Quando verrà Natale…

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I presepi di carta: da Oggiono al Gernetto, passando per Francesco Londonio

Ormai vent’anni fa Flavio Ronzoni, pubblicava per i tipi di Bellavite il volumeUn presepe racconta”, sottotitolo “Un presepe di carta dell’Ottocento riscoperto in Brianza”. L’utilizzo della carta, nel panorama dei materiali impiegati nelle “rappresentazioni presepiali”, risulta tuttavia marginale, caratterizzando un contesto, sia temporale che geografico, abbastanza circoscritto.

In particolare parliamo di figure dipinte a mano su carta, che una volta scontornate sono irrobustite attraverso supporti che ne garantiscano una maggiore stabilità, affinché possano essere collocate per comporre un allestimento scenografico tipico del presepe. Come consolidato per altri ambiti, la ricerca delle origini temporali e geografiche, se pur come abbiamo detto circoscritte, risulta di non facile identificazione al fine di  ricostruirne una precisa genesi. Possiamo dunque spaziare dall’area genovese, per toccare la Lombardia e il Veneto. Esponente e forse pioniere di tale genere, potrebbe essere quel Francesco Londonio, di cui tratteremo diffusamente, che d’altronde risulta essere l’artista di maggior caratura nell’interpretazione di questa espressione artistica. L’arco temporale in cui si colloca il suo lavoro spazia tra gli anni Cinquanta e Settanta del Settecento.

In seguito altri validi artisti ne trassero ispirazione, cimentandosi a loro volta con questo “genere”.

La diffusione di sistemi di stampa più moderni e soprattutto in grado di garantire alte tirature a costi contenuti, furono in seguito sfruttati nella loro potenzialità per realizzare quei fogli su cui erano riprodotte le figure del presepe, destinate ad essere ritagliate e quindi assemblate allo stesso modo delle più pregiate immagini dipinte a mano. In tal modo si raggiunse un pubblico sempre più vasto, offrendo un prodotto decisamente abbordabile ad una platea dalle disponibilità economiche più limitate. A questo punto le aree geografiche interessate divennero più ampie e le produzioni andarono a collocarsi presso quei soggetti industriali che facevano della stampa in genere, la loro attività principale. Gli operatori che abbiamo incontrato e che pensiamo abbiamo assorbito la più parte delle richieste di mercato possano configurarsi in questi nomi: Soliani di Modena, attivi dalla metà del Seicento fino alla metà dell’Ottocento; Giulio Bianchi, che troviamo tra gli anni Trenta e Ottanta dell’Ottocento, la stamperia Remondini di Bassano, i Marchiati delle cartiere Fabriano per finire con i Vallardi di Milano. Abbandoniamo questo filone, relativo allo sfruttamento industriale del fenomeno, nella sua pur valida eccezione, per ritornare al presepe descritto dal Ronzoni nel 1999. Prima dobbiamo ancora sottolineare, sia per questo presepe, così come per le altre limitate composizioni che andremo a ricordare, la loro estrema “fragilità”, imputabile alla natura deperibile della carta, che ha visto sopravvivere al tempo, solo una più che modesta quantità di esemplari.

Ci serviamo del testo pubblicato dal Ronzoni per descrivere il “complesso presepiale” oggetto del suo volume e di questa prima parte del nostro discorso.

Il presepe di Oggiono

Il presepe di carta che presentiamo in questo volume appartiene a un collezionista di Lecco ed è costituito da 24 figure dipinte a mano su carta e successivamente ritagliate, con dimensioni che vanno dai 15 centimetri di altezza di quella più piccola (una pecora) ai 56 centimetri del più alto dei tre dromedari, mentre il gruppo dei Magi è alto 53 cm e di 46 cm è l’altezza del gruppo della Sacra Famiglia, dimensioni che inducono ad escludere che tali figure siano state ritagliate da fogli a stampa come quelli descritti nel precedente paragrafo. Benché non sappiamo se il presepe sia completo o manchino delle figure rispetto alla sua configurazione originaria, esso si presenta molto ben conservato e, se si pensa alla fragilità dei materiali che lo compongono e al fatto che nel secolo scorso fu oggetto di numerose esposizioni pubbliche, possiamo pensare che sia sempre stato trattato con particolari attenzioni da parte dei proprietari, anche se su di loro non sappiamo praticamente nulla.

Le figure che compongono il presepe

Una traccia che si è dimostrata sempre più decisa ci ha però portato verso la località di Oggiono, paese del Lecchese affacciato sul lago di Annone, dove, pur non essendovi conferme documentarie decisive (anche il parroco, don Amintore Pagani, ci ha detto di non aver mai sentito parlare della presenza di un presepe di carta e di non averne trovato traccia nei documenti parrocchiali, in particolare nei Chronicon), tuttavia le testimonianze di alcuni anziani del luogo e degli ultimi proprietari ci hanno consentito di mettere a fuoco tre elementi abbastanza solidi: 1) il presepe di carta sarebbe appartenuto a una signora Belgeri (soprannominata “Mossagiò”), che abitava in una casa situata nel centro di Oggiono, in via 1° Maggio, abitazione che sarebbe stata venduta nel 1890 a un certo signor Conti; 2) il signor Conti divenne proprietario anche del presepe, che rimase alla sua famiglia finché Luigi Conti, nipote del suddetto, lo cedette al pittore lecchese Tino Stefanoni, dal quale passò poi all’attuale proprietario; 3) il presepe veniva allestito tutti gli anni nell’androne della casa della signora Belgeri ed era oggetto di interesse e di venerazione da parte di numerosi visitatori, anche non oggionesi; alla vigilia di Natale, anzi, si svolgeva una vera e propria processione pubblica, con tanto di banda cittadina, che attraversava il paese e si recava davanti al presepe per un momento di preghiera. Le 24 figure, conservate in una grande scatola di legno, a un attento esame non presentano lesioni gravi; solo in alcune parti, soprattutto nelle più delicate, come le zampe degli animali o in alcuni dettagli più finemente ritagliati, esse hanno avuto bisogno di un intervento di rinforzo e di consolidamento, ma la condizione del complesso è miracolosamente buona, se si considera l’infelice sorte toccata a quasi tutti i presepi di questo tipo. Anche i colori sono ben conservati, ma qualche particolare lascia pensare che diversi personaggi possano essere stati ridipinti in un’epoca posteriore alla loro realizzazione.
Oltre alla Sacra Famiglia, suddivisa in due figure da accostare San Giuseppe col Bambino e l’asino a destra, la Madonna con il bue a sinistra, abbiamo una coppia di angeli, sospesi su una nuvola, che reggono il cartiglio con la scritta “Gloria in excelsis Deo”, il grande gruppo dei Re Magi in atto di offrire i loro doni, i tre dromedari con i loro cammellieri, sei figure di capre e pecore, cinque figure maschili, una delle quali appare in groppa a un asino, cinque figure femminili, tutte recanti un dono, un gruppo formato da un uomo dormiente e da una donna in piedi che fila la lana.
I vari soggetti sono dipinti a tempera su carta successivamente ritagliata seguendo le sagome, fatto che ha comportato delle evidenti forzature sulla forma delle figure e ne ha accentuato la rigidità. La carta su cui sono state dipinte le figure del presepe non appare particolarmente robusta, ma non è stata incollata su un cartone, come di solito avveniva per rendere possibile l’allestimento del presepe, bensì rinforzata posteriormente con una serie di elementi cartacei di varia provenienza: fogli di registri, lettere, documenti personali di varia natura, che i primi proprietari hanno utilizzato per dare più consistenza alle figure, ma anche per fissare dietro di loro una o due assicelle di legno, che servivano per posizionare le figure nella sabbia o nella terra, poi ricoperte con uno strato di muschio per arricchire la scenografia. L’uso di leggere aste di legno per sostenere e fissare le figure dei presepi in carta è confermato anche dai pochi esemplari analoghi conservati alla Civica Raccolta Stampe Bertarelli, ma sappiamo che a volte per raggiungere lo stesso scopo venivano utilizzati anche dei filamenti metallici.
In alcuni casi, soprattutto nelle figure più grandi, gli strati di carta incollati sono addirittura quattro o cinque e vi si distinguono chiaramente pagine di testi a stampa, ma anche lettere di carattere contabile. Alcuni personaggi presentano la parte posteriore colorata in nero o marrone scuro, in altri i fogli di supporto sono lasciati in vista, consentendo così la lettura di alcuni particolari interessanti. Dietro l’immagine d i San Giuseppe, ad esempio, una lettera incollata a mo’ di rinforzo lasci a leggere “Viganò, 17 agosto 1829”, con chiaro riferimento alla località di Viganò Brianza, da cui la missiva sarebbe partita. Allo stesso modo, sul retro di una figura di capra sdraiata (n. 21 della tavola d’insieme), tra i rinforzi cartacei utilizzati si individua un documento a stampa del Comune di Oggiono, sul quale si legge la data “novembre 1822”.

Il retro della figura di capra, visibili parti del documento, usato come rinforzo, che riconduce al Comune di Oggiono per l'anno 1822

Non ci possiamo certamente affidare a questi due documenti datati per fissare con certezza la data di nascita del nostro presepe; infatti, non è detto che tali supporti cartacei siano stati incollati subito dopo l’esecuzione delle figure da parte del loro ignoto autore (ammesso che si possa parlare di un solo autore), anche perché sappiamo che le immagini venivano dipinte su comuni fogli rettangolari e potevano rimanere su questo supporto, senza essere ritagliate, anche per decenni.

E’ a questo punto che il Ronzoni c’indirizza, indirettamente verso l’arte di Francesco Londonio, a cui l’autore del presepio appena descritto, sembra si sia ispirato. E’ pensabile che il creatore del presepe di Oggiono, dotato di un bagaglio di conoscenze tecniche specifiche e collocabile temporalmente, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, si rifacesse ad una tradizione artistica popolare. Il Ronzoni, nel proseguire l’analisi evidenzia come in alcune figure, che compongono il presepe, si colga più che in altre, una diretta dipendenza da lavori conosciuti del Londonio.  Tra queste si pone attenzione alla figura del contadino su un asino, soggetto ripetuto in diverse opere del noto artista lombardo.

La stampa di Francesco Londonio a cui l’autore del presepe di Oggiono si sarebbe ispirato per la figura numero 9

Il Ronzoni non manca di ricordare come durante la sua ricerca, sia stato tentato di riconoscere nella mano del Londonio, quella dell’esecutore del giovane sull’asino e alcune altre figure del presepe. Ipotesi poi accantonata, sia ricordando la figura di un pittore dell’Ottocento, Francesco Terreni, in grado di riprodurre con la massima fedeltà possibile i lavori del Londonio e dunque evenienza ripetibile per mano di altri artisti. Allo stesso modo la successiva analisi di altri pezzi ha potuto appurare che le figure dei tre dromedari con cammelliere fossero le perfette copie, fatto salvi alcuni particolari, volutamente omessi, tratte da quei fogli a stampa, opera dei Remondini di Bassano, famosi per quell’attività, già semi-industriale, di cui avevamo accennato in precedenza.

Il foglio con i personaggi del presepe, attribuito alla bottega dei Remondini di Bassano del Grappa

Altre cinque figure poi, trovano i loro modelli in un altro foglio a stampa, questa volta produzione indicata: “Milano presso P. e G. Vallardi di Contrada S. Margherita N. 1101”, attestabili verso la fine del Settecento.

L’editore Vallardi di Milano, pubblicava questi fogli alla fine dell’Settecento

Questa serie d’indizi ha portato il Ronzoni ad escludere quella paternità ipotizzata, concludendo che l’autore possa essere identificato come “artista mestierante”,  dotato di un campionario abbastanza completo, per soddisfare una committenza, che pur non essendo di un ceto sociale riconducibile alla nobiltà, poteva tuttavia disporre di risorse economiche non trascurabili, tali da potersi permettere un simile presepe.

Ancora la disomogeneità tra le figure che compongono il presepe, potrebbe indirizzare al lavoro di differenti artisti a cui il committente si era rivolto, anche in tempi successivi, per completare ed arricchire la sua rappresentazione.

Il presepe del Gernetto

Tra le varie note, a corredo del lavoro del Ronzoni, c’è ne sono alcune che ci determinano nell’ampliare il discorso in una direzione più prossima al nostro ambito locale.

La prima nota a cui fare riferimento è l’informazione di due presepi di carta, di cui si aveva notizia nel lontano 1937, quando Pietro Madini in un pezzo apparso sulla pubblicazione “Almanacco della Famiglia Meneghina”, dedicato appunto a “I presepi del Londonio”, citava l’esistenza di un presepe al Gernetto ed uno a Canonica. Lo stesso Ronzoni al proposito spiegava: “Una mia verifica ha consentito di appurare che purtroppo questi due gruppi non esistono più e non da pochi anni, se il parroco di Canonica, don Alessandro Longoni, in quella parrocchia dal 1977, afferma di non avere mai visto e di non aver mai sentito par­lare di un presepe del genere nella sua chiesa. Stesso risultato negativo ha dato la mia ricerca presso la villa Il Gernetto, ora proprietà del Credito Italiano”.

Il tempo passato dalle parole del Ronzoni, vent’anni, ha tuttavia restituito qualcosa d’interessante. Del presepe di Canonica non ci sono notizie, perlomeno dirette, anche se qualche ipotesi la faremo in seguito. Ben più importante la notizia, non di primissima mano ma ancora recente, sulla ricomparsa del presepe del Gernetto. Ecco che lo scorso Natale si dava informazione che a partire dal 14 dicembre 2018 al 10 gennaio 2019 a Palazzo Pirelli si sarebbe ospitata la mostra “Londonio. Il presepe ritrovato“.

Il presepe attribuito a Francesco Londonio, realizzato nel 1772 per il Conte Giacomo Mellerio.

Si trattava di quella composizione, che realizzata dal Londonio nel 1772, su commissione del Conte Giacomo Mellerio, veniva allestita durante il periodo di Natale appunto nella villa del Gernetto. Il Londonio risultava un frequentatore abituale del Gernetto in quell’epoca. I suoi rapporti andavano oltre il contesto artistico, configurandosi in una amicizia più intima con il Mellerio, tanto che nel 1770 lo stesso risulta essere stato il padrino del figlio Antonio Londonio.

Interno del Gernetto, inizio ‘900. Tra le opere appese ai muri, potrebbero esserci le figure del Londonio

Le figure del presepio, passate poi ai Somaglia per via ereditaria, con tutti gli altri beni del Gernetto, saranno nel corso dell’Ottocento oggetto d’attenzione e montate all’interno di cornici ovali o rettangolari, poste quindi stabilmente ad abbellire le pareti della villa brianzola. Dobbiamo giungere intorno agli anni Settanta del Novecento quando la figlia di Gian Giacomo Cavazzi della Somaglia, deceduto nel 1918, Claudia, maritata con Bernardo Patrizi, rimasta vedova nel 1971, vende le prestigiose figure a Anna Maria Bagatti Valsecchi, discendente di Fausto e Giuseppe, che diedero vita ai preziosi allestimenti nella loro abitazione oggi aperta al pubblico come museo, nel centro di Milano. Ricordiamo che l’intera proprietà del Gernetto passerà poi nel 1975, come indicato dal Ronzoni, al “Credito Italiano”.

Il Gernetto negli anni Ottanta del Novecento, quando era proprietà del Credito Italiano

Ultimo atto del prestigioso presepe, la donazione da parte della Valsecchi, al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano, che appunto lo scorso Natale ha deciso di esporre l’intera collezione, composta di circa 60 pezzi, che si suppone provenire da almeno tre diversi distinti nuclei, all’interno di Palazzo Pirelli.

Abbiamo chiesto notizia al Museo Diocesano, per conoscere se il presepe del Londonio fosse attualmente esposto. Ci è stato risposto, che molte figure del presepio sono in fase di restauro. Si presume che verso la fine del prossimo anno 2020, l’intera composizione possa essere, prima esposta a cura della Fondazione Cariplo, che ha finanziato il restauro nell’ambito del progetto “Restituzioni di Fondazione Cariplo” e successivamente al termine di questo evento espositivo, il presepe tornerà nelle disponibilità del Museo Diocesano, per avere una collocazione definitiva all’interno del suo percorso museale.

Un altro presepe donato dal Mellerio

Il Ronzoni, aveva riportato dell’esistenza di un ulteriore presepe presente nella località di Canonica al Lambro, di cui si sono perse le tracce. Così come abbiamo notizia di un presepio, sempre di proprietà del Conte Giacomo Mellerio, donato al Collegio Barnabitico di Santa Maria degli Angeli in Monza, possiamo ipotizzare, in funzione dell’estrema prossimità tra la località del Gernetto e Canonica al Lambro, che possa essere stato lo stesso Mellerio in qualche modo coinvolto anche nella vicenda di questo presepe. Tornando a Monza, una volta che nel 1888 il Collegio fu soppresso, la composizione fu depositata, non si sa a fare data da quando, nel Museo Civico di Lodi. Poi nel 1957 i Padri Barnabiti richiesero la restituzione. Oggi rimangono 28 figure conservate presso il Collegio San Francesco dei Padri Barnabiti in Lodi. Da questa località arriva notizia sulla provenienza del presepe, ipotizzando che fosse stato dipinto dal Londonio nella villa Mellerio di Domodossola e quindi donato ai Barnabiti di Monza. Un percorso forse un poco tortuoso, più probabile ipotizzare anche per questo presepe una prima collocazione in Brianza. La composizione risulta essere a sua volta, dipinta su carta con colori ad olio e quindi supportata su sagome di legno.

Francesco Londonio e il presepe di San Marco a Milano

Alla luce di questi ulteriori aggiornamenti, non dobbiamo tuttavia dimenticare l’opera da sempre accreditata al Londonio, che è esposta stabilmente presso la chiesa milanese di San Marco.
La rappresentazione collocata nella “Cappella del presepio”, risulta essere dipinta a olio su cartone, applicato poi su una sagoma di legno. Parliamo di 14 figure che rimandano alla Sacra Famiglia, ai Re Magi , ai pastori, al bue e l’asinello, secondo la più canonica iconografia.

Gli allestimenti, a dire il vero sono due, troviamo una rappresentazione della Natività e una seconda riconducibile all’arrivo dei Magi. Le due proposte risaltano in una disposizione architettonica che si completa del fondale, anch’esso dipinto. Il successo di questa composizione non sfuggì a Maria Teresa d’Austria, che nella seconda metà del Settecento nominò il Londonio quale scenografo del Teatro alla Scala.

Vediamo ora di tracciare per sommi capi la figura di Francesco Londonio.

Francesco Landonio nasce a Milano, nella parrocchia di S. Alessandro in Zebedia, il 7 ottobre 1723, il padre è Antonio e la madre Teresa Lesma, quartogenito di sette figli. Per la sua preparazione artistica fu allievo del milanese Ferdinando Porta. Verso la metà del Settecento registriamo la “conversione artistica” del Londonio, che passa dalla pittura di storia, alla pittura di genere, tale metamorfosi potrebbe essere avvenuta ancora a Milano o forse a Cremona, dove la famiglia Londonio si era trasferita prima del 1742.

Autoritratto di Francesco Londonio. 1770 circa.

La prima opera certa del pittore risale al 1753, un disegno dal vero “Un toro e una mucca in riposo”, mentre il primo dipinto firmato, “Mercato di bestiame” è datato 1756. Francesco fu poi allievo di Benigno Bossi che gli insegnò la tecnica dell’acquaforte. Apprendistato svolto, a Milano nel 1758. Nella sua carriera sono documentate in tutto 103 acqueforti. Le lastre di rame incise sono oggi in gran parte conservate nella Calcografia nazionale di Roma.

Di notevole impatto nella formazione artistica del Londonio i suoi soggiorni in Italia centromeridionale a Roma e a Napoli, documentati da incisioni datate rispettivamente “Roma 1763”, “Napoli 1763” e ancora “Napoli 1764”. Altre tappe degne di nota nella sua carriera artistica, il biennio 1762-63, con  la decorazione di una sala del palazzo Grianta a Milano, in cui realizzò 21 dipinti a soggetto pastorale. Nello stesso periodo 1762-1766,  l’imponente ciclo di 24 tele di soggetto simile al precedente per la villa Alari (poi Visconti di Saliceto) a Cernusco sul Naviglio. Una volta consolidata l’attività artistica a Milano, l’8 settembre 1768, il Londonio si sposa in S. Lorenzo con una nipote orfana, Cecilia Biraschi. Dei sette figli avuti, cinque morirono in età infantile, mentre sopravvissero Antonio e Marianna. Agli anni Settanta del XVIII secolo, risalgono, gli importanti apparati di opere realizzati per i Borromeo, i Greppi e i Mellerio. Per la villa del Gernetto di Lesmo di cui abbiamo trattato, ricordiamo le svariate opere, disperse sul mercato poco prima del 1972. Oltre alla collezione di presepi, possiamo ricordare un ciclo di 6 grandi tempere con figure isolate davanti a una quinta arborea, tre delle quali riprodotte in incisioni datate tra il 1760 e il 1763, a cui si aggiungono dieci disegni originali (matita e biacca) e la relativa serie di dieci acqueforti dedicata al committente, databile con certezza post 1776.

Una delle incisione, approntate per la serie dedicata al Conte Mellerio

Come abbiamo ripetutamente sottolineato il Londonio ebbe un ruolo primario nel rinnovamento del presepe di carta, in voga nella Lombardia del secondo Settecento. Un importante contributo in tale ambito fu mutuato dalla tradizione del presepe napoletano, apporto riconducibile al viaggio a Napoli del 1763-64. Riassumiamo fra i numerosi presepi di carta identificabili quale opere del Londonio, quello spettacolare, della chiesa di S. Marco a Milano; quello (in tre versioni) della villa del Gernetto, insieme con una serie di 49 quadretti con Figurine da presepe assegnabili invece alla bottega, un ulteriore di 28 pezzi passato sul mercato milanese attraverso un asta nel 1983. In riferimento a quanto esposto dal Ronzoni nel suo libro, si può attribuire al Londonio il disegno per quelle “Figurine da ritagliare per comporre un presepe” incise da Gerolamo Cattaneo verso il 1770 e ristampate per tutto l’Ottocento dai Vallardi e da C. Battioli, nella diffusione in tirature importanti del presepe popolare “londoniano”.

Nota, forse di non solo colore, in linea con la valenza popolare dell’opera del Londonio, un’attiva partecipazione legata al “folclore meneghino”, con il teatro dei “Foghetti”, di cui l’artista fu inventore e fondatore dell’allegra compagnia omonima.

Il teatro dei Foghetti, risulta attivo fino al 1848 circa e custodito ancora nel secolo scorso nella villa Antongini di Varese. Si trattava di un teatrino ambulante, se vogliamo antesignano dell’odierno cinema d’animazione. Il nome derivava dai fari (foghetti, forse piccoli fuochi) posti sul fondale, che illuminavano per mezzo di una grande ruota che girando produceva una luce intermittente, gli schermi realizzati in carta trasparente forata a spillo e frastagliata, su cui erano dipinte scene differenti. Le immagini in tal modo apparivano animate da questo intercalarsi di luci e ombre. Conduttore dello spettacolo, lo stesso Londonio, che commentava le scene in una accentuata pronuncia dialettale, ulteriormente storpiata, precursore di quell’avanspettacolo, ancora lontano da venire.

Risalgono al 12 novembre 1783, le poche disposizioni testamentarie del Londonio, che presago delle peggiorate condizioni di salute, aveva voluto dettare. Morì a Milano il 26 dicembre 1783 e fu sepolto nella chiesa di S. Eufemia.