SULLE ORME DELLO SCIAGURATO EGIDIO (CAPITOLO 1)

SULLE ORME DELLO SCIAGURATO EGIDIO (CAPITOLO 1)

LA FUGA HA INIZIO, I TRE RAGGIUNGONO IL MONASTERO DELLE GRAZIE

Prima d’entrare nel vivo dell’azione è d’obbligo ricordare la genesi della storia. Tracciamo gli avvenimenti che dalla nascita di Marianna de Leyva, ci condurranno sino ai fatidici giorni a cavallo fra il Novembre e il Dicembre del 1607, teatro della nostra attenzione. Alleggeriamo questa doverosa introduzione, scorrendo questo video-racconto.

Come abbiamo avuto modo di vedere gli interrogatori, del vicario criminale, sono in corso da due giorni. Suor Benedetta Omati è determinata, nel lasciare il monastero di Santa Margherita.  Nottetempo, con l’intervento dell’Osio pratica un foro nel muro di cinta, sul lato del terraggio, in prossimità della porta dei carri del monastero e da lì lascia il convento, in compagnia dell’Osio e dell’altra monaca Ottavia Ricci.

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La fuga dal monastero

E’ quest’ultima a farci sapere, per prima, come sono andati i fatti. Lo svela durante l’interrogatorio, che segue il suo trasferimento, presso il monastero di sant’Orsola, dopo che è stata prelevata, fradicia e ferita, dal convento dei Frati Osservanti, alle Grazie. Suor Benedetta ha insistito nel convincerla a lasciare il convento, lei l’ha seguita nel giardino, dove come ci informa, riferendosi a suor Benedetta “mi condusse nel giardino al luogo dove haveva cominciato a rompere la muraglia (l’Osio) dalla parte del portone dei carri del monastero verso il terraggio”  Segue poi dicendo  “In tanto suor Benedetta seguitò ad allargar il buco levando via delli quadrelli dalla muraglia et l’Osio aggiuntava a far il buso per la parte di fuori” . Di tale via di fuga, abbiamo conferma da quanto verbalizza il notaio Francino, che segue il vicario Saracino nelle indagini. Il giorno 30 Novembre, di ritorno dal convento di sant’Orsola dove è ospitata suor Ottavia ferita e di cui hanno da poco raccolto la testimonianza, si portano al monastero della “Signora” e prima di entrarvi, eseguono scrupolosi il sopralluogo alla breccia, prima all’esterno e poi all’interno. Annotano “  e vide e trovò che il muro era stato rotto e che vicino a terra c’era un buco di forma rotonda distante dalla porta grande del monastero, chiamata de carri, circa dieci braccia dalla parte destra; questa porta da su alcuni giardini e una strada gira intorno al muro.” I tre hanno lasciato il monastero, le due monache sono intenzionate ad allontanarsi dal Ducato di Milano, per essere condotte nella bergamasca come hanno ripetutamente perorato verso l’Osio. Sono circa le “quattro hore e anco più tardi”, come apprendiamo da suor Benedetta,  il 3 Dicembre dopo che a sua volta la monaca, ritrovata a Velate, è stata condotta anch’essa a sant’Orsola, quando: “andai a dimandare suor Ottavia Ricci sodetta et l’avvisai, che l’Osio era di fuori et che faceva il buso da fuggire” ed ancora “ et doppo io, et ci aviassimo dietro alla muraglia di Monza tutti tre che caminassimo un pezzo dietro a detta muraglia che pensavo d’esser fuori ma esso disse che ancora eravamo in Monza ”  I fuggiaschi sono fuori dal convento sul terraggio, che all’epoca dei fatti s’identificava con l’attuale via Azzone Visconti. Il terraggio è protetto dalle mura che cingono Monza, seguendo il percorso della via citata e  sono protette dal corso d’acqua del fossato, il Lambretto di oggi. Al riparo di queste mura, i tre percorrono il tratto delle odierne Via Visconti e Aliprandi, oltrepassano il Ponte Nuovo e giungono nei pressi del Carrobiolo. Qui le due monache ci restituiscono i loro punti di vista. Suor Benedetta: “finalmente uscessimo fuor da un zappello et andassimo verso le Grazie, et d’accordi andassimo alla chiesa sodetta et ingenocchiati dicessimo sette volte la save Regina pregando la Madonna che ci aiutasse in questa cosa.” Suor Ottavia aggiunge particolari, “ Et così siamo caminati un pezzo tutti tre per di dentro dietro la muraglia di Monza sin che siamo arrivati ad un luogo, dove era rotta la muraglia et si poteva uscire che si chiama Carobiolo per questo disse Gio. Paolo se ben mi ricordo, et da lì siamo calati giù et habbiamo caminato per una strada che alle volte trovavamo il Lambro, alle volte lo perdevamo che non so che strada fosse né lui ce lo diceva, et arrivassimo alla chiesa della Madonna delle Gratie che così ci disse detto Osio, ond’io persuasi che ci ingenocchiassimo et domandassimo gratia alla Madonna che ci accompagnasse, et così ci ingenocchiassimo tutti tre su la porta grande di detta chiesa e dicessimo sette volte Salve Regina ” Esperto delle cose che evitano d’incorrere nei dettami delle regole e della legge, l’Osio è a conoscenza della breccia, prodotta nelle mura, che “agevola” le operazioni fiscali di chi ne fa uso, o come nel nostro caso, permette di lasciare la città senza che le autorità preposte, ne siano a conoscenza. Possiamo localizzare la porta del Carrobiolo. Era posta in via Frisi, poco prima dell’angolo di via Santa Croce. Nodo stradale d’importanza all’uscita di Monza, da cui dipartivano, tra le altre, la direttrice verso il ponte di Canonica, ovvero la strada del Gernetto. Questa è la direzione che i tre seguiranno, una volta lasciata la città. Percorreranno ora più accosti, ora più distanti, la riva destra del Lambro, giungendo in prossimità del ponte in legno dell’epoca, costruito in occasione della fondazione del monastero delle Grazie, per unire lo stesso alla città, oltrepassato lo stesso, si ritrovano davanti alla porta della chiesa che a quell’ora è serrata. Lasciamo i tre, che nonostante abbiano ripetutamente violato le leggi di Dio e degli uomini, hanno ancora in animo di rivolgere una supplica al Cielo, con spirito ispirato dalla consuetudine e  dalla superstizione, e non certamente, dai dettami dell’anima.

ALLA PROSSIMA PUNTATA…