L’Ar-core del futuro… uno sguardo al suo passato

L’Ar-core del futuro… uno sguardo al suo passato

“HangAr-core: in volo verso il futuro”

Nell’attesa che il progetto, con al centro l’area ex Bestetti, ex Falck muova qualche passo, vediamo come riempire questo tempo.

Finora, l’ex area industriale é stato occupato dai grattacieli, che hanno stravolto lo skyline arcorese, senza che la comunità abbia ancora potuto usufruire di una di quelle innumerevoli promesse, che il costruttore aveva sottoscritto per mitigare la colata di cemento che ci ha onorato di versare su Arcore.

Tornando a noi, ci accingiamo a presentare una serie di “pezzi” che rievocheranno il “com’era”. Il piacere, supportati da una documentazione storica accertata, di restituire ai lettori alcune pagine di storia locale, lontane le imprecisioni e i “sentito dire” che costellano spesso le dissertazioni sulla pionieristica epopea del volo ad Arcore, così come, raccontare il prima e il dopo di quella leggendaria epoca. Non seguiremo una precisa cronologia. Cercheremo, tuttavia, per quanto possibile, di esprimere un discorso organico sull’argomento.

Paolo Cazzaniga

La guida indiscussa, di questa prima parte, è ancora una volta Tonino Sala, che ci racconta della Falck ad Arcore 

E’ storia relativamente recente. L’area oggi occupata da piazza Pertini ospitava una volta un complesso di capannoni industriali la cui produzione era impostata alla trasformazione dei semilavorati del ferro: lamiere e fili. Lo stabilimento era chiamato “ul Zerbon” (il nome gli rimase finché, per distinguerlo dal nuovo stabilimento sorto sul campo d’aviazione, [ex Bestetti] diventò ” la Falck vegia “).

Nel 1904 la Società Zerboni & Bolzani aveva la sede produttiva ad Arcore, come si può vedere dalla “cartolina postale” che invia ad un cliente a Novi Ligure

Nei primi anni del secolo ventesimo Zerboni aveva avviata in questo luogo una produzione metallica di tranceria, tessitura, trafileria, reti di recinzione e carpenteria che assorbiva poco più di un centinaio di persone.

Stabilimento Falck. In primo piano gli edifici della “Falck vegia” , dove oggi c’è piazza Pertini. Sullo sfondo l’insediamento del nuovo stabilimento Falck sull’area occupata in passato dalla Bestetti.

Negli anni successivi, Falck in cerca di sbocchi ai propri prodotti siderurgici, e nell’intento di entrare sul mercato anche con prodotti di più alto valore aggiunto, assorbì la Zerboni potenziandone le produzioni di base, costruendo nuovi capannoni ed avviando altre lavorazioni. Al termine della seconda guerra, nella quale sei “falchetti” persero la vita, riportata la produzione a pieno regime e avviato il nuovo reparto “elettrodi per saldatura”, lo stabilimento occupava all’incirca quattrocento unità. Tra i suoi dipendenti, allora, vi era anche “Szepin Perego” che doveva poi fondare la Peg.

Via Edison – Sul lato destro la recinzione della Falck. La vegetazione maschera il corso della Molgorana non ancora coperta.

La filosofia del lavoro Falck prevedeva una assistenza completa dei propri dipendenti, quella che certa ideologia chiama “paternalismo”, e gli stessi principi avviati a Sesto, gradualmente vennero introdotti anche ad Arcore.

Via Edison nel 1956, dopo i lavori di copertura della Molgorana. Sulla sinistra il complesso industriale della Falck, dove oggi sorge piazza Pertini

Le prime case per lavoratori, costruite poco prima degli anni cinquanta sul nostro territorio, furono proprio le due case Falck di Via Centemero, allora disperse nell’aperta campagna del Sentierone (via Manzoni non era ancora tracciata). L’arrivo dell’ing. Cesana, dalla Falck di Porta Romana, a sostituire come direttore Zerboni, ormai avanti con gli anni, trasformò radicalmente la faccia del vecchio stabilimento. L’intrico di cinghie di trasmissione, alberi, pulegge, che da un unico enorme motore, avviluppando tutti i capannoni, portava il moto alle varie macchine, sparì e l’ambiente venne assumendo una dimensione più umana e più moderna. Una maggiore attenzione alla promozione culturale e sportiva venne coinvolgendo i dipendenti: aiuti ai lavoratori studenti, supporto economico e tecnico alla scuola professionale serale, visite guidate a città e musei. Non mancava comunque una certa conflittualità supportata dalla politicizzazione del sindacalismo.

Vennero gli anni cinquanta e Falck potenziando e trasformando una tecnologia di produzione di tubi già esistente a Porta Romana, acquisita l’area ex Bestetti e il campo d’aviazione, costruì un nuovo stabilimento per la produzione dei tubi senza saldatura che dalle incertezze iniziali arrivò a pieno regime agli inizi degli anni sessanta con l’impiego di un migliaio di persone e una produzione di alto contenuto qualitativo attorno alle 150.000 ton/anno.

La costruzione del villaggio Falck con l’apertura della via Francesco Baracca. Alle spalle del cantiere, sulla sinistra i due hangar edificati nel 1941, destinati ad accogliere il progetto “HangAr-core”

Sempre nella filosofia Falck, quasi contemporaneamente allo stabilimento, man mano sorgevano i reparti, sorgeva anche il villaggio Falck. La creazione di strutture abitative proprie riservate ai dipendenti, nasceva dalla necessità di avere gli specialisti a disposizione, a portata di voce, per gli interventi urgenti, anche se nella realtà non erano solo quelli ad abitarvi. Il Direttore Cesana, lasciato il vecchio “Zerboni” era stato messo a capo del nuovo stabilimento dove, oltre alla sua competenza portò quel “paternalismo” che si tradusse in una biblioteca, una sala musica, spettacoli teatrali di primo livello, una filodrammatica, concerti e infinite branche di sport per tutti i gusti.

Manifestazioni sindacali all’ingresso principale della Falck

L’uscita di Cesana e l’arrivo delle nuove direzioni coincise con l’inizio di pesanti conflitti sindacali e con una prima avvisaglia di crisi mondiale dell’acciaio. I rapporti vennero sempre più spersonalizzandosi riducendosi ad aride applicazioni di accordi e contratti. Tutto ciò che costituiva la filosofia storica della conduzione fu smantellato: stop ad ogni attività di carattere assistenziale e socio-culturale. Pesanti ritardi decisionali limitavano l’adeguamento dell’azienda al mutare dei tempi: nuovi impianti, appena partiti, in poco tempo erano fuori mercato. I margini economici di sopravvivenza si assottigliavano continuamente. Il vecchio stabilimento chiuse man mano tutti i suoi reparti e nel nuovo tagli di produzione e di organici instaurarono un clima di guerra continua. Allo scoppiare della seconda crisi l’incapacità manageriale delle nuove generazioni, trovatesi a capo dell’azienda, di adeguarsi diversificando le produzioni o uscendo dall’acciaio per qualche cosa di nuovo, si tradusse, arrivati i tagliateste, in una lenta continua liquidazione di beni, capacità operative ed esperienze realizzando soltanto pesanti passivi economici, riducendosi infine alla cessione del tubificio allo Stato (Dalmine – Tenaris).

 

Fine prima puntata