viso stupido e morto nighittosi sdraiati lungo la pubblica via, o rincantucciati nelle loro stalle ad attendere la malattia e la morte, anziché invocare ed accettare i necessari provvedimenti. Così di giorno in giorno quei miseri casolari andarono vieppiù infettandosi e si sarebbero così deserti se non si fosse rigorosamente provveduto. Il perché allora il parroco di Galgiana avendo esposto al commissario il difficile stato delle cose, fu incaricato un solo individuo di sovrintendere a tutte le necessità e così potè mettere ordine. Al principio di ottobre furono chiusi gli ospedali di San Giacomo e Rimoldo”.
Qualche notizia sui Parravicino di Rimoldo
I Parravicino, estendevano le loro proprietà da Rimoldo, sede del palazzotto in cui risiedevano, per comprendere portandoci verso Usmate, la località di Valaperta e quindi ancora i Dossi prima di approdare ad Imparì. I loro beni includevano inoltre, le cascine Mongorio e Mongorietto nella prossima Velate.
Le fortune dei Parravicino, segnano una lenta e inesorabile decadenza, verso la fine del Settecento, parabola conclusasi quando l’ormai anziano Giovanni Parravicino, pone in vendita all’asta diversi beni, tra cui la località d’Impari e il suo sempre prezioso mulino. Nel 1801 lo stesso Parravicino attraverso un atto d’investitura semplice, affitta al “cittadino” (siamo in epoca napoleonica), Matteo Tognola di Rimoldo, un’estesa possessione a Tradate, nell’atto si specifica che per i terreni, affittati allo stesso nei dintorni di Rimoldo, resteranno disponibili sino alla loro vendita, visto che il Parravicino sta cercando acquirenti. Unitamente finiranno all’asta altre 3800 pertiche di terreni, comprensivi di abitazioni e del famoso mulino. Il 6 ottobre 1800 Giovanni Parravicino nel nominare l’avvocato Giuseppe Bagatti, proprio procuratore, dichiarava la difficile situazione economica in cui versava, qualche passo rende appieno la circostanza: ”…per provvedere colla possibile prontezza al soddisfacimento delle passività tanto ereditarie, che proprie, e contratte eziandio pel di lui necessario giornale mantenimento, giacché li pesi diversi, le contribuzioni, gli sovr’imposti straordinari carichi, la grandine sofferta ne scorsi anni, ed anche le requisizioni, hanno a segno diminuito il prodotto dei Beni che o poco, o quasi nulla poté egli nei trascorsi anni…”. Il Bagatti, nel gennaio del 1801, seguendo le disposizioni di legge, procede nella pubblicazione delle cedole in cui si descrivono i beni in vendita, l’asta ha luogo ad inizio marzo. Sarà infine il commerciante Carlo Sanchioli, affermatosi con l’avvento di Napoleone in Italia, era membro del “Collegio elettorale della Repubblica Italiana de’ Commercianti”, uno dei tre rami di cui si componeva l’elettorato della Repubblica Cisalpina, ad aggiudicarsi l’intera partita per la somma di 360.000 lire in denaro d’oro e d’argento sonante al corso, peso e bontà delle grida di Milano. Tra i testimoni dell’atto di vendita segnaliamo la presenza del sacerdote Felice Panighetti che risultava abitante a Rimoldo e forse qui svolgeva o aveva svolto la sua funzione di sacerdote.
Per sottolineare l’entità del patrimonio immobiliare dei Parravicino, riproduciamo, le così dette cedole (manifesto) dove si annuncia l’asta dei beni di Giovanni Parravicino, nelle diverse località della zona.
Valaperta la nuova chiesa di San Carlo
Ritorniamo ai nostri giorni per spostarci nella vicina Valeaperta dove come abbiamo anticipato giusto 50 anni fa fu edificata la nuova chiesa, spostando la dedica di San Carlo, da Rimoldo al nuovo edificio.
L’importante quadreria dell’antica chiesa, tra cui un San Carlo, un San Francesco e una Natività, hanno trovato posto nella moderna struttura e dunque sono stati salvati da una fine mesta a cui sembra purtroppo destinata la chiesa in cui erano conservati. Possiamo in questa sede solo accennare alle serie di quadri presenti, mostrandoli nella galleria, che proponiamo.
Aspetti, località e storia della Brianza. "Ci sono paesaggi, siano essi città, luoghi deserti, paesaggi montani, o tratti costieri, che reclamano a gran voce una storia. Essi evocano le loro storie, si se le creano". Ecco che, come diceva Sebastiano Vassalli: "E’ una traccia che gli uomini, non tutti, si lasciano dietro, come le lumache si lasciano la bava, e che è il loro segno più tenace e incancellabile. Una traccia di parole, cioè di niente".