Prima del "Parco dell'acqua"

di Paolo Cazzaniga e Tonino Sala

L’inaugurazione avvenuta in questi giorni, ad Arcore, della vasca volano su via Monte Bianco, battezzata col nome di “Parco dell’acqua”, nell’intento di rendere suggestivo ed anche fruibile alla popolazione un manufatto che altrimenti, avrebbe avuto un impattato estetico poco invitante, servirà ad imbrigliare le acque che provengono dalla Valle del Lupo o dei morti, vedremo poi verso la fine il motivo di questi appellativi. Arcoresi e non conoscono benissimo, avendo dovuto convivere da sempre, gli effetti, a volte devastanti, provocati dalle precipitazioni meteoriche, non appena “Giove pluvio” si da un po’ da fare. Quel “da sempre” trova una prima documentazione, come si dice “nero su bianco”, nel documento che vogliamo proporvi oggi. 

Chi ha tempo e volontà può scorrere l’intero documento, non ci sono particolari difficoltà nel leggerlo salvo fare attenzione che quella “f” senza trattino è da leggersi “s” (Lefmo=Lesmo). Per tutti gli altri vediamo di riassume per sommi capi.

“O tempora o mores” (che tempi che costumi) oggi come ieri

La prima cosa che salta all’occhio è la conferma che le lungaggini burocratiche così come quei lavori che hanno un inizio ma mai una fine, non sono di certo prerogativa dei nostri giorni. Il documento racconta di un arco di tempo che va dal 1782 per concludersi, nel senso di arrivare ad impartire delle disposizioni precise, anche se abbiamo dubbi che queste avessero avuto un seguito, nel 1788. La seconda considerazione, che in parte ci consola, è che se si è soliti dire “piove governo…” con quel che segue, in quel fine Settecento l’imprecazione per i danni della pioggia trovava due precisi colpevoli a cui ascrivere le magagne, Don Ottavio Giulini ed il nipote Don Cesare. Non ci divulghiamo sulla stirpe dei due, che facevano parte di quella nobiltà lombarda che qui ad Arcore possedeva, fra i beni di maggior prestigio, il San Martino  e le Cascine Ca’ e Giardino nella prossimità dei luoghi interessati alle esondazioni

Per farla breve le acque che scendevano dai rilievi di Lesmo e di Arcore andavano a concentrarsi, attraverso differenti percorsi, nella zona dell’odierna rotonda di Peregallo, termine di Via Monte Bianco. Qui venivano imbrigliate in un corso d’acqua (cavo) che passava per un vasto appezzamento dei Giulini, da tempo memorabile. Nella vista aerea il percorso del “cavo” a partire dalla rotonda al termine di via Monte Bianco tra Arcore e Peregallo.

Proponiamo ora, nella mappa d’epoca, i luoghi della vicenda. Si tratta della riproduzione del territorio che risale al Catasto Teresiano. Ricordiamo come Arcore possa vantare la riproduzione di questa rilevazione fatta sul campo nel 1721, di cui proponiamo il totale e quindi il particolare della zona di nostro interesse, questa mappa è la “messa in bella copia” del precedente rilievo.

I Giulini sbarrano il cavo colatore

Verso la metà del 1782 giunge al Regio Ducal Magistrato Camerale, della stato di Milano una petizione della Comunità di Arcore e di Lesmo, a cui si uniscono altri proprietari della zona, in cui si lamenta, che i Giulini, Ottavio e il nipote Cesare, hanno, non si sa per quale motivo, otturato l’ingresso del cavo, che poi scorreva su loro terreni, impedendo in tal modo alle acque che scendevano dalle colline limitrofe, un deflusso nel canale. Canale che in origine si snodava nel percorso indicato in mappa, per poi proseguire verso l’attuale comune di Villasanta e quindi entrare nella Giringhella, il canale irriguo che scorreva a lato del Lambro, più o meno all’altezza dell’attuale località Buttafava, ai tempi nota solo come Ca’ Bianca. Il lavoro dei Giulini, aveva così convogliato le acque sulla “strade dei Mugnai”, attuale via 24 Maggio alla Ca’, interessando la Cascina appena citata e quindi salendo verso Peregallo, su via Mazzini nel comune di Lesmo, con danni alle cose e alla popolazione che così estrapoliamo dal documento: “…con sommo danno del caseggiato ivi esistente detto la Ca’…” e poi “… (mappali terreni) 215 e 216 comune di Arcore  danneggiati con perdita, ed ingeramento di fondo, 114, 113, 111, comune di Lesmo, dove si risente il maggior danno, e fa deposito continuo e pregiudizio della Comunità, per cui anche due anni sono ha dovuto la medesima far riparare a proprie spese una foppa in mezzo alla strada comunale frequentissimamente battuta, perché conduce da Monza ai Monti di Brianza ed al confine di Lecco.” Il documento illustra ancora gli innumerevoli danni causati  nella zona. “In tempo di essa piena arrivò al piede delle case, ed agli usci della Cassina detta la Ca’, per cui gli abitanti di detto caseggiato non altrimenti poterono passare, o sortire, che a cavallo.” Danni anche alla roggia Ghiringhella e alle sue sorgenti, all’altezza della villa Rapazzini, dove “sfogava” il maggior quantitativo di acqua per riversarsi poi nel Lambro. La stagione invernale, garantiva poi strade ghiacciate e impraticabili, ancora dalla relazione: “…rende la medesima impraticabile…peggio se sono (bestie) d’attiraglio; difatti i Mugnai con le bestie cariche obbligati a passare quotidianamente per vittovagliare il Borgo di Vimercate Mercato, e comuni adiacenti in simile occasione sono sforzati traversare i campi a lavorerio, allongare la strada per non poter vallicare la suddetta.”

La macchina amministrativa si mette in moto

Dobbiamo dire che le spiegazioni dei Giulini, circa questo intervento, risultano alquanto fumose e poco convincenti.

La macchina amministrativa si muove e il Magistrato Ducale (R.D.M.C.), dopo i rilievi che avevano accertato lo stato di fatto, nel mese di agosto del 1782, passò la palla al Giudice delle Strade, gennaio 1783, che dettata la sua relazione, torna dal Magistrato e questo gira la stessa alla Regia Intendenza Politica di Milano, giugno 1783. Il Magistrato delle acque dopo un sopralluogo nel gennaio del 1783, si riserva di attendere la stagione estiva e quindi ritornare sul posto per stendere un progetto dettagliato. Cosa che in effetti fa, nel testo originale proposto la sua idea, anche se la mancanza delle mappe promesse nel documento, non ci consentono una chiara esposizione delle modifiche, che comunque rimangono sulla carta. Le Comunità locali, muovono critiche al progetto e a loro volta propongono altre soluzioni. Fatto sta che senza colpo ferire ci troviamo ad ottobre del 1785, quando Ottavio Giulini propone di ripristinare l’ingresso, a suo tempo otturato, con la condizione di costruire un meccanismo che possa intercettare il flusso e regolarne la portata. Arcore non è d’accordo e i Deputati del suo Estimo, vogliono il deflusso nel cavo libero, siamo arrivati all’aprile del 1786. Nuova mega riunione, sul posto,  indetta dalla R.I.P.  presenti: il Perito d’Ufficio Ingegnere Marzoli, R.D.M.C. , Deputati dell’Estimo e Possessori dei terreni, data giugno 1786. La riunione sancisce che per risolvere i problemi occorre riaprire il famoso cavo, sono passati 4 anni dalla petizione e forse 5 o 6 da quando il Giulini aveva manomesso il canale. La nobil casa afferma di essere già intervenuta a sufficienza per risolvere il danno fatto, di parere opposto sono i rappresentanti di Arcore, visto che durante le ultime copiose precipitazioni (30 luglio 1786) il regime di piena ha arrecato nuovi danni sulla strada dei Mugnai.

Il Regio Intendente interviene di persona; i Giulini hanno torto

Nel mese di agosto di quel 1786 il Regio Intendente Politico del ducato di Milano decide di verificare personalmente la situazione arcorese. Deve prendere atto che i lavori vantati dai Giulini si sono dimostrati inadeguati e solo ripristinando il “fosso colatore” nelle dimensioni originali, si potrà sperare di risolvere i problemi. Le due Comunità di Arcore e Lesmo, alzano la voce e chiedono interventi decisi, scomodando il Regio Imperiale Consiglio di Governo. Fatte le debite considerazioni e riconfermate la bontà delle relazioni degli esperti chiamati in causa nel lungo iter, la conclusione inchioda i Giulini alle loro responsabilità.

Conchiudendo. Li danni sono certi, e provati. La Causa dei danni sono le Novità Avversarie fatte, e sostenute con piena mala fede ad onta dei riclami delle Parti. L’unico rimedio per impedire li danni futuri si è una ripristinazione, che operi l’eguale effetto, che si otteneva avanti le Novità, come l’unico rimedio per li  danni passati si è la riffazione dei medesimi: Dunque a buona ragione gli Attori hanno domandata la ripristinazione, e riffazione suddetta; e nuovamente l’addomandano, come negli atti ec.

                                                                                                                                                        Giammaria Parravicini

Si sarà mai arrivati ad una conclusione della controversia?

Dobbiamo ancora attendere il 19 maggio del 1788, perché si formalizzi la procedura contro il Giulini. Nel comune di Lesmo quel giorno si ufficializza che il Conte Consigliere Don Gio. Batta Mellerio, Il Dottore Sirtori e i R.R. Padri di S. Barnaba (hanno terreni nella zona) sono delegati ad agire contro il Signor Conte Giulini, a nome loro e delle due Comunità di Arcore e Lesmo.

Abbiamo seri dubbi che immediatamente dopo questa data, qualcosa fu fatto. Tanto che siamo quasi certi, che prossima ormai la fine della prima parte della Dominazione Austriaca, 1896, solo con l’avvento di Napoleone in Lombardia, si mise mano al tentativo di sistemare le cose. Nel malmesso Archivio Comunale, ormai è passato qualche anno, Tonino Sala aveva scovato questo documento: “Perizia Carminati 20 ottobre 1805” intitolato “Strade rovinate dal Torrente valle de’ Morti detto della Chà”.

Oggi ci rendiamo conto che questa perizia è il seguito di quanto era iniziato oltre 25 anni prima, senza che il Giulini, autore del danno pagasse dazio. Sarebbe stato a carico della collettività l’intervento per sanare questa annosa situazione. 

Non ci dilunghiamo ulteriormente nel raccontare questo nuovo capitolo, ma vi rimandiamo al lavoro di Tonino Sala, per tutti i dettagli (La Valle del Lupo).

Il percorso antico del Rio dei Morti

Prima di terminare, alla luce del lavoro appena citato, e per chiudere il cerchio con l’apertura della nuova vasca volano, dobbiamo soddisfare un nostro dubbio. Le acque che da oggi alimenteranno, speriamo il meno possibile, il bacino del “Parco dell’acqua”, e che normalmente sottopassano la via Monte Bianco, volgendo poi verso NO, e costeggiato un tratto della stessa via, deviano verso il collettore consortile nella valle del Lambro, concorrevano ai disastri descritti in quell’ultimo quarto del 18 secolo?

In primo piano la tombinatura del Rio dei Morti che attraversa via Monte Bianco. La staccionata in legno delimita il canale che in caso di piene riverserà l’acqua nella vasca volano

Non abbiamo elementi decisivi ma una serie d’indizi ci fanno supporre che il corso d’acqua scendesse dal displuvio collinare, attraversando la via per Peregallo, attuale Monte Bianco, qualche centinaio di metri verso Arcore, rispetto all’attraversamento odierno, e quindi seguendo più o meno quella che era la strada del Vignone, oggi senza nome.

Un tratto della strada, nota un tempo come “Strada del Vignone” oggi senza nome. Probabile percorso anche dal Rio dei Morti, prima dei lavori di sistemazione del 1805

Incrociava poi la zona oggi segnata da via Monte Rosa, in prossimità della “Area feste” e andava a buttarsi nel cavo Giulini, che scendeva da nord. Esplicativa di questa descrizione la mappa appena sotto, il percorso presunto è quello punteggiato.

A sostenere l’ipotesi: la mappa del Teresiano, che ci lascia suppore come a fianco del percorso stradale, che abbiamo evidenziato punteggiato, scorresse il corso d’acqua. Ancora percorrendo il tratto finale della strada sterrata che costeggia le mura del Parco di Villa Borromeo, verso i “Mort lungh”, possiamo scorgere tratti di “paleo-alveo” molto accentuati, in particolare una curvatura di un fosso, che potrebbe ricondurre all’antico corso del Rio dei Morti.

Anche Arcore aveva i suoi “ruee”

Per finire una curiosità. Nell’ultima mappa aerea proposta, abbiamo indicato quella zona circolare piantumata, come “ex cava”. Per me una novità, introdotta da Tonino Sala, con cui abbiamo condiviso questa ricerca, mi ha raccontato dell’esistenza di più d’una di queste cave nel territorio arcorese.

La zona nei pressi della “Area Feste” di Arcore. Sullo sfondo la leggera depressione, contornata da alberi, segna una delle cave, presenti in Arcore nei tempi passati, poi colmate dai “ruee”.

Si estraeva sabbia e sassi, sino a giungere al livello della falda, quando la cava veniva abbandonata. In seguito questi scavi furono colmati con i rifiuti, per lo più provenienti da Milano.

Questo il ricordo di Tonino:

“Io ebbi la possibilità di vederla quando, ancora ben identificabile negli anni 50, era ormai in fase di colmatura come scarico del pattume milanese che i “ruee” arcoresi raccoglievano a carrettate notturne e la cui selezione veniva fatta sul posto dello scarico… ebbi la possibilità nel ’54 di fare un velocissimo schizzo sul rimestare e frugare delle persone che riciclavano o selezionavano tutto il massimo del ricuperabile …”

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