L’Oratorio San Felice di Velate
di
Paolo Cazzaniga
C’E’ LA MANO DEL POLLACK NEL MAUSOLEO DEI BARBIANO-BELGIOJOSO-GIULINI A VELATE?
Interessanti novità nella scoperta della collocazione di quei disegni che la professoressa Marica Forni nel suo libro “Villa e tenimento Belgiojoso della Porta a Velate”, aveva indicato appartenuti al “già Archivio Casati Stampa di Soncino, Milano”, di cui così scriveva: “Pervenuti ai Casati per asse ereditario, questi e altri disegni erano stati ritrovati da chi scrive nel gennaio del 1989 in Palazzo Casati Stampa di Soncino a Milano e riprodotti grazie alla cortesia di Massimiliano Caccia Dominioni. Già in occasione di una successiva verifica, compiuta entro il 1992 ai fini della pubblicazione di “Il Palazzo dei Marchesi Stampa di Soncino a Milano” tutte queste fonti grafiche risultavano irreperibili. Attualmente (2012) non è nota la loro ubicazione”. La stessa studiosa interpellata in seguito, aveva ipotizzato che tali documenti fossero finiti sul mercato. Questa ipotesi trova ora conferma nella collocazione odierna presso il “Carnegie Museum of Art“ di Pittsburg.
Come le tavole siano finite dall’altra parte dell’Oceano non è noto, tuttavia grazie agli elementi raccolti possiamo ricostruire, anche se non esaustivamente, la vicenda. I disegni attribuiti a Giuseppe Pollack, per un totale di 25 tavole figurano nel fondo denominato “Heinz Architectural Center”, voluto e realizzato nel 1990 con una donazione di 10 milioni di dollari da Drue Heinz, inglese d’origine, attrice e quindi maritata con il magnate americano dell’industria del food Henry John Heinz II (nipote del fondatore della Heinz oggi Kraft Heinz). Drue Heinz riconosciuta filantropa, morta lo scorso anno all’eta di 103 anni, attraverso la fondazione “Drue Heinz Trust”, risulta la donatrice dei disegni del Pollack, al Carnegie Museum, di cui era inoltre membro del consiglio d’amministrazione.
Aggiungiamo ora un secondo particolare, nel tentativo di chiudere il cerchio ancora aperto. La famiglia Heinz, grazie alle sue fortune economiche, non aveva evidentemente disdegnato le bellezze dell’Italia, tanto che ancora oggi è proprietaria di una sontuosa villa sul lago di Como a Griante, Villa Maresi. Aggiungiamo a titolo di “gossip” e non solo, come la stessa famiglia fosse proprietaria di Villa Oleandro, ceduta all’attore George Clooney nel 2002. Ricordiamo come questa dimora degli Heinz, fu nel tempo prima della cessione all’attore, sede di importanti incontri letterari, chiamati “Como Conversazione” e dedicati alla letteratura, al viaggio, alla commedia. Gli incontri erano privati e venivano divulgati in seguito tramite riviste letterarie. Facile a questo punto ipotizzare come il fondo dei disegni consultati da Marica Forni nel 1989 a Palazzo Casati Stampa di Soncino a Milano, fosse stato oggetto di qualcuno degli incontri accennati e quindi ceduti, non sappiamo a quale titolo alla famiglia americana, donati infine dagli Heinz stessi al museo di Pittsburg.
Dobbiamo senz’altro a questo punto, coinvolgere nel nostro racconto il Pollack e l’Oratorio San Felice, il mausoleo citato nel sottotitolo. Ritorniamo al corpo dei disegni pubblicato nel volume della Forni siglati (“già Archivio Casati Stampa di Soncino, Milano”), che si aumenta di numero nella nuova collocazione americana. Tra questi dirigiamo l’attenzione in particolare su una tavola, che riporta all’Oratorio del cimitero di Velate. Edificio attribuito all’architetto Moraglia e scrigno di pregevoli sculture tra cui l’Ecce Homo di Vincenzo Vela. Edificato per volontà di Maria Beatrice Giulini, nata Belgiojoso, dopo la morte del marito, Giovanni Giorgio Giulini, avvenuta nel 1849. La stessa contessa volle in seguito rendere omaggio, nello stesso mausoleo al padre, a cui era profondamente legata, il conte Rinaldo Barbiano di Belgiojoso, con una stele a suo ricordo, anche se lo stesso riposava dal 1823 nella tomba di famiglia a Belgiojoso (PV).
Dal lavoro di Roberta Perego “La Cappella Giulini della Porta di Usmate Velate. Oratorio San Felice” conosciamo che l’edificio, individuato da Beatrice Belgiojoso, per seppellire il consorte, era l’oratorio dedicato a San Felice, collocato all’interno del cimitero di Velate, non più ufficiato quando nel 1849 la contessa, nella volontà di destinare la cappella a sepolcro di famiglia, ottenute le necessarie autorizzazioni diede il via ai lavori di restauro che incominciarono all’inizio del 1850. Purtroppo durante tale intervento l’edificio crollò. Il progetto si modificò, dirigendosi verso la ricostruzione completa dell’oratorio nelle forme che oggi vediamo. I lavori affidati, come abbiamo visto al Moraglia, illustrati nell’opuscolo della Perego, ci dirigono nella descrizione dell’edificio e dei suoi elementi architettonici. “Esattamente di fronte all’ingresso leggermente rialzata rispetto al piano del vano principale e separata da quest’ultima per mezzo di una balaustra, è presente una ridotta area presbiterale; qui si trova addossato alla parete di fondo, il complesso dell’altare, con ogni probabilità realizzato secondo un progetto di Moraglia”…a forma di sarcofago e poggiante su dei piedi leonini, completamente realizzato in marmo di Carrara e sormontato da un ripiano in legno, entro cui è incastonata la pietra sacra e dal tabernacolo, chiuso da uno sportello dorato con l’immagine del Cristo Risorto…” poi ancora “…ben si concorda, a livello tematico, con le lesene…le quali presentano una decorazione a rilievo con i simboli…”. Ci fermiamo qui, rimandando al volume della Perego o meglio ancora all’immagine, appena sotto, che ritrae l’aspetto attuale dell’altare.
Di seguito, ed eccoci finalmente, proponiamo la tavola custodita al Carnegie, che senza dubbio riproduce l’altare dell’Oratorio San Felice.
Niente di strano, la descrizione del disegno conferma la rispondenza tra “Schizzo dell’altare e ballaustra per la ricostrutta Cappella del Campo S. di Velate” che titola la tavola, e l’opera marmorea che possiamo apprezzare oggi all’interno dell’oratorio. L’attenzione si concentra invece sulla scheda che accompagna la tavola del Carnegie, qui sotto riprodotta.
Due i particolari su cui dirigere l’attenzione: l’attribuzione a Giuseppe Pollack e l’anno dell’esecuzione dello schizzo 1817. Qualcosa non quadra. Avevamo in un primo momento ipotizzato che tra i vari progetti del Pollack, stesi per il Conte Rinaldo Barbiano, molti dei quali rimasti poi solo sulla carta, si potesse annoverare anche questo per l’altare del camposanto di Velate. Oltre a quel “ricostrutto” che ci aveva immediatamente allertato, altri particolari hanno spostato diversamente le nostre conclusioni. L’anno 1817 risulta data troppo lontana, dal momento dell’edificazione dell’altare nel nuovo oratorio, per poter giustificare una così precisa corrispondenza tra il disegno e la realizzazione finale. La stessa titolazione del disegno, con quel “ricostrutta” va a collocarsi temporalmente agli anni Cinquanta dell’Ottocento, quando come abbiamo visto l’oratorio fu ricostruito dopo il crollo. Osservando poi con più attenzione le tavole del Carnegie, si possono cogliere altri elementi, che determinano una evidente mancata coerenza tra questa tavola e il resto del fondo.
Siamo dunque propensi ad ipotizzare che lo schizzo dell’altare sia finito tra i disegni del Pollack perché tutti riferiti alla località di Velate e dunque con tale criterio riuniti nell’archivio Casati. In seguito, al momento della cessione o più tardi, quando le tavole furono catalogate a Pittsburg fu attribuita l’errata paternità e collocazione temporale.
Per buona pace di tutti dunque Giuseppe Pollack, che era stato liquidato sia economicamente che professionalmente dai Belgiojoso-Giulini, dopo la morte di Rinaldo Barbiano di Belgiojoso nel 1823, non ha avuto alcuna parte nella realizzazione del mausoleo che ricorda tra gli altri il suo privilegiato committente che tanto aveva apprezzato le sue proposte architettoniche, non potendo tuttavia realizzarle appieno anche a causa delle difficili condizioni economiche, che avevano caratterizzato gli anni di collaborazione tra i due.
Non abbiamo fatto altre ricerche specifiche, ma pensiamo che l’attribuzione del progetto dell’altare a Giacomo Moraglia, possa essere più che plausibile e quindi assegnare la paternità della tavola del Carnegie all’architetto milanese. Dobbiamo aggiungere che non possiamo escludere a priori un occultamento voluto della vera paternità della tavola. Sui pochi disegni consultati, realizzati per mano del Moraglia, sono riportate verso il fondo dei documento, a destra o a sinistra, le indicazioni dell’autore il luogo e la data di esecuzione. Quelle lacerazioni arrotondate, presenti nella tavola del Carnegie, che ricordano l’usura tipica di documenti “vissuti”, posizionate in basso a sinistra, ripetuta a destra in dimensioni ridotte, potrebbero essere state volutamente praticate, per asportare quei dati di cui abbiamo detto. Il motivo? Forse la generosità degli Heinz, che regalarono poi i disegni al museo americano, non era la qualità che aveva animato l’interlocutore italiano nel passaggio delle tavole.
ORIGINE E DEDICAZIONE DELL’ORATORIO SAN FELICE
Visto che siamo in tema ci preme a questo punto, cercare di fare un po’ di chiarezza sull’origine dell’Oratorio San Felice di Velate, togliendo quella non necessaria aurea di leggenda che lega il luogo a chiese e santi che storicamente e dai documenti non hanno nessun riscontro.
Nell’Archivio Diocesano di Milano è conservato questo documento, datato 1756, che racconta della richiesta dei parrocchiani di Velate per edificare un oratorio in cui poter pregare i propri morti.
In questo documento non ci sono indicazioni precise del luogo in cui costruire l’edificio, anche se nella richiesta si legge:” …in certo sito del medesimo territorio per particolare sua divozione, che il medesimo popolo tiene ai suoi morti..” , e ancora: “et a fine d’interporre ancora le preghiere di tali anime purganti…perché sia quel Paese preservato dalle disgrazie sia spirituali che temporali…”, lasciandoci intendere possa trattarsi della località destinata al futuro cimitero di Velate, luogo usato in passato per inumare i morti della peste, riconosciuti per le loro qualità taumaturgiche e quindi invocati per una sicura protezione, nel solco della fede popolare, non solo della Brianza di quel tempo. Il documento proposto colloca senza dubbio l’origine dell’oratorio in tempi abbastanza recenti, allontanando le leggendarie genesi di cui si diceva.
Lo stesso documento, contenuto nel fondo “Spedizioni diverse” si accompagna della relativa “pianta” che ci restituisce dunque la struttura di come era l’edificio religioso in origine, prima di quel crollo intervenuto, durante i lavori voluti da Beatrice Giulini. Per completare quanto contenuto nella pubblicazione citata di Roberta Perego, aggiungiamo che la contessa per fare fronte alla sempre precaria economia della Parrocchia di Velate, nello stendere l’atto notarile, oltre la precisa volontà di mantenere a sue spese l’Oratorio di San Felice e garantire un’adeguata manutenzione, mise sul tavolo un’offerta annua, che doveva perpetuarsi (sic!), di 200 lire austriache che sarebbero servite per officiare una messa da celebrarsi nella chiesa di Velate il 24 ottobre di ogni anno in suffragio delle anime dei componenti la famiglia della contessa.
Per tutelarsi la fabbriceria della Parrocchia di Velate, volle avere come garanzia l’ipoteca su un pezzo di terra di proprietà della contessa, identificato dal mappale 230, relativo al Catasto Lombardo-Veneto, di circa 39 pertiche, che si trovava grosso modo sulla destra dell’attuale viale della Brina, salendo verso il paese, all’altezza del passaggio a livello.
Concludiamo con la dedicazione dell’oratorio. Abbiamo la conferma, che l’oratorio fosse dedicato a San Felice, quando nel 1838 il parroco di Usmate Ambrogio Ponzoni, nella sua relazione indirizzata alle autorità ecclesiastiche, sulle vicende dell’Oratorio del Dosso, scrive: “…vero è anche, che il detto Parroco fece proposizione al nobile proprietario di trasportar quell’Immagine nell’Oratorio di S. Felice di contro al Campo Santo…”. Il parroco citato era don Ambrogio Maria Cassina, che era stato parroco di Velate dal 1817 a quel 1838 e forse proprio a seguito di quell’indagine condotta dall’arcivescovo Gaisruk, sull’Oratorio del Dosso, era stato poi rimosso. La dedicazione a San Felice è poi arrivata fino ai nostri giorni. In realtà in occasione dell’edificazione della nuova cappella da parte dei Belgiojoso-Giulini, la dedicazione risulta mutata, tanto che nella visita pastorale del 1856 ad opera del cardinale Romilli l’edificio religioso è indicato come “Oratorio B. V. M. Immacolatae ad Coemeterium”. Nella stessa visita si ricorda la data di benedizione dell’altare avvenuto il 26 aprile del 1855. Evidentemente la dedicazione alla B. V. fu in seguito dimenticata, se già nella visita pastorale del 1907, epoca del cardinale Ferrari si ritorna ad indicare il luogo come cappella Giulini della Porta, denominata oratorio San Felice.