Ascesa e caduta di Casa Serponti -seconda parte-

Ascesa e caduta di Casa Serponti -seconda parte-

ASCESA E CADUTA DI CASA SERPONTI

"Archivio della famiglia Serponti"

SECONDA PARTE

Questo articolo, che tratta dell’imponente registro, voluto da Gio: Giorgio Serponti, nella prima metà del Settecento, per tenere nota di tutti i documenti che riguardavano la sua famiglia, vuole essere di approfondimento all’articolo apparso, in questo mese di ottobre, sull’Informatore Comunale di Usmate-Velate

Continuiamo, in questo numero, la descrizione del registro in cui sono elencati, per argomenti ed in ordine cronologico, i documenti della famiglia Serponti.

Avevamo terminato con la villa di Varenna, Villa Cipressi, ancora oggi esistente. Il registro propone, a questo punto, i documenti relativi alle altre proprietà in Varenna, innumerevoli case, ronchi, terreni, crotti, sino ad arrivare alla pagina 70.
Corposa la parte dedicata ai possedimenti di Bellano. In questo spazio si intervallano, per pertinenza territoriale, atti relativi alle disposizioni testamentarie del Capitano Tomaso Serponti. Emergono, poi, altre attività intraprese della famiglia, come l’appannaggio di alcuni dazi, in Bellano quello della vendita del “vino a minuto”.  Nel 1690 Carlo Antonio Citterio acquista dal Magistrato Ordinario di Milano una serie di “Dazio”, elencati nell’immagine proposta sotto. Poi nel febbraio del 1691, attraverso un ulteriore atto notarile, lo stesso Citterio affermerà di essere “sottomessa persona”, vale a dire che aveva operato per terzi, del Segretario Gio: Antonio Serponti e per la cifra di 632 lire aveva acquisito il dazio per la vendita al minuto del vino per Varenna e sua giurisdizione. In effetti i differenti dazi d’imposta acquisiti, lasciano pensare che il Citterio si fosse fatto carico di unire un numero considerevole di richieste e quindi operare presso il Magistrato Ordinario. 

Da pagina 109 incontriamo una serie di documenti che riguardano, in modo indiretto, i Serponti toccando doti e lasciti delle parentele acquisite, che tuttavia spesso confluiscono nei capitali della famiglia. Germanedo e Belledo sono le località interessate da attività di acquisizione e cessione, che ci conducono sino alla pagina 136.

I Serponti verso la nascente "industria"

Verso la fine del Seicento, i Serponti si affacciano, con investimenti, in settori della nascente industria, in località Castagna, territorio di Lecco, acquistano […] un Edifizio da traffilare il ferro […]”. 

Nel 1668 abbiamo notizia dell’acquisizione ancora di una fucina, nei pressi della località San Giovanni, dintorni di Lecco, posta sul torrente Gerenzone. 

Poi, nel 1710, investono per “ […] un’officina, o sia Traffilera sita nel Luogo di Bassignana”, che cederanno solo un anno dopo. 

Una cartiera all'avanguardia

Ancora, in ambito dei primordi dell’industria, abbiamo da citare nella località Cima, nell’odierna città di Lecco, nella zona tra Rancio e Acquate, in prossimità del torrente Caldone, l’esistenza di una “Fucina grossa da ferro” che viene riconvertita da Antonio Serponti, siamo nel 1678, in “Folla di Carta alla forma di Bergamo, e Leone […] che detto Edifizio non possi esser aggravato più di due soldi d’estimo”, come sentenziava il Magistrato Ordinario dello Stato di Milano. Lo stesso, qualche anno dopo, 1687, dava lustro all’iniziativa del Serponti concedendo “ […] a Gio: Antonio Serponti, et alli Fabricatori della Carta di nuova invenzione […] l’esenzione del Dazio della Mercanzia per tre future locazioni, et l’esenzione del personale a quelli che travaglieranno in detta Folla […]”. 

Non conosciamo quale fosse l’innovazione apportata dal Serponti con il metodo citato. Solitamente per produrre la carta si partiva dagli stracci di tessuti che sminuzzati, utilizzando magli azionati idraulicamente, davano vita all’impasto che opportunamente addizionato, attraverso processi di deposizione delle fibre, dava vita ai fogli di carta.
Questa attività fu ceduta in locazione, come confermato da un successivo documento del 1701, in cui il Serponti sollecitava Stefano Arcine affinché saldasse il residuo debito relativo agli affitti non pagati.

Ancora mulini e ferriere

 Ancora Antonio Serponti nel 1681 aveva incamerato un altro importante complesso costituito da un mulino per frumento a tre ruote e di un ennesimo “Edifizio da Ferro”, in località Castello, sempre a Lecco. In seguito si dovranno prendere accordi con due enti religiosi, prossimi all’impianto, per la gestione dei corsi d’acqua che alimentavano l’attività del mulino e della fucina, sono le Monache di S. Maria Maddalena e i Padri del Convento di San Giacomo. 

Diritti di pesca

Tra acquisizioni di case e terreni a Lecco e Lierna, da creditori insolventi, si approda ad alcuni privilegi accordati, nel 1647, dal Re di Spagna Filippo IV, che concede, per due anni, ad Alessandro Serponti un “Commissariato della pesca del lago di Como”. Sempre a proposito di diritti di pesca segnaliamo in quel di Varenna, precisamente a Fiume Latte, l’autorizzazione di catturare pesci nel fiume, rilasciata dai Serponti ad un certo Batta Venino, con una contropartita di 25 libbre all’anno di agoni. Nella stessa località la famiglia, nel 1676, ottiene il benestare, dalla Comunità degli uomini di Varenna, per costruire postazioni di pesca, indicate a quel tempo con i nomi di “legnaro” e “peschiera”. 

La figura del "Fisico" Gio. Giorgio Serponti

Dalla pagina 170 sino alla 280 il registro tratta dei documenti relativi alle località a noi prossime, Usmate e Velate comprese, di cui abbiamo detto, tratteremo nell’ultima puntata. Di qualche interesse la vicenda del Fisico Gio. Giorgio Serponti, che ricopriva la carica di capo-medico nell’esercito imperiale, autore di alcuni trattati sanitari, citiamo: “Dell’uso del salasso nelle febbri terziarie e quanto possa usarsi nel vaiuolo”. Alla sua morte, occorsa nel 1663, seguì una disputa tra il fratello capitano Tomaso erede designato e la figlia e il marito di quest’ultima, che si appellavano a vincoli di primogenitura, indicati nel testamento. La vicenda, tra sentenze e ricorsi, si trascinò per anni, tanto che nel 1674, a causa dell’evidente degrado dei rapporti tra i contendenti, i due coniugi reclamavano da Tomaso la dote della figlia, mai elargita. La notorietà dei protagonisti scomodò papa Alessandro VII, nel redigere una lettera monitoria verso chi aveva occultato parte dei beni dell’eredità contesa. 

La Milano dei Serponti nel Seicento, tra affari immobiliari e appalti del fisco

La descrizione di un caratteristico angolo della Milano del Seicento con i suoi navigli e le attività ad essi collegati ci raccontano di diverse case e terreni, indicate come “beni del Rizzolino”, acquisite, verso la metà di quel secolo, appena fuori Porta Ticinese alla Madonna del Naviglio. Anni dopo, nel 1728, l’autorizzazione del Magistrato affinché Paolo Serponti, possa fare ”un guato, per servizio de lavandari, nel naviglio […] sopra l’imboccatura del cavo detto il Rizzolino”. 

Proseguendo lo scorrere, delle pagine del registro, ci imbattiamo in una nuova forma d’investimento finanziario intrapresa da Giorgio Serponti. Dapprima lo troviamo, che si sostituisce nel pagare le tasse, in particolare quella sul “perticato”, a contribuenti in difficoltà, richiedendo in cambio interessi che variano dal 4% fino al 7%, nell’attesa della restituzione dell’intera somma che aveva anticipato. In seguito, amplia il campo d’azione, sia come concessionario, della Città di Milano, per la riscossione delle tasse, sia acquisendo i crediti, sempre dal demanio, di contribuenti insolventi. Questo impegno, incominciato nel 1659, si protrarrà negli anni e molte pendenza finiranno agli eredi di Giorgio Serponti. 

Emblematica la vicenda che vede coinvolta la famiglia Orombelli, iniziata nel 1660 con i primi prestiti si concluderà dopo due generazioni, nel 1728, quando verrà saldato l’ultima parte del debito. Attraverso questa attività, molto spesso i Serponti incameravano i beni immobili messi a garanzia dai creditori. Ancora un velo sollevato sulla Milano del ‘600 in quell’Osteria al segno del Pozzo in Porta Ticinese, che entrata nella disponibilità dei Serponti, a compenso di debiti non saldati, sarà ceduta nel 1688 con qualche forzatura esterna ad Anna Visconti Stampa. L’episodio ci svela quel “maggior peso” dei Visconti-Stampa, che appellatasi alle autorità, per presunti privilegi che vantavano sull’osteria, avevano avuto, infine, partita vinta. 

Ancora, nella Milano che conta, il prestito elargito nel 1656 dal solito Giorgio Serponti a Paolo Figini discendente della dinastia che aveva voluto nell’ultimo quarto del ‘400 edificare in piazza del Duomo il famoso “Coperto del Figini”, per secoli luogo di ritrovo di prestigio della città. Alcuni immobili, case e botteghe, furono messi a garanzia, dal Figini, per fare fronte alla dote spirituale della sorella, in procinto di farsi monaca e per onorare la tassa sul perticato. Gli immobili resteranno in affitto al Figini e anni dopo, Tomaso erede di Giorgio, chiese l’intervento dei Consoli di Giustizia di Milano, per sollecitare la restituzione del prestito e degli interessi. 

Per la cronaca ricordiamo come il Coperto del Figini fu abbattuto nel 1864, per fare posto, tra l’altro, alla Galleria Vittorio Emanuele.

Nell’attività finanziaria dei Serponti, vale la pena soffermarci sull’emblematico l’episodio che determina l’acquisizione, nel 1732, di una casa da nobile in Porta Ticinese contrada del Crocefisso, proveniente dal dissesto economico della famiglia Anzaverta. I Serponti, il marchese don Giorgio Valeriano e il fratello conte Anselmo, con meticolosa costanza erano stati in grado di rilevare una serie di crediti ipotecari sull’immobile in questione, che facevano capo a differenti soggetti. Questo il nutrito elenco: Suor Barbara Mattona del Monastero di S. Orsola di Monza, i fratelli Clerici, il dottor Francesco Maria Sorino, il Monastero di S. Marta in Monza, oltre ad una serie di altri creditori, indicati nell’atto per l’ammontare del loro credito. Non era stato casuale l’incontro dei Serponti con gli Anzaverta, se già nel 1698 il Segretario Gio: Antonio Serponti, forte della sua carica istituzionale, aveva potuto nominare Giuseppe Anzaverta suo procuratore per l’esercizio del “Registro delle Biade”, all’interno della Magistratura Straordinaria di Milano. Ricordiamo che il citato “ufficio” si occupava di rilasciare le licenze di trasporto delle granaglie (biade) all’interno del ducato milanese e della loro esportazione al di fuori dei suoi confini.

Nella inevitabile ricerca, da parte della famiglia Serponti, di forme d’investimento redditizie, ci siamo imbattuti in un curioso “dazio”, di cui Gio: Antonio Serponti aveva ottenuto il controllo. Si tratta del “Dazio delle pelle verdi”, tra l’altro relativo ad una località distante dai luoghi in cui i Serponti si muovevano solitamente. La tassazione riguardava le pelli di animali, non conciate, e interessava il loro commercio, che in prevalenza coinvolgeva chi macellava bestiame e si trovava con le pelli degli animali da gestire. La località in questione è il contado e la città di Alessandria, che nel 1690 dipendevano da Milano. Il peso politico dei Serponti, si svela nelle modalità d’acquisizione, che vedono i titolari della concessione del dazio indicato, recedere restituendo il monopolio alla “Regia Camera” di Milano, che per la stessa cifra, appena sborsata per riavere la concessione, la cede immediatamente al Serponti allo stesso prezzo, poco più di 29000 lire imperiali. 

Tuttavia il Serponti, cederà a sua volta in sub appalto la gestione della tassa. In seguito, modificata al ribasso la percentuale che si poteva esigere sul dazio, il Serponti si rivolgerà ripetutamente alle autorità, lamentando, altresì, diversi abusi che venivano compiuti in Alessandria e nel contado, che evidentemente sminuivano le sue entrate. Infine, nel 1752, non sappiamo se fu un sollievo per i fratelli, Conte Anselmo e Marchese Gio: Giorgio, disfarsi della concessione che fu rilevata, ancora per la stessa cifra, dalla “Camera Regia” questa volta di Torino, sotto la cui sfera d’influenza era caduta la città di Alessandria.

Per saperne di più

I 152 capitolo (seconda parte)

15. Casa in Varena nella contrada della Malpaga

16. Casa in Varena detta la Perlaschina

17. Casa i Varena che si dice alla Torre d’Olivedo e Cescano

18. Case in Varena una sopra il lago & altra che si dice del Scotti

19. Varena, Ronco di Pino, e Piancaneda

20. Aquisto delle sette Fontane detto il Crotto

21. Ronchi della Gatta, Val del Motto, e Casa in Pino Territorio di Varena

22. Molvedo detto Olivedo Monte di Varena

23. Acquisti diversi nel Territorio di Varena

24. Eredità del Capitano Tomaso Serponti e Laura Conti Iugali

25. Casa da nobile in Bellano

26. Casa in Bellano lasciata per Ospizio a R.R.P.P. Reformati di S. Francesco

27. Case in Bellano de Maynoni, Pennato, e del Forno. alienate

28. Redditi sopra la Comunità di Bellano

29. Vigne, e Ronchi nel Territorio  Bellano dette in Coltogno

30. Vigna del Caglio Territ.o di Bellano, Eredità del Capitano Serponti

31. Orto, e Vigna da Po, Eredità del Capitano Serponti

32. Andrea Vitale Fittabile del Lozzo. Territ.o di Bellano. Crediti del Capitano Serponti

36. Dazio del vino a minuto del Borgo di Bellano e sua Giurisdiz.e

48. Fucina, e Traffilera alla Castagna detta delli Candiani, alienata

49. Folla, o sia Fabrica della carta nel Territ.o di Lecco

51. Fucina da Ferro, o Traffilera a S. Gio∼ detto Vincanino

52. Molino della Madalena, Territ.o di Lecco

60. Commissariato p∼ la Pesca del Lago di Como, e Lecco a favore della Famiglia Serponti

61. Regy delli Agoni

103. Crediti del Fis.co Serpon.ti, per perticati civili

104. Osteria del Pozzo in P.T.P.S Sebastiano, alienata

113. Case, e Botteghe al coperto de Figini, retrovenduta

117. Dazio delle Pelle verdi della Città, e Contado d’Alessandria

 

Il Rizzolino

Le notizie di pubblico dominio, che si trovano sul web, iniziano la loro storia con la Confraternita dei Lavandai di Milano, per raccontare di un’angolo della città, oggi famoso nella “Milano da bere”, noto come “Vicolo dei Lavandai”.

C’è ancora il lavatoio che dall’anno della sua costruzione fino alla fine degli anni ‘50 circa veniva utilizzato correntemente per lavare la biancheria dagli abitanti del quartiere  e non solo.

La licenza concessa a Paolo Serponti nel 1728, può dunque essere associata con l’inizio di quell’attività dei lavandai e della loro Confraternita.

Fu un’associazione operaia in cui gli uomini si occupavano di andare a ritirare la biancheria sporca nelle case dei facoltosi della città, la lavavano, asciugavano e la riportavano al cliente pulita.

In genere i panni venivano portati a spalla in delle gerle, il lavandaio si inginocchiava su una piccola panca in legno chiamata brellìn e procedeva a lavarli nel lavatoio (el fossètt) alimentato dalle acque del Naviglio Grande strofinandoli sugli stalli in pietra. Da quanto si legge sempre nel nostro atto e come mostrato dalla mappa proposta era l’acqua del “Cavo Rizzolino” ad alimentare i lavatoi del vicolo, che uscita dal bacino della Darsena, finiva poi nel naviglio.

A quei tempi non c’era il sapone per il bucato come lo abbiamo oggi, per lavare venivano usate diverse miscele come acqua bollente e cenere, la lisciva o “el paltòn”, un composto preparato con cenere, soda e sapone.

La Madonna del Naviglio di cui si parla nell’atto di acquisto del 1647 è la chiesa di Santa Maria delle Grazie , che ai tempi dei Serponti era una cappelletta che  ospitava un’immagine della Madonna ritenuta miracolosa. Successivamente questa cappella fu demolita per lasciare spazio a una chiesa barocca che però venne rasa al suolo da un incendio nel 1719.

Dopo il restauro, la nuova chiesa funse da parrocchia per diverso tempo fino a che, verso la fine del XIX secolo, era ormai troppo piccola per accogliere tutti i fedeli della comunità, fu quindi creato un progetto ad opera di Cesare Nava per realizzarne una più grande e maestosa.

All’interno della chiesa è custodito un altare dedicato al santo patrono della Confraternita, Sant’Antonio da Padova.

Per finire con una nota di colore la proposta di una fotografia scattata nel 1957. Georges Simenon (autore, fra gli altri, dell’Ispettore Maigret), passeggiando per Milano in cerca di ispirazione per un nuovo romanzo, fu fotografato in Vicolo dei Lavandai.

Lo scatto fu pubblicato il 27 dicembre 1957 sul periodico Epoca n. 378

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