STORIA DELL’ARTE MODERNA INTERPRETATA DA GINO CASIRAGHI: “I MACCHIAIOLI”

STORIA DELL’ARTE MODERNA INTERPRETATA DA GINO CASIRAGHI: “I MACCHIAIOLI”

La ricostruzione di questa singolare “Storia dell’arte moderna”, prosegue. Gino Casiraghi, aggiunge una nuova pagina alla sua interpretazione. A noi il piacere di conoscere una nuova piega dell’abito che il secolo XIX si sta cucendo addosso. Pieghe che sotto un mutare di luce, possono apparire distanti tra loro, come a volte lo sono, ma nelle loro diverse espressioni concorrono ad un unico disegno finale che fa di questa forma dell’arte, forse anche più di altre, ugualmente di pari dignità, il primo e più antico “segno” distintivo dell’umanità.

I MACCHIAIOLI

Il periodo definito postromantico, tipico della prima metà dell’Ottocento, produce anche in Italia una nuova sensibilità espressiva. La pittura si anima di un’insolita linfa, e si carica di fervori innovatori. Il movimento artistico italiano culturalmente più importante è quello dei Macchiaioli, il quale nasce a Firenze in contrapposizione allo stantio ed insulso accademismo.

 

Risulta un movimento di notevole peso culturale, in quanto ha la precisa consapevolezza del proprio operare in rapporto al momento storico: carico di fermenti ideologici (vedi il Risorgimento) e di spirito rivoluzionario.
I giovani artisti, che di solito si riuniscono al caffè Michelangelo, manifestano grande entusiasmo per le nuove ricerche. Si parla e si discute con accesa passione della “macchia”, la novità con la quale si intende combattere il conformismo accademico, l’ufficialità, storico-celebrativa col suo retorico vuoto.
I primi esponenti di tale tendenza, sono Telemaco Signorini e il Cabianca; ai quali si aggiungono Silvestro Lega, Vito D’Ancona, Raffaello Sernesi, Odoardo Borrani. Al gruppo si unisce, nel 1859, l’artista più geniale e rappresentativo: Giovanni Fattori, anch’egli per esprimersi, appunto mediante le possibilità offerte dal nuovo linguaggio.
Vediamo brevemente cosa si intende per “arte della Macchia”. Si scopre e si sostiene vivacemente, che in natura non esistono i contorni delle cose; pertanto si deve trovare il modo di rendere la realtà secondo questa intuizione. Le figure, devono stagliarsi sullo sfondo per contrasto, ottenendo il rilievo mediante il chiaroscuro.
Detto cosi è semplice; ma le conquiste espressive sono faticose e non sempre felici.
I Macchiaioli, addirittura, affermano che bisogna rendere in pittura ciò che l’occhio percepisce: ossia macchie di colore determinate dalla luce e dall’ombra. Inoltre, l’artista, non dev’essere influenzato da aspetti pittorici codificati.
Tale enunciazione precede cronologicamente la teoria degli impressionisti, anche se non è, evidentemente, sostenuta dall’altrettanto lucido linguaggio pittorico.
Ad ogni modo il movimento è spalleggiato e sostenuto da critici valenti e coraggiosi quali il Martelli, il Cecioni, il Signorini.
C’è nella loro pittura una spasmodica ricerca del “vero”. Interessa loro  la consistenza dei corpi e la dimensione classica dello spazio.
Come gli impressionisti, anche i macchiaioli all’inizio ricevono critiche feroci. Eccone alcune: “La pittura di Signorini è vuota e smunta”; “il falso splendore della natura di Cabianca”; “la gamma grigia dei toni di De Nittis”.
Come si è detto, gli artisti di tale movimento, dapprima stentano ad imporre le loro idee, e soprattutto i risultati pratici delle loro teorie.
Ma dopo l’esposizione del 1861, dove tutta l’arte italiana può confrontarsi, il gruppo ottiene i primi riconoscimenti da parte dell’intelligenza più viva; anche se il pubblico continua ad ammirare il romanticismo accademico, ormai degenerato in forme retoriche e celebrative.
Il limite dei Macchiaioli, è di conservare un atteggiamento tradizionale nei riguardi della realtà. Il loro è un linguaggio figurativo ancora legato alla testimonianza.
A differenza degli impressionisti, essi raccontano la cosa, ma non riescono a identificarsi. In sostanza più che credere ed immergersi nella realtà, ne risultano i cronisti.

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