STORIA DELL’ARTE MODERNA INTERPRETATA DA GINO CASIRAGHI: “VAN GOGH”

STORIA DELL’ARTE MODERNA INTERPRETATA DA GINO CASIRAGHI: “VAN GOGH”

Introdurre un personaggio come Van Gogh, vorrebbe dire trovare parole non banali, che non so a quale pozzo attingere. Lascio dunque a Gino Casiraghi l’intero onere, dell’approccio e del raccontare la non facile materia che il pittore ha proposto, e a cui tutta la critica del mondo ha risposto, versando fiumi di parole. Un solo particolare, forse banale, la sequenza del film di Kurosawa, nel film “Sogni” : nel caldo saturo di colori, di un campo di grano di mezza estate, la figura di Van Gogh, di spalle con l’inseparabile attrezzatura sulle stesse, sale l’improbabile sentiero tracciato tra le spighe ed una volta superato il culmine, mentre la sua figura scompare nel versante opposto, improvviso il volo dei corvi che riempiono il cielo, presagio sinistro che rimanda immediatamente ad altri “uccelli”, quelli di Hitchcock, a segnare una minaccia incombente, a cui Van Gogh sapeva di non potersi sottrarre. Del resto nessuno di noi  può sottrarsi al proprio destino. E’ forse questa la ragione, forse inconsapevole, che ha spinto Gino Casiraghi ad immortalare il volo dei torvi uccelli, sul lato del campanile.

 VINCENT VAN GOGH

Per meglio comprendere l’arte di Van Gogh, credo sia opportuno accennare a qualche aspetto della sua vita avventurosa e tragica. Nasce nel 1853 a Groot Zundert, (Brabante). E’ figlio di un pastore calvinista. Studia alla scuola pubblica, poi all’istituto Hannik a Tilburg. Di natura sensibilissima, ossessionato dall’idea religiosa, evidentemente assorbita anche in famiglia. Nella regione mineraria di Bruxelles assiste i poveri in un apostolato umanitario. Si tiene sempre in contatto epistolare col fratello Theo, che per amore fraterno lo sosterrà per tutta la vita.

 

Poco più che ventenne approda a Londra. Si sistema in casa della vedova di un pastore protestante, la quale gestisce una sorta di asilo nido, aiutata anche dalla figlia Ursula. Egli è attratto dalla solare freschezza della ragazza. La sua è più che altro un’attrazione sentimentale, che viene però scambiata per bassa intenzione carnale, e viene cacciato in malo modo. Segue un periodo di depressione e di attaccamento alla Bibbia. Nel 1875 si reca a Parigi. Frequenta i musei. Cerca l’amore ma viene inesorabilmente respinto, anche dalla cugina. Nel 1880 è a Bruxelles, e decide di darsi completamente alla pittura. E’ incoraggiato dal pittore locale Mauve, dal quale viene però presto abbandonato, perché nel frattempo decide di convivere con una prostituta di nome Christine, alcolizzata, malata e incinta. Il suo intento è di redimerla; quindi la sposa. Contagiato da malattia venerea è costretto all’ospedale dell’Aia.
Lasciamo perdere ora le sue tristi e continue vicissitudini, la sua morale visionaria e le sue inquietudini spesso nevrotiche; e vediamo invece la sua pittura, la quale però non gli calma le struggenti tensioni.
Van Gogh è un pittore speciale, perché nuovo e diverso rispetto al suo tempo. Non è affatto uno sprovveduto autodidatta, ma vive nella storia. Disegna già da anni ed è molto informato; visita musei e gallerie, e frequenta le botteghe degli artisti. Studia prospettiva e anatomia, e produce una grande quantità di disegni che possiamo definire di un forte realismo sociale. Infatti ama copiare Millet, uno degli artisti preferiti. Guarda anche alla poetica impressionista, la quale però non lo soddisfa. Ha ormai una buona preparazione e conoscenza artistica. Ha dentro di sé la cultura d’immagine secentesca: Rembrandt, Vermer e tutta l’arte olandese da cui deriva (con influenze pure di Darunier e Courbet) la sua prima grande opera “i mangiatori di patate”. Realizza con intenso realismo le condizioni socio-esistenziali della povera gente. Analizza lucidamente i temi sociali, riuscendo a cogliere, insieme alla fatica e alla durezza dei personaggi, anche la poesia. Stremato dagli stenti e dalla scarsità di cibo, si ammala.
Va a Parigi dal fratello Theo ove rimarrà, per due anni. Lì frequenta l’atelier di Cormon a Montmartre, ove conosce Emil Bernard e Toulouse-Lautrec. I grandi fermenti artistici parigini, influenzano fortemente la sua pittura la quale si evolve stilisticamente. insomma, a Parigi, ormai sa cosa gli è di stimolo e cosa deve respingere. Da qui riprende la sua sfolgorante attività pittorica. I suoi quadri rivelano sempre una profonda inquietudine; la tortuosità angosciosa dei segni e l’intenso simbolismo dei contrasti cromatici lo attestano. La dolorosa disperata bellezza della sua pittura realizzata in modo semplice, viene dapprima letta come ingenua. E infatti non è una pittura sontuosa e raffinata, anzi, è alquanto elementare. Tuttavia è un’arte che va oltre l’opera stessa, come se andasse verso un altrove che solo lui sente. La frenesia del dipingere di Van Gogh, in piena grazia dis-grazia fino all’ansia devastante, non è la manifestazione di un folle, ma l’eccitazione romantica che cela una disperazione amorosa. Solo che a lui la pittura non basta per esprimere la sublimità della natura; come la parola non basta al poeta.
Già in piena irrequietezza esistenziale, nel 1887 espone alcuni suoi quadri nella bottega di colori di Tanguy, di cui esegue il celebre ritratto. Nel 1888 si reca ad Arles. E’ ormai padrone del proprio linguaggio, in parte assimilato dal divisionismo di Seurat, ma anche dalle antiche xilografie, e che diventa motivo della sua pennellata spezzata e spinosa. E’ questo un periodo di pura esaltazione, in cui si origina quell’infiammato dinamismo che caratterizzerà la sua successiva arte, compresi molti disegni. Di fronte agli abbacinanti paesaggi della campagna del Sud, scatena la sua furente estasi che produce rappresentazioni in cui circola come una turbolenza che agita l’interna anima. Dipinge forsennatamente: di giorno le campagne assolate, i frutteti in fiore, i girasoli; di notte, alla luce di candele poste sul cappello, le notti stellate e i caffè. Un’opera sconvolgente è il famoso capolavoro “caffè di notte”, un luogo terribile, ove tutto può succedere.
Nel 1889 è ospite della casa di cura di Saint-Remy, (anche lì dipinge) ove spera di guarire dal disturbo psichico che lo affligge. A Ottobre arriva ad Arles Gauguin. Dapprima lavorano in comune; poi nascono incompatibilità e dissidi. Questi per la diversità di concepire la pittura, ma soprattutto per discrepanze caratteriali. Litigano spesso. Un giorno Vincent tenta di colpire Gauguin con un rasoio; poi, pentito, si taglia un orecchio. Per quanto provato e afflitto, è sempre legato a una lettura mistica del mondo.
E’ il l890; è sempre invaso da frenesia operativa (realizza 70 quadri in tre mesi) ed esprime il rimpianto di non avere 10 anni di meno (figuriamoci, ne ha 37) perché ora è in possesso del mestiere per affrontare e impossessarsi del mondo. Ma qui incomincia ad avere delle crisi, fisiche e mentali. Si stabilisce in una località vicino a Pontoise, ove viene assistito dal dottor Gachet, pittore dilettante e amico di molti artisti. Questi gli diagnostica una quantità di “anomalie”: una psicosi epilettoide, sifilide, caffeismo, tabagismo, relativo alcolismo, stato di denutrizione e sfinitezza conseguenti alla miseria con cui ha vissuto negli ultimi anni. Prima di lasciare il medico esegue un suo ritratto alquanto emblematico e di forte carica espressiva. Incredibilmente dice di lui: “mi ha fatto l’impressione di essere piuttosto eccentrico, ma la sua esperienza di medico lo deve aiutare a mantenersi in equilibrio lottando col suo disturbo nervoso, dal quale mi sembra gravemente affetto, per lo meno quanto me”.
Spossato, riprende a lavorare. Dipinge come se sentisse che le cose le stiano sfuggendo. I colori diventano profondi, le pennellate sono rotte in segmenti rapidi e aspri. Violento e terribile è quello che forse è il suo ultimo quadro: “il campo di grano”, la massa gialla del campo di grano è come un grido di dolore sotto un cielo in tempesta solcato da corvi.
Il 27 luglio scrive l ‘ultima lettera al fratello Theo, ove tra l’altro afferma: “nel mio lavoro rischio la vita, e la mia ragione si è consumata per metà”… Dopodiché va nei campi, e si spara un colpo di pistola. Muore dopo due giorni tra le braccia del fratello Theo.
Secondo certe rivelazioni, l’insano gesto è dovuto a un ennesimo rifiuto amoroso. Comunque sia, il destino di una creatura cosi mentalmente e sensibilmente vulnerabile, cosi esposta alle avversità dell’esistenza, non poteva concludersi diversamente.
La pittura di Van Gogh (una pietra miliare dell’arte moderna) contribuirà a sviluppare le future poetiche, specialmente il “realismo espressionista”.

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“PAUL GAUGUIN”