Odor de mangià (I tre giorni in cui Stendhal sparì) di Paolo Cazzaniga
di
Paolo Cazzaniga
Odor de mangià…, quando hai fame e senti quel certo profumino, l’acquolina è tutta tua. Sfoglio una vecchia, ma molto vecchia rivista, fammi vedere che anno? 1968, caspita!! Non posso che essere d’accordo con quello che dice l’autore e che subito condivido, con voi. Sono delle semplici note sui profumi di cucina a cui, volenti o nolenti, si mischiano anche odori meno “appetibili”, un po’ grevi, (anche se “odor de mangià”, del titolo, sta per aromi di cibi) dicevo si mischiano in un “Chanel n° ….”. Ognuno metterà il suo numero, in relazione ad un suo ricordo, fatto dei profumi che uscivano da quella cucina, forse di casa sua, di sua nonna, sua zia o di che altro ne so. Un aroma che è rimasto impresso e che, allora come oggi, vuol dire, tra poco si mangia una cosa prelibata. Quindi riporto questi “magici effluvi” e ve li faccio assaggiare: il profumo del rosmarino quando l’arrosto cuoceva allegro nel padellotto di rame sulla stufa a legna (e si, vi ho detto che la rivista è un po’ vecchiotta, a voi l’aggiornamento), quello di vino e spezie quando lo stracotto borbottava ore e ore nella teglia di terracotta, messa a fuoco lento, quello di lardo e aglio quando si tritava la “pestada” per il minestrone, quello delle verze e salsicce quando si preparava il bottaggio (cassoeula), quello acidulo che si diffondeva nella casa quando, per non lasciar perdere niente, si faceva la “cagiada” con il latte avanzato. Per molti, queste descrizioni, forse sono già arabo, ma non dispero. Spero invece che il concetto sia passato. Dunque, è ora di raccontare uno di questi “odor”. Vediamo un po’!
La prendo un po’ larga. Sono le 7 del mattino del 25 Agosto del 1818, l’avvocato Giuseppe Vismara e Henri-Marie Beyle, senz’altro più noto come Stendhal, sono a Milano. Quella mattina prendono la diligenza per raggiungere la Brianza e trascorrere qualche giorno, da turisti. Nell’occasione lo scrittore francese, stende un veloce diario, per tenere traccia, dice lui, molto privata del viaggio. La diligenza li porterà ad Asso. Durante il tragitto fanno sosta a Giussano, poi ad Inverigo, nel tardo pomeriggio raggiungono la meta. Il giorno dopo sono a Pusiano. Finalmente il 27 Agosto giovedì, raggiungono Oggiono. Tra un risotto, gustato all’albergo “Manzoni”, l’ostessa, dove sono alloggiati, che gli cucina due pesci presi da loro e si preoccupa, esternando, in un dialetto italianizzato: “Come restano così da per loro!”, visto che non hanno compagnia per la sera, ed ancora un rapporto intimo con la “pescatrice-peccatrice”, che sulla barca, la mattina del venerdì, mette un po’ di pepe alla cosa e non si capisce se ci sta o no, ma l’importante è… è… è… …nire, come dice Mina in una sua canzone e finalmente, senza lasciar perdere qualche appunto da turista in visita a questa e quella amenità sul lago e le colline limitrofe, arriviamo al punto.
Sabato, 29 Agosto 1818
Abbiamo fatto male a fermarci ieri sera ad Oggiono; non bisogna mai restare due giorni di seguito nello stesso luogo; ma era tardi quando siamo tornati dalla casa Pino, e d’altra parte bisognava mettere alla prova l’abilità del piccolo m. La diligenza da Milano e Oggiono c’è due volte la settimana, il venerdì e il martedì, alla Corona.
A dire il vero il diario di Stendhal finisce qui, ma…
Puntuale, martedì 1 Settembre, Henri Beyle, si presentò allo stallaggio in Oggiono, per prendere la diligenza che l’avrebbe ricondotto a Milano. Non prestò molta attenzione alla sorpresa che il suo compagno di viaggio Vismara, cercava d’esternare ormai persuaso di dover fare il viaggio di ritorno senza Stendhal. Arrigo Beyle era sparito da tre giorni, a niente valsero le ripetute domande del Vismara, che conoscendo bene il suo compagno di viaggio si convinse presto che non fosse il caso d’insistere. Saliti sulla diligenza non spiaccicarono parola per ore, in quella mattina che avvicinandosi la città, si riempiva di una pioggia. che preannunciava la “rottura” della stagione. Arrivati a Milano, non ci fu poi occasione per ritornare sui tre giorni di latitanza del Beyle che si guardò bene di fornire uno straccio di spiegazione. L’oblio sarebbe durato in eterno se, come talvolta accade, la casualità non ci avesse messo del suo. La casualità si presento molti anni dopo, quando Beyle aveva, da tempo, avuto modo di stendere quelle lapidarie parole che ancora oggi possiamo leggere nel cimitero di Montmartre: “ Arrigo Beyle milanese, scrisse amò e visse”. L’amò, inciso sulla tomba di Parigi e le pruriginose voglie, più volte manifestate nel succinto diario, di quel fine Agosto in Brianza, per lungo tempo furono il solo e più probabile indizio a cui fare riferimento per ricostruire il buco temporale del Beyle. Il caso volle invece dirigersi diversamente.
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Rigirava il volume tra le mani con curiosità, prese a sfogliarlo, era un “feuilleton”, troppo lontano nel tempo per un giudizio sereno, anche se solo avesse avuto la pazienza di leggerne il contenuto. Che potesse trattarsi di “carta da macero” l’intuì dall’esigua pretesa del venditore della bancarella di “brocantage”. Certo non era opera sublime anche al tempo della sua pubblicazione. L’uso fatto dall’antico lettore, che aveva vergato d’appunti le pagine intonse, ne era la prova. Comunque quel libro aveva qualcosa di speciale e non avrebbe tardato a svelarlo. Concluso l’acquisto diresse verso il fondo della piazza. Era indeciso se accomodarsi ad uno dei tavolini all’esterno del vecchio locale. Il tempo sembrava mutare e si convinse ad entrare. Prese posto ad un tavolo d’angolo, in prossimità della finestra che dava sulla piazza. Nell’attesa iniziò a sfogliare il libercolo, soffermandosi con curiosità sulla prima delle pagine riempite a mano.
” 30 Agosto 1818
La notte è stata molto afosa. Finalmente è passata. Solo verso l’alba un po’ di ristoro per la brezza che è scesa dalla montagna. Questa mattina ho raggiunto Monsieur C. nella sua osteria. Si doveva concludere lo scambio proposto. Nella fretta di lasciare la locanda di O. ho dimenticato il mio diario. Per ovviare mi sono servito delle pagine vuote, tra un capitolo e l’altro, è l’unico pregio di questo libro. Ieri sera, quel poco che ho letto, era più noioso delle zanzare che mi tormentavano”.
Il movimento del gestore del locale che aveva lasciato il bancone, gli fece alzare lo sguardo. Gli occhi, nel seguire l’uomo che andava avvicinandosi, inciamparono su una vecchia riproduzione del locale. L’insegna del tempo recitava “Antica Osteria della Posta con Stallaggio” Il “grembiulone” demodé che abbigliava l’oste, gli si parò dinnanzi. Si stupì delle bevande che l’uomo andava elencando, che tra l’altro conosceva solo in parte, sbrigativamente per non sbagliare scelse di ordinare un caffè. Il tempo era decisamente mutato e le prime gocce scivolavano rincorrendosi sul vetro della finestra.
Ritornò allo scritto:
” Monsieur C. ha preso nota, aiutato dalla giovane nipote che trascriveva, della mia ricetta, il “Coq au vin”, poi ha iniziato la preparazione della sua specialità, come mi aveva promesso”.
Il vento aveva smosso dai fermi l’imposta esterna della finestra e questa sbattendo sul muro, produceva sordi rumori che stranamente ricordavano il battere di zoccoli di cavallo sul selciato. La sorpresa gli fece alzare lo sguardo, per accertare cosa stesse succedendo all’esterno. Colse la mole dell’oste che era uscito per riassicurare l’imposta al fermo.
Il rumore non sembrò cessare dopo l’intervento dell’uomo, ma attenuarsi e poi allontanarsi. Sfogliò veloce le pagine del secondo capitolo, alla fine come si aspettava, trovò un altra pagina vergata a mano.
“Il faut des côtes de porc, des saucisses qui s’appelle verzet, un pied de porc, de la couenne de porc frais, quatre carottes, un petit céleri et quatre petits oignons, 1 gros chou, de beurre, sel et poivre ».
(Servono costine di maiale, salamini (verzet) un piedino di maiale, cotenna fresca di maiale, quattro carote, del sedano, quattro piccole cipolle, una grossa verza, burro, sale e pepe.)
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La diligenza sobbalzava sulla strada sconnessa, H.B. aveva gli occhi chiusi ma i tratti erano sereni e quasi allegri, Vismara lo guardava sconsolato non capendo la ragione che rallegrava l’amico. Soffriggevano “les petit oignons”, tagliati a pezzetti in uno sfrigolio di burro. Il gusto e il profumo della cotenna che rosolava allegra, riempivano l’olfatto di Stendhal. La curva secca spostò la sua testa, avvicinandola al finestrino, che era stato lasciato aperto. La polvere impregnata dalle prime gocce d’acqua che cadevano, si mischiò al vapore che il soffritto e la carne di maiale coperta dal sugo che andava bollendo, rilasciavano dalla casseruola. H.B. si girò seccato farfugliando, “il faut remuer!” non voleva che il “ben di Dio” si attaccasse al fondo della pentola. La strada si era fatta più pianeggiante e ora solo raramente Henry Beyle sobbalzava, cambiando contrariato l’espressione del viso che subito tornava distesa. Dopo un’ora di tragitto, la diligenza si fermo e salirono altri viaggiatori. L’acqua si era asciugata e anche le costine, le carote, il sedano entrarono per insaporirsi nel manicaretto. Ora erano sempre più lunghi e ben tenuti i lunghi tratti di strada che dopo il cambio dei cavalli la diligenza percorreva a velocità sostenuta. La verza e i salamini erano stati gli ultimi ingredienti ad essere aggiunti e dal movimento delle labbra di Stendhal si capiva che erano di un gusto incomparabile. Porta Orientale era ormai in vista, quando H.B. riapri soddisfatto gli occhi, stirandosi. Vismara sempre più cupo, non vedeva l’ora di lasciare l’amico che era stato di ben poca compagnia in quel viaggio di ritorno. Raccolti i bagagli i due si accomiatarono senza entusiasmo. Stendhal ebbe però il tempo di chiedere al Vismara, se a suo parere, al mercato di Porta Nuova, avrebbe trovato delle verze o se fosse necessario attendere i mesi invernali. Allibito, l’amico si allontanò, senza degnarlo di una risposta, Stendhal, dopo un’alzata di spalle schioccò ancora una volta le labbra per gustare quel poco di sapore che ancora gli rimaneva in bocca.
POSTFAZIONE
Vecchia Brianza in cucina è stato ed è il mio “vangelo” culinario: non solo non mi ha mai tradito, ma mi ha permesso di meravigliare ospiti con ricette nostrane in terra bergamasca.