Ascesa e caduta di Casa Serponti -terza parte-

Ascesa e caduta di Casa Serponti -terza parte-

ASCESA E CADUTA DI CASA SERPONTI

"Archivio della famiglia Serponti"

TERZA PARTE

Dal registro, che illustra quello che era l’Archivio della famiglia Serponti, ci dirigiamo con questo articolo, nella descrizione dei documenti che trattano il territorio di Velate. Un post che vuole essere di approfondimento all’articolo apparso, in questo mese di dicembre, sull’Informatore Comunale di Usmate-Velate

Il logoro registro, vista del dorso

In questo nuovo appuntamento, nel percorrere l’Archivio della Famiglia Serponti, focalizzeremo il nostro interesse sulla parte che riguarda il territorio comunale di Usmate-Velate.
Per ragioni di spazio svolgeremo questo nuovo capitolo in due puntate. Ricordiamo come nel 1803 le proprietà Serponti di Usmate e Velate passarono a Rinaldo Belgiojoso per la cifra di 460.000 lire. Vediamo, ora, come si era dipanata l’epopea dei Serponti, nei nostri territori, sino a quel 1803. Le modalità con cui i Serponti entrarono nella disponibilità delle proprietà di Velate ed Usmate, non si discostano da quanto abbiamo visto nelle puntate precedenti. Situazioni finanziarie in dissesto e prestiti elargiti e poi non onorati, erano la prassi consueta per incamerare edifici e terreni. Frequentazioni in ambito amministrativo, politico e militare nel ducato di Milano risultavano una vetrina importante per l’attività della famiglia. L’entrata in scena dei Serponti a Velate risale al 14 gennaio 1655 con Giorgio Serponti, che ricopriva la carica di “Segretario Regio dello Stato di Milano”. 

Il Serponti acquista proprietà, messe all’asta per ripianare le disastrate finanze della famiglia Ghislanzoni, in prossimità della località nota come la “Vega”. La possessione comprendeva una casa indicata “da nobile e da massaro”, che si completavano con la corte, l’orto e una vigna, in tutto 215 pertiche. Discoste dalla proprietà principale c’era “la Vignazza” e “la Campagnola” terreni che coprivano altre 70 pertiche, per finire il bosco che si dice “della Valle” e “Luppo”, estensione 250 pertiche. Il prezzo, da pagare ai diversi creditori dei Ghislanzoni, era fissato in 22916 lire imperiali. 

La Cascina Vega in un’immagine di qualche anno fa

Gli strascichi determinati dai ricorsi che la complessa situazione aveva fissato, si protrassero sino al luglio del 1708 quando Gio Paolo Serponti si determinò a saldare il conto, pagando un residuo di 11200 lire imperiali a Pietro e Girolamo Vassalli, che ancora reclamavano diritti sulla possessione della Vega. Giorgio Serponti è nuovamente protagonista nel 1659. Sono i fratelli Visconti a mettere in vendita una loro proprietà, sempre a Velate, indicata come il “bosco del Massimiliano”

Un bosco di 200 pertiche con legname pronto d’abbattere, che valorizzava il terreno. In tutto furono sborsati 7050 lire imperiali. Dall’atto di vendita si conosce una situazione finanziaria dei fratelli Francesco e Maurizio Visconti, che richiedeva qualche aiuto, parte del prezzo finisce ad alcuni creditori, altra parte per pagare la tassa sul perticato all’erario per le proprietà di Velate e Arcore, per finire occorreva riscattare parte della loro abitazione ipotecata. 

Il bosco e il ronco detti del “Zojello” registrati nel Catasto Lombardo-Veneto, metà Ottocento. In questa zona nella metà del Seicento possiamo ipotizzare fosse collocato il “Bosco del Massimiliano”

Dove era collocato il bosco del Massimiliano? I Visconti avevano trattenuto un centinaio di pertiche del bosco che in seguito saranno vendute a Francesco Casati nel 1666 ed indicate con il toponimo di “Gioiello”. Andando a spulciare le rilevazioni fatte del 1857, in occasione del Catasto Lombardo-Veneto, compare l’indicazione del toponimo “Zojello”, che mappa alla mano ci permette di collocarlo nella zona sulla destra di via del Dosso salendo da via Tre case. Possiamo dunque ipotizzare che il “bosco del Massimiliano” coprisse l’area tra “Villa Angioletta” e “il Dosso di Velate”. Arriviamo al 1665 e il solito Giorgio Serponti, si affaccia alla Cassinetta e per 1120 lire imperiali acquista 12 pertiche, di “vigna, ronco con cassina et orto”, a venderli il conte Camillo Melzi. 

E’ questo il primo passo per acquisire l’intero complesso della Cassinetta e dei terreni circostanti. Dieci anni dopo, nel 1675 Stefano e Andrea padre e figlio Brambilla vendono a Gio Antonio Serponti, nelle vicinanze della cascina, 4 pertiche di vigna detta “la Guasta” e alla Cassinetta altre 7 pertiche, che restano in affitto ai Brambilla, famiglia che risultava già insediata nella località sin dalla metà del Cinquecento. Tra il gennaio e l’agosto dello stesso anno Angela Brambilla e le sorelle Lucia e Caterina, con probabilità nipoti della prima, cedono a Matteo Stampa, che poi si paleserà emissario dei Serponti, le loro quote di proprietà su alcuni immobili e su un terreno detto “la Vignola” e un piccolo bosco. Un anno dopo Germano Brambilla, che si era rivolto a Pirro de Capitanei per avere un prestito, risulta privarsi di parti dello stesso immobile e terreni vari tra cui, oltre ai già citati, si aggiunge il bosco di 3 pertiche detto “il Laghetto”, sito sempre alla Cassinetta. Gio Antonio Serponti, subentrando nel credito del Capitanei, divenne proprietario anche di questa parte di beni. Dobbiamo aggiungere che questa vendita si confermò solo nel 1686, con l’atto stipulato tra il Serponti e l’erede del Brambilla, Gio Antonio. 

La Cassinetta, in un disegno di Iginio Gatti, prima dei profondi lavori di rifacimento, che l’hanno trasformata in complesso residenziale

Nel 1677 altre 7 pertiche di terra “dove di dice alla Guasta” sono vendute da Bartolomeo Brambilla al Serponti, che le affitta allo stesso venditore. Nel 1680 si affaccia sulla scena il fratello di Gio Antonio, è l’abate Alessandro Serponti, arciprete in Santa Maria della Scala a Milano che mette a disposizione 2330 lire imperiali per consentire ad alcuni componenti della famiglia Brambilla di riprendersi le 30 pertiche della vigna e boschi “detti li filli longhi”, che avevano venduto con “patto di grazia”, vale a dire che potevano essere riscattate, ai Padri Conventuali di San Francesco di Milano. Lo stesso abate, dodici anni dopo, rinnoverà l’affitto dei terreni ai due fratelli Brambilla a cui si è aggiunto un terzo, Giuseppe, indicato come reverendo. L’abate prorogherà per altri nove anni il patto per “redimere” i beni. Le vendite dei Brambilla proseguono e nel 1681 Francesca Briosca vedova di Giacomo Brambilla cede, per 1552 lire imperiali, a Gio Antonio Serponti, ora indicato come segretario, carica ereditata dal padre, la “vigna della Vega” e il “campo della Valle”, 15 pertiche in totale. 

La Cassinetta come si presenta oggi

Arriviamo al 1714 e 1715 quando i due rami dei Brambilla, da una parte i religiosi: canonico Giuseppe e il fratello curato Pietro Antonio e per l’altro ramo i fratelli Stefano e Domenico, per ripianare una serie di debiti con i Serponti, ora rappresentati dall’abate Giorgio, e dal questore Valeriano, figli di Gio Antonio, acquistano l’immobile in cui vivono i Brambilla e altri terreni per circa 40 pertiche. Le traversie dei Brambilla non troveranno tregua, tanto che una parte dei loro crediti risultava ancora in essere nel 1742, quando furono ceduti dai Serponti a Gio Batta Gallarati, niente a che vedere con i noti Gallarati-Scotti. Il Gallarati, attraverso un iter giudiziale divenne proprietario delle ultime disponibilità dei Brambilla prendendo poi in affitto altre proprietà dei Serponti e della Scuola del Santissimo di Velate, questi ultimi erano, tra l’altro, un lascito fatto alla parrocchia da un Brambilla, diventando l’unico proprietario della Cassinetta e dei terreni collegati.
A questo punto facciamo un salto indietro all’anno 1667 è il momento in cui i Serponti dirigono i loro interessi verso il centro di Velate. Ricordiamo la vicenda della Monaca di Monza e del fratello di Gian Paolo Osio, Teodoro che abitava a Velate. Per via ereditaria le proprietà di Teodoro erano arrivate nelle mani della nipote Susanna Bossi e del marito Alessandro Buoncristiano. I due, nell’anno citato, avevano accumulato debiti per prestiti con Giorgio Serponti per una cifra di oltre 4000 lire imperiali. Due anni dopo i coniugi fanno vendita al Serponti: “… di tutti e qualunque suoi beni siti nel territorio di Velate, con casa da nobile e Cassine descritte in testa del qm. Teodoro Osio per il prezzo da arbitrarsi…”.

Riferendoci alla mappa proposta, relativa al Catasto Teresiano, indichiamo due abitazioni, ai mappali 259 e 260. L’abitazione al 260 era la proprietà che il padre dei due fratelli Osio aveva ereditato da una Marliani, e gravata del livello a favore della chiesa di Velate, la 259 era parte dell’edificio realizzato abusivamente dalla stesso Osio, come indicato in alcuni antichi documenti della Parrocchia di Velate. A proposito dell’abitazione al mappale 259, nel 1745, il marchese Gio Giorgio e il conte Anselmo Serponti effettuano un cambio di proprietà con la “Scuola del Santissimo”. In cambio ricevettero un’abitazione, identificabile nel nucleo di case indicato con il numero 266, riconducibile alla zona dove oggi sorge la “Curt Granda”. L’edifico a ridosso della chiesa sarebbe servito per alloggiare il cappellano. 

La collocazione della Cascina Rampina, nella rilevazione del Catasto Teresiano

Tra le altre proprietà passate ai Serponti dai coniugi Buoncristiano, c’era la “Cassina detta della Rampina” abbattuta, ormai vetusta, all’epoca di Rinaldo Belgiojoso.

Nella mappa odierna la posizione in cui sorgeva la Cassina Rampina con la viabilità dell’epoca

I fratelli Serponti avevano destinato il reddito prodotto in questa cascina, per la gestione dell’oratorio che avevano edificato nel 1748, in prossimità dell’odierno Palazzo Belgiojoso, come adesso vedremo. 

Gli eredi della famiglia Albrizi, che a metà Cinquecento risultavano proprietari della quasi totalità di Velate, verso gli anni Sessanta del secolo successivo, palesano una indubbia difficoltà finanziaria. Nel 1660 Girolamo Mantello eroga a Giacomo Albrizio un primo prestito, che nel 1668, quando gli eredi del Mantello, cedono i loro crediti ai fratelli Brety, la cifra risulta essere di poco inferiore alle 8000 lire imperiali. A garanzia della cifra, che dovrà essere restituita entro sette anni, risultano impegnati genericamente “tanti beni siti nel territorio di Velate”. Ciò nonostante, nel 1672 i fratelli Gio Batta e Paolo Albrizi si privano, a favore del segretario Giorgio Serponti di “una casa da nobile e piggionanti con pertiche 130”, siti nel territorio di Velate, per il prezzo di 13000 lire imperiali. Cifra che non basta a saldare le pendenze con il Serponti, che restano scoperte per ulteriori 1792 lire imperiali. Le abitazioni indicate si collocano prossime alla piazza antistante il Palazzo Belgiojoso, sono poi compresi terreni, tenuti a vite, nella prossimità del Bettolino. Qualche anno dopo, nel 1684, quando anche il fisco reclama tasse sui perticati non pagate, sono le sorelle Girolama e Maria Albrizi, eredi di Girolamo Albrizi a vendere a Gio Antonio Serponti buona parte delle loro proprietà, tra cui figurava quella parte di edificio, che profondamente modificato, si trova nella corte interna del Palazzo Belgiojoso, dove insiste la “sala delle colonne”. 

All’interno dell’edificio le vestigia dell’antica costruzione che era stato prima degli Albrizzi e poi dei Serponti. A testimonianza, nel riquadro, il disegno che riproduce la “Sala delle colonne”

I Serponti saranno in grado, nel 1790, attraverso un’asta che aveva coinvolto l’ultima parte di quanto era nella disponibilità dei fratelli Mauri, ultimi eredi degli Albrizi, di completare l’acquisto degli edifici che si collocavano dove in seguito sarà edificato, dai Belgiojoso, il Palazzo che ancora oggi apprezziamo.

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