L’ORATORIO DEL DOSSO DI VELATE

L’ORATORIO DEL DOSSO DI VELATE

Descrizione dell’edificio e dedicazione:

L’edificio si presenta diviso in due parti: ad ovest, un ambiente circolare protetto da un portico, anch’esso dall’andamento curvilineo, sorretto da quattro colonne, che poggiano su una balaustra, interrotta centralmente dall’accesso. La parte posteriore dell’edificio, di forma rettangolare, è protetta da un tetto a capanna. L’ambiente è utilizzato come sacrestia. A nord, tra le due parti dell’edificio, s’innalza il campanile, la campana fu benedetta nel 1932. L’oratorio, in origine dedicato a san Giacomo Zebedeo, riconducibile al patronato dei De Caxate, che tra l’altro erano stati promotori e sostenitori della fondazione del conventino di San Giacomo a Galgiana nella vicina Casatenovo. La dedicazione alla Vergine del Carmelo, può ricondursi al patronato Croce-Nava, abbiamo notizia che la figlia del nobile Croce, una volta ricevuta dal padre la proprietà della vicina chiesa del Masciocco, chiede che la dedicazione della stessa, passi dalla Vergine del Carmelo, a Sant’Eurosia, è probabile che nell’occasione l’Oratorio del Dosso abbia assunto la dedicazione resa disponibile. In occasione della visita pastorale del 1856, la chiesa risulta essere dedicata alla B.V. Maria.

Cronologia:

1270: Le prime informazioni del luogo risalgono ad un testamento, in cui il Beato Conte de Caxate, lascia ai nipoti: “il possedimento che ho al dosso del prete”. La denominazione “del prete” ci fa intendere che il luogo fosse, fin d’allora legato ad un edificio religioso.

Fine del sec. XIII: Nel  “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” di Goffredo da Bussero, la chiesa del Dosso di Velate è così indicata: “In Plebe Massalia ad Dossum Presbiteri ubi dicitur Soreram, Ecclesia Sancti Iacobi Zebedei”.

1346: Negli “Statuti delle strade ed acque del Contado di Milano” abbiamo notizia che “Le cassine del Dosso del Prevedo pieve di Vimarchà” devono contribuire alla manutenzione di 36 braccia, poco meno di venti metri (sic!) della “Strata da Monza”

1398: Nel “Notizia Cleri Mediolanensis”, che delinea uno stato della chiesa milanese alla fine del sec. XIV, annovera nelle pieve di Vimercate la presenza del “capellanus dossi de prenede”,  che ha un reddito di 1 Lira imperiale, 2 soldi e 5 denari, e dunque per tale cespite viene tassata.

1721: Documentata nel catasto Teresiano. Si ricava che la “capelletta” dedicata a San Giacomo è di proprietà privata, tale possesso a distanza di 450 anni, dalla prima documentazione, è  nelle mani degli “Heredi di Ambrogio de Casate”, dunque lontani discendenti del Beato Conte del 1270.

1822: Grazie alla raccolta di offerte, dei fedeli che qui accorrevano, era stato possibile erigere l’Oratorio nelle forme attuali escluso il campanile e la sagrestia edificati in un secondo momento, con l’assenso del proprietario del terreno, il nobile Sig. Francesco Croce, nel luogo su cui insisteva un muricciolo con una rappresentazione della Vergine.

1838: Il Sig. Croce richiede il permesso, alla celebrazione della Santa Messa. Il cardinale Carlo Gaetano Gaisruck, appurato, che l’oratorio era sorto senza alcun benestare ecclesiale, nega l’autorizzazione e chiede l’intervento delle autorità civili affinché l’edificio non sia più aperto ad uso di culto e sia impedita l’affluenza del popolo, vista la frequentazione, in ogni ora, anche di notte, specialmente da donne.

1856: Visita pastorale dell’Arcivescovo Romilli, si ha notizia che lo stesso proibisce di celebrare la Messa nella cappella detta del Dosso e che impartirà, delle disposizioni precise circa, “dubbi sul culto che vi veniva esercitato”. La proprietà è passata alla figlia del Sig. Croce, Carolina, che la detiene con il marito Giuseppe Nava. Dalla visita pastorale possiamo accertare che l’edificio ha le stesse forme e dimensioni che apprezziamo oggi. Il documento indica la dedicazione della cappelletta alla B.V. Maria.

Nel 1869 il figlio di Carolina, Giovanni Battista Nava, vende il Dosso a Carlo Poggi, possidente di Camparada Tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento la proprietà passa a Giuseppe Borghi.

Nel 1882 un nuovo evento miracoloso, di cui non ci è pervenuto il racconto, da nuovo lustro all’Oratorio e grazie alle offerte raccolte Giuseppe Borghi edifica il campanile e la sagrestia.

Nel 1888 con l’ingresso in Velate del nuovo Parroco Achille Carabelli si determina la necessità di istituire una fabbriceria che possa gestire l’Oratorio.  L’operazione non va in porto.

Per tutto il ‘900 la vicenda dell’oratorio sarà caratterizzata dai difficili rapporti fra  la nobildonna Giuseppina coniugata Belgir, e la Parrocchia di Velate.

1925: Arriva al Dosso, autorizzato dal Card. Schuster, don Santo Marini, che era stato parroco di Campofiorenzo, rimarrà fino alla morte avvenuta nel 1946. Egli costruirà, su suo progetto, la propria abitazione di fronte alla Cappelletta, in uno stile “vicino” al  liberty.

1935: I rapporti con la Parrocchia e la signora Giuseppina Belgir, diventano sempre più difficili fino a decretare da parte del Card. Schuster, l’interdetto, che vieta la celebrazione della messa.

1936: Don Santo, costruisce in prossimità della sua abitazione un piccolo edificio religioso, che vediamo ancor oggi, per la celebrazione della sua messa quotidiana. Il Schuster non concede l’autorizzazione, ma con una deroga all’interdetto, concede la celebrazione quotidiana a don Santo nell’Oratorio. La messa domenicale resta vietata.

1957: La signora Belgir dona la chiesetta alla Parrocchia. L’Oratorio viene spogliato di tutti gli ex voto contenuti al suo interno.

1958/59: Si ha notizia di un primo restauro effettuato dal parroco don Carlo Fantoni.

Anni ’70: un secondo restauro viene promosso dal parroco don Angelo Zorloni:

Anni ’90: Ha luogo un restauro radicale ad opera del parroco don Giuseppe Riva,  che determina, tra l’altro, lo spostamento del Tabernacolo alla sinistra del dipinto, il rifacimento dell’affresco, con evidenti manomissioni dell’originale e la realizzazione dell’altare rivolto ai fedeli.

Anni 2000: Il dipinto ritorna alle sembianze originali, con lavori di restauro che tolgono le sovrapposizioni avvenute nel tempo. Il tabernacolo ritorna in posizione centrale.

L’interno e il dipinto:

 

dipinto oratorio del dosso anni 90

Il dipinto, anni 90

 

Altare chiesa del Dosso di Velate, Madonna del Carmine (foto scoprilabrianzatuttoattaccato)

Il dipinto attuale

L’interno è estremamente semplice, una lapide sul lato di destra, ricorda i donatori Borghi-Belgir. Le balaustre in marmo, un tempo chiuse con un piccolo cancello in ferro battuto, di cui  s’ignora la sorte, precedono l’altare dietro al quale apprezziamo il dipinto.

L’affresco rappresenta la Madonna che sorregge il bambino e sotto il braccio sinistro tiene un libro. Poniamo attenzione allo scapolare che il bambino Gesù ha nella mano, tale attributo riconduce alla dedicazione della Madonna del Carmelo, manca invece lo scapolare che dovrebbe porgere la Madonna per completare l’iconografia consueta. La nostra Madonna ha invece un libro, solitamente simbolo delle scritture che si avverano, ma non precipuo per la dedicazione del Carmelo. Sulla sinistra in evidenza San Pietro con le chiavi del paradiso, inginocchiato sulla destra  San Carlo, che con determinazione aveva ispirato e diffuso il culto della Madonna, a cui era particolarmente devoto. L’altro personaggio, alla destra, apre  interessanti prospettive di discussione. Ritenuta la rappresentazione di san Rocco, in effetti una serie di segni ci riconducono al santo, che parte dalla nativa Francia verso Roma con le vesti tipiche del pellegrino,  quale il cappello a larghe tese, la mantellina sulle spalle, il bastone e la borraccia per l’acqua ed ancora  la conchiglia. E’ questo il primo particolare che indirizza ad ipotizzare la rappresentazione di un altro santo. La conchiglia  è posta sul cappello, particolare che identifica invece san Giacomo Zebedeo, che per altri versi ripete l’abbigliamento di san Rocco. L’altro particolare che ci fa propendere verso san Giacomo è la mancanza della piaga sulla gamba e del cane con il tozzo di pane che accompagna san Rocco, particolari che non troviamo nel nostro dipinto.  Tale ipotesi suffraga quanto sostenuto anche dal professor Magni, cultore del luogo e che ha fornito preziose informazioni, sulla chiesetta. Dunque la rappresentazione del santo, a cui nel passato era dedicato l’oratorio, è perfettamente plausibile, con l’immagine proposta dal dipinto. Le notizie storiche che abbiamo sono frammentarie e lasciano aperte ipotesi da confermare. Il restauro compiuto in anni recenti, che voleva portare il dipinto all’aspetto originale, ha collocato l’origine dello stesso, verso il 1600, sollevando forti dubbi. Sappiamo che prima del 1822, anno di edificazione del rinnovato oratorio, esisteva solo una parete diroccata con il dipinto della Vergine. La vista pastorale del 1856 ci lascia questa descrizione “Oratoruim in honorem B.V. Mariae eius jmago depicta est sopra altare, dicatum fuit”, dunque la sola Vergine, senza la dedicazione al Carmelo e senza la presenza di altri personaggi. Prima dell’intervento degli anni ’90, che ha stravolto la rappresentazione originale, abbiamo notizie, da un sopralluogo del professor Magni, in compagnia di un collega esperto d’arte, quando avevano colto, su un margine della pittura, la data del 1891 a cui forse si può ricondurre la rappresentazione che oggi vediamo. L’intervento citato, relativo agli anni ’90, aveva prodotto una “interpretazione”, dal contenuto artistico più ricco, con espressioni nei visi e movimento nei panneggi degli abiti di qualche valenza estetica, e con la rappresentazione, sul fondale, della vicina Montevecchia e delle Prealpi.  In passato, come ricordano ancora le persone più anziane, il dipinto era contornato da ex voto, tra cui delle grucce, quali segni della grazia ricevuta, non mancano, nei ricordi di queste persone, la narrazione di interventi miracolosi di cui la Vergine era stata protagonista.

ALTRI CONTRIBUTI:

LA VISITA PASTORALE DEL 1856

UN EX VOTO DELLA CHIESETTA DEL DOSSO

LA MADONNA DEL DOSSO: MIRACOLI O ERESIA

GLI ORATORI DEL MASCIOCCO E DEL DOSSO NEL TESTAMENTO DI FRANCESCO CROCE