
I SANTI DEL MESE: GENNAIO
Questa rubrica trae spunto dalla descrizione di quelle “santità” che hanno avuto una particolare venerazione in Brianza. La loro ricorrenza, oltre ad una valenza religiosa, aveva un differente, se non ancora più importante valore nello scandire lo scorrere quotidiano della vita dei contadini, calendarizzando quelle attività che segnavano l’annata dei lavori della terra. Un connubio portatore altresì, di una fioritura di proverbi altrettanto pregni di cultura contadina, sia intesa come “saper fare”, ma sopratutto come solidità morale nell’attribuire un valore concreto agli accadimenti della vita.
GENNAIO
Nella parlata dialettale brianzola il primo mese dell’anno gennaio era indicato sia come “genar” che con il più particolare “ginee”, che si lega ad alcuni proverbi e modi di dire.

Carlo Bestetti -Arcore 1985-
Evidentemente le consuetudini tipiche di questo mese nella Brianza del passato, facevano i conti, come abbiamo detto, con l’attività contadina, imprescindibile fonte di sostentamento e vero e proprio “modus vivendi”. Ci troviamo dunque a trattare aspetti, che per le ultime due generazioni, risultano completamente desueti. Sopravvivono a questo oblio solo poche ricorrenze, risultando per il resto solo oggetto di una qualche curiosità, che può sollecitare ricordi, più per il “sentito dire”, che non per una esperienza diretta, unica eccezione i settanta-ottantenni, ancora tra di noi, che hanno vissuto queste tradizioni in prima persona. A volte mi è sembrato vero indicare questo passato come l’origine e la base che ci ha condotto al vivere presente. Oggi, nonostante l’innegabile legame temporale e geografico che unisce questo passato al nostro presente, devo ammettere a malincuore, che non trovo più alcun punto di contatto tra questi due mondi.
Rimane dunque la sola necessità “storica” di tenerne traccia a futura memoria.
Da guida due testi: “Del tecc in sü” di Sandro Motta e “Il lunario di Brianza” del Ronzoni, che ha giocoforza attinto a piene mani al lavoro del Motta, quale fonte d’ispirazione. Ancora il libro di Franca Pirovano “Sacro, Magia e Tradizione in Brianza”, a completare i testi di riferimento.
Archiviato il periodo “di fest”, con l’ultima ricorrenza dell’Epifania, che ormai ci siamo lasciati alle spalle da una settimana, c’indirizziamo verso il primo santo che godeva di una certa rilevanza nella Brianza che stiamo raccontando, San Mauro.
MATRIMONI E ALTRE FESTE
Prima di addentrarci con le vicende del santo, tre annotazioni. La prima vuole ricordare il mese di gennaio per la particolare valenza che aveva nella vita contadina. Era uno dei pochi mesi, se non l’unico, in cui tutte le attività della terra segnavano il passo e dunque ecco che in questo periodo ci si poteva concedere, facendo in tal modo uno strappo, alla sobria condotta che caratterizzava la vita in Brianza, qualche momento di “leggerezza”.
Una contenuta libertà d’azione, per le ridotte incombenze lavorative, a cui si aggiungeva la necessità di esorcizzare le condizioni climatiche della brutta stagione, che facevano il paio con i conseguenti cupi sentimenti dell’animo, risultavano il giusto motore, per fare un po’ di baldoria. Momenti volti inoltre a consolidare quei rapporti che legavano i componenti della comunità, per condividere e affrontare uniti le difficoltà, pegno della vita contadina.
Evidenziamo la valenza negativa dell’inverno, tanto da essere considerato da ogni famiglia, alla stregua di una bocca in più da sfamare, per il consumo di combustibile che la stagione richiedeva. Era proprio il “freddo”, a scandire per la gente di quel tempo, il lasso temporale che delimitava l’inverno e trovava i suoi estremi tra la ricorrenza di “Ognissanti”, inizio novembre e San Biagio, il 3 febbraio (ancora una volta non sono i giorni del calendario, ma le ricorrenze dei santi a segnare lo scorrere del tempo)

Un matrimonio a Missaglia, anni ’30 del Novecento
Era inoltre gennaio, il periodo abituale per celebrare i matrimoni, nessuna concessione ai mesi che avrebbero garantito un clima e un tempo meteorologico migliore, a cui oggi ci si indirizza, ma il solo sollievo di non essere oberati dal lavori dei campi. Ricordiamo alcuni santi, celebrati in questo mese, che in modo più o meno diretto, risultavano coinvolti con “l’affare matrimonio”. Ne parleremo più diffusamente nelle date di pertinenza, ora citiamo solo i nomi: Sant’Antonio, San Sebastiano e Santa Agnese, dobbiamo poi aggiungere una ulteriore ricorrenza, di quel passato ormai dimenticato, in cui si era soliti compiere un rito, sempre ispirato al matrimonio, era l’ultimo giovedì di gennaio, quando si celebrava la “Gibiana”, di cui tratteremo a suo tempo.
Anche la chiesa privilegiava questo mese per collocarvi quelle celebrazioni, che nei mesi di lavoro sarebbero state di sicuro impedimento e forse anche disertate. Parliamo delle “Quarantore” e delle “Missioni”, momenti che oggi hanno solo un significato per i frequentatori e praticanti attivi della chiesa.
I FALO’
Una seconda considerazione evidenzia per questo periodo la consuetudine di rischiarare, ad alcune precise scadenze, le lunghe notti di gennaio. Riferiamo della tradizione del falò, che si lega a antichi riti del fuoco, che come è facile supporre, discendono dall’era più arcaica dell’uomo.
Interessante al proposito quanto sintetizza la ricercatrice Franca Pirovano, nel descrivere la valenza del fuoco: “E’ elemento importante nei riti di previsione, come in moltissimi riti magici, ed è ben comprensibile, data la sua importanza centrale nella storia della civiltà e dell’economia. Per questo moltissime feste popolari si concludevano con un falò, rito apotropaico e propiziatorio insieme, capace di cancellare il negativo e preannunciare una buona annata: più la fiamma è alta e chiara, più il pronostico è favorevole”. Ricorda ancora al proposito un particolare rito, quello del “pallone bruciato” in uso in diverse località della Brianza durante la celebrazione della festa del patrono e che serviva, un tempo, per individuare la buona riuscita dell’attività agricola durante l’anno.

Gennaio 2017 il falò a Campofiorenzo – Foto AFCB dal sito: www.sentieriecascine.it –
Il fuoco è a ragione considerato il mezzo per cancellare con le sue fiamme, che gli sono proprie, le negatività ed al contempo propiziare il futuro da quel momento di purificazione in poi. Questi eventi si configurano, in tal modo, come spartiacque tra le diverse scadenze nel panorama delle attività agricole, che si susseguono durante l’anno. A ragione, a seconda delle varie latitudini, questi rituali trovano la loro celebrazione durante periodi diversi. Sempre la Pirovano: “Nel folklore europeo ci sono – ma forse è più esatto dire c’erano – falò per il ciclo di fine inverno (da Natale a Carnevale), di primavera (Quaresima e Pasqua), d’estate (san Giovanni); ma anche per Beltane (primo maggio) e per Halloween (primo novembre)”. Ancora a proposito dei falò è opportuno segnalare la posizione della Chiesa che ha cercato di integrare, quando possibile, queste pratiche antiche e pagane “santificandole”, esemplare la ricorrenza di San Giovanni, anche se tale atteggiamento d’inclusione è stato disatteso in parte per i falò di fine inverno. Ricordiamo quello “autorizzato”, a Sant’Antonio, mentre risulta totalmente “laico” il falò dell’ultimo giovedì di gennaio con la “Gibiana”, che come ricorda la Pirovano: “rappresenta il fantoccio che subisce la “morte” nei modi più vari: oltre che bruciato può essere fucilato, annegato, impiccato o semplicemente scacciato. E tuttavia questi fantocci erano spesso – forse in origine lo erano tutti – anche simbolo e pegno di fecondità, che il fuoco, se mai, sottolineava aggiungendo carica positiva a chi già ne aveva: essi concentravano in sé, e diffondevano attraverso la loro distruzione, fertilità ed energia vitale”.
SAN MAURO A CAMPOFIORENZO
Terminiamo con un’ultima osservazione di ambito locale, segnaliamo l’antica chiesa di Campofiorenzo dedicata a San Mauro e Santa Eurosia, che al suo interno accoglie, con statue e dipinti, un prezioso campionario di santi legati al culto più tipico praticato in Brianza.

Campofiorenzo: la corte e interno chiesa
Una curiosità; tutti i santi all’interno dell’edificio, fatta eccezione per la sola Santa Eurosia, si celebrano nel mese di gennaio, forse una conferma di quella necessità del mondo contadino di fare “quadrato” durante il temuto mese d’inizio anno e potere al contempo condividere qualche momento di spensieratezza.
In occasione delle varie ricorrenze, sarà pubblicato il relativo contenuto
Il santo è compatrono della chiesetta di Campofiorenzo, con Santa Eurosia. San Mauro, abate benedettino, vissuto nel VI secolo, era stato discepolo di San Benedetto e a detta di San Mauro, solo grazie all’intercessione del maestro era in grado di compiere miracoli. Una modestia, tuttavia smentita dallo stesso Benedetto da Norcia. Alcune fonti, vogliono poi il santo in Francia, con il compito di fondare monasteri. Come sempre tali leggende si intrecciano tra loro, generando molteplici rappresentazioni e racconti miracolosi, che caratterizzano la vita del santo.
San Mauro è invocato per trovare sollievo dai dolori, più specificamente contro reumatismi, epilessia e gotta.

Statua di San Mauro a Campofiorenzo
A differenza di altri santi, i cui meccanismi di protezione seguono una precisa codifica che si rifà alla vita del santo o ad altre particolarità ad esso legate, la protezione impartita da San Mauro si affranca da queste suggestioni. Una spiegazione dei suoi poteri taumaturgici potrebbe derivare dalla commemorazione, che cade in una data invernale, epoca in cui i dolori, si manifestano con più frequenza e intensità
Il culto del santo, che risulta diffuso da epoche antiche, prevedeva d’impartire una benedizione agli infermi con la reliquia della Croce. A Campofiorenzo esiste una reliquia del santo che viene baciata dai fedeli il giorno della celebrazione. Più particolare il culto praticato in passato a Renate, nella località Vianò, dove sorge un piccolo edificio religioso dedicato a San Mauro. Qui i fedeli nella convinzione di accorciare i tempi dell’intervento miracoloso, dopo avere invocato il santo, erano soliti inghiottire qualche piccolo pezzetto del dipinto dei San Mauro, che si trovava su una parete della chiesa, aiutandosi nel deglutire, con un sorso d’acqua. Tale pratica, affondava evidentemente radici in una concezione si antica, ma dalla connotazione magica, rischiava la completa asportazione del dipinto. Oggi risulta scampata solo la testa del santo, il frammento pittorico è stato rimosso e collocato in una posizione protetta e più sicura. Sembrerebbe che una sorte simile sia occorsa all’immagine del santo conservata nell’oratorio di San Benedetto a Civate, dove i fedeli hanno letteralmente mangiato il dipinto. Evidentemente una pratica comune in due luoghi diversi, che affondava le sue motivazioni in una ragione che non ci è pervenuta.
Ancora a Seregno, la celebrazione del santo nell’abbazia olivetana di San Benedetto, si svolge con una manifestazione di fede ancora sentita.
Il mondo contadino, nonostante durante il mese di gennaio, segnasse una ridotta attività lavorativa, non mancava di tenere d’occhio le condizioni atmosferiche e attraverso alcuni proverbi prefigurava l’andamento dei prossimi raccolti agricoli sperando fossero copiosi.“La pulver de Ginee la impiendiss ul granee “ e ancora “Genar secch, missee sciur”, Quindi un mese senza precipitazioni, secco e dunque “polveroso”, sarebbe stato l’ideali per avere molto grano nella stagione estiva.
Attraverso, qualche altro proverbio, introduciamo il santo del giorno, Sant’Antonio abate.
E’ consolidato che ancora a metà gennaio il freddo la faccia da padrone: “Sant’Antoni frecc de demoni“, tuttavia qualche spiraglio, verso la fine dell’inverno, si inizia ad avvertire e quale segno di speranza si sentenzia: “Sant ‘Antoni un ura e un glori”, le ore di luce si sono accresciute, di quanto? Poco più di un ora è garantita. Ancora, come invocazione propiziatoria, più che come constatazione reale, è riportata la consuetudine che concludeva il rito del falò di Sant’Antonio, quando i contadini, buttavano all’aria i cappelli e ripetutamente esplodevano nel grido: “Se slunga i dì! Se slunga i dì!”, a conferma delle giornate più lunghe che a piccoli passi portavano fuori dalla stagione invernale.

Sant’Antonio Abate, alla cascina Porrinetti di Casatenuovo

La rappresentazione di Sant’Antonio, nella chiesetta di Campofiorenzo
Sant’Antonio abate, a cui si aggiunge quel “del purcell”, per distinguerlo dal santo di Padova, ricordando in tal modo la figura del maialino che accompagna l’iconografia dello stesso è figura di spicco, nella tradizione popolare brianzola. Nell’indicazione che fa riferimento al maiale, ricordo la consuetudine, valida forse non per tutta la Brianza, ma senz’altro nell’Alta Brianza, quando ancora alla fine degli anni Sessanta, nella prossimità di questa ricorrenza si macellava il maiale, allevato in cascina e destinato all’uso famigliare. Tale consuetudine risulta, nella letteratura di riferimento, collocata dai più nel mese di dicembre.
La tradizione vuole Sant’Antonio invocato come protettore degli animali, delle ragazze da marito, dei mendicanti, delle zitelle, ancora contro gli incendi e contro il “fuoco di Sant’Antonio”, per finire delle persone molto avanti con l’età.
Vediamo ora attingendo dai tre testi di riferimento, di cui si diceva all’inizio, come queste protezioni si giustificano e in che modo traggano le loro origini.
Ricordiamo la veneranda età del monaco che dopo una vita trascorsa nel deserto della Tebaide, vi trovò la morte a 104 anni. Da qui la protezione degli ultracentenari. Sandro Motta ci fa sapere di una singolare usanza, chi superava la soglia del secolo di vita, riceveva un santino del monaco, accompagnato da questa formula: “Tegnii una maistà de Sant’Antoni. Inscì el ve tegn luntan tanti demoni…”. (Prendete il “santino” -letteralmente figurina- di Sant’Antonio, così vi tiene lontani tanti demoni -nel senso di disgrazie, guai-). Il centenario rispondeva: “Per tutt i ann che amò g’hoo de scampà!”. (Per tutti gli anni che ho ancora da sopravvivere)

Località Masciocco, a Camparada. In una ex stalla Sant’Antonio e San Sebastiano.
Nel suo compito di essere protettore sia delle ragazza da marito, sia di chi un marito non riusciva a trovarlo, registriamo una sovrapposizione di proverbi e situazioni che andiamo a esaminare. Le prime si trovavano ad invocarlo recitando: “Sant’Antoni glurius, damm la grazia de fà ul murus, damm la grazia de fall bell, Sant’ Antoni del purcell”. Le seconde, una volta che la loro invocazione non aveva trovato risposta, trovavano nel santo la necessaria consolazione per accettare questo stato di fatto, di non essersi maritate. Abbiamo intercettato un paio di episodi tra il serio e il faceto che venivano raccontati per sdrammatizzare questo status di “zitella”.
Il Santo, in risposta ad una ragazza già avanti con gli anni e dall’aspetto poco invitante che lo invocava: “Sant’ Antoni del purcell , voeri un omm, ma propi bell”, rispose sibillino: “Cunsules, o tusa! I mareli (le zitelle) e i donn brütt hinn cumé i zucch: ghe n’é depertütt!”. La donna, che reclamava l’ultima parola, proferì: “Mi restaroo marela, ma ti adess te set propi un tugnela! “, apostrofando con quel “tugnela” il santo in tono spregiativo.
Da altra fonte una storia a “lieto fine”. Una ragazza da marito, contrariata con il santo, vista la difficoltà di trovare il fidanzato ne lanciò la statuetta dalla finestra. Il caso volle che l’oggetto colpì un passante che infine diventò il marito della ragazza. Un esempio che vuole evidenziare la grande pazienza e allo stesso tempo il valore elevato dell’intercessione del santo.
Anche i mendicanti si dirigevano a Sant’Antonio per i loro bisogni. Queste le invocazioni che ci sono pervenute: “O Sant ‘Antoni de la barba bianca, famm truvà una quai palanca (denaro)” oppure “Sant’Antoni de la barba grisa, g’hoo bisogn una camisa”.

A Casatenovo, località Cascina Verdura. Sant’Antonio si accompagna al Beato Giobbe
Non da meno stendeva il suo carisma come protettore degli animali, che in diverse località durante la sua festa, venivano benedetti. La figura del frate faceva spesso mostra di se sulle pareti della cascina, molte volte riprodotta con altri santi, più spesso anche all’interno della stalla per proteggere gli animali. Tra le figure che accompagnano Sant’Antonio, nella pesante protezione delle bestie da stalla si affiancava spesso San Sebastiano, che vedremo nel dettaglio tra qualche giorno, tanto da sovrapporsi ai due santi, riti abbastanza analoghi. Ricorda Franca Pirovano: “Ancora adesso a Caslino d’Erba e a Brivio in occasione della sagra di sant’Antonio, si distribuiscono pane e sale benedetti, un tempo utilizzati per la salute degli animali della stalla, oggi soprattutto per il benessere di cani e gatti, importanti per l’affetto dato e ricevuto, se non per l’economia della famiglia.” Consuetudine, quella del sale ripetuta un tempo alla scadenza di San Sebastiano, quando occultamente i contadini, portavano nelle tasche del sale, una volta di ritorno dalla benedizione impartita dal sacerdote dopo la messa di quel giorno, lo somministravano alle bestie della stalla. A questa pratica che facilmente sconfinava nel campo delle valenze magiche e pagane, si affiancava la presenza del “ferro di cavallo” che abbiamo incontrato ancora recentemente, dimenticato da tempo all’ingresso di locali che una volta erano state stalle. Propriamente in virtù della forte valenza del metallo, il ferro di cavallo, era un potente amuleto capace di tenere lontano i malanni, coadiuvato da un’immagine sacra, come risultava il binomio composto da Sant’Antonio e San Sebastiano.

Velate, sulla parete del “cascinotto” quel che rimane di un’immagine del santo, riprodotto in uno stile decisamente naif.
Nell’elenco delle protezioni di cui si fregiava il santo, abbiamo enumerato quella del “fuoco di Sant’Antonio”, la malattia indicata clinicamente come (Herpes zoster). Dobbiamo al proposito commentare i due attributi che accompagnano l’iconografia di Sant’Antonio, il maialino e il fuoco, per fornire una qualche spiegazione.
Il fuoco a cui sembra facile associare la malattia, risulta essere legato al santo per la leggenda, che tuttavia non trova popolarità in Brianza che ricorda il furto del fuoco, nel profondo degli inferi e nascosto nel bastone da Sant’Antonio, per essere donato agli uomini. Episodio che evidenzia l’operazione voluta dalla Chiesa di sovrapporre alle credenze pagane, emergenze cristiane, assimilando Sant’Antonio al mito di Prometeo. In modo analogo i due avrebbero sfidato forze superiori, rubando il fuoco per donarlo agli uomini. Il furto di Prometeo punito dagli dei, incatenando il gigante e sprofondandolo al centro della terra. Quello di Sant’Antonio, finì senza conseguenze apparenti per il santo. Tuttavia la ricercatrice Franca Pirovano fornisce una ulteriore interpretazione dei due attributi iconici del santo (maialino e fuoco), ricorda come i monaci antoniani, l’ordine che aveva perpetrato gli insegnamenti dell’abate, utilizzavano il grasso dei maiali, da loro allevati, per curare l’herpes zoster, da questa doppia valenza i poteri taumaturgici a protezione degli animali e a sollievo della malattia.
Ritornando al maiale la ricercatrice pone questa ulteriore riflessione: “Il maiale però è animale ambivalente: disprezzato nei detti e nei proverbi, considerato essere diabolico, forse a partire dall’episodio evangelico in cui Gesù confina i demoni in una mandria di porci (Mc, 5, 13), è anche fonte preziosa e quasi unica di carni e condimenti nella cucina contadina della Brianza, soprattutto nella penuria invernale. Ci vuole un santo grande e paziente come Antonio per neutralizzarne i lati negativi e proteggerlo, insieme a tutte le bestie della cascina”.

Località Masciocco. Una ulteriore rappresentazione della coppia, Sant’Antonio e San Sebastiano
Estensione all’attributo del fuoco, nella protezione che veniva spesso richiesta al santo, contro il fumo e gli incendi, di natura propiziatoria invece il fuoco del falò di sant’Antonio, capace di bruciare tutte le negatività, accumulate, così come le analoghe manifestazioni che abbiamo visto segnare in momenti diversi tutto l’arco dell’anno. Riassumiamo dunque in questa apoteosi del falò, (fuoco) gli altri attributi del santo: prosperità assicurata, ma contemporaneo affrancamento dal maligno, (maialino) e il non ancora citato campanellino, portato in cima al bastone dal santo, quale probabile ricordo dell’opera dei monaci di Sant’Antonio che curavano gli appestati, annunciati appunto nella loro presenza dal suono della campanella, a sottolineare la necessità, durante le feste popolari, di propiziare il rituale producendo rumori che rallegrano l’ambiente e allontanano gli spiriti negativi. A completare le celebrazioni popolari non poteva mancare una libagione fuori dalla consuetudine di tutti i giorni e ricordo ancora da piccolo gli immancabili “ravioli dolci” di Montesiro (frazione di Besana Brianza), una tipicità del luogo, che si perpetra ancora oggi, con le varianti di frittelle e altri dolci che accompagnano i diversi falò di tutta la Brianza, nel giorno di Sant’Antonio, disposizioni antinquinamento permettendo.

La pala a Guiano. Le due sorelle Faustina e Liberata dirigono lo sguardo verso la Madonna

Pittore del XV secolo, Sante Margherita, Liberata e Lucia, affresco, cappella del Castello di Montalto Dora – Immagine tratta da “Indagine aperta sul culto di Santa Liberata. Lauro Mattalucci –

Santa Liberata, riprodotta all’interno della Cascina Marianna di Biassono

A sinistra: Statua etrusca della Mater Matuta, Antikensammlung, Berlin A destra: Statua celtica della Dea Nutrix, II secolo, Saint- Germain-en-Laye, musée d’archéologie nationale. – Immagine tratta da “Indagine aperta sul culto di Santa Liberata. Lauro Mattalucci –

Giacomino da Ivrea, Santa Liberata, ca. 1441, cappella di San Michele a Marseillier (AO). – Immagine tratta da “Indagine aperta sul culto di Santa Liberata. Lauro Mattalucci –

Ignoto pittore del XIV secolo, Madonna del latte e Santa Valeria, affresco, 1371, chiesa dei Santi Valeria e Vitale, Sormano (CO). – Immagine tratta da “Indagine aperta sul culto di Santa Liberata. Lauro Mattalucci –

San Sebastiano all’interno della chiesa di Campofiorenzo

Località Colombina a Casatenuovo. San sebastiano in un trittico con il Beato Giobbe e la Madonna con Bambino

Località Masciocco, all’interno di una ex stalla San Sebastiano

Località Crotta a Casatenuovo sulla destra San Sebastiano

Sotto il portico della cascina Giulini, San Sebastiano e l’Immacolata


“Figlie di Maria” in una processione a Velate nel 1944


Falò a Cantù, anni Sessanta del Novecento

Una Gibiana “ricercata” nel vestire, quella di diversi anni fa a Cantù



Il falò realizzato quest’anno all’interno del Parco del Curone, con spirito “ecosostenibile”
fonte: www.lecconotizie.com
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Aspetti, località e storia della Brianza. "Ci sono paesaggi, siano essi città, luoghi deserti, paesaggi montani, o tratti costieri, che reclamano a gran voce una storia. Essi evocano le loro storie, si se le creano". Ecco che, come diceva Sebastiano Vassalli: "E’ una traccia che gli uomini, non tutti, si lasciano dietro, come le lumache si lasciano la bava, e che è il loro segno più tenace e incancellabile. Una traccia di parole, cioè di niente".