Arcore: Campane e Campanile (Un suono per risplendere)

Arcore: Campane e Campanile (Un suono per risplendere)

Il post pubblicato sul sito: https://cartolinedaarcore.wordpress.com/, illustra uno scorcio della Arcore, fine anni ’50. Nell’immagine di via Casati, in prossimità della Chiesa dedicata a Sant’Eustorgio, fa bella mostra di sé il campanile della parrocchiale. Nel chiedere lumi all’amico Tonino Sala, per raccontare della cartolina, (https://cartolinedaarcore.wordpress.com/novita/), è uscita dal suo inesauribile archivio una preziosa pubblicazione, promossa dalla Parrocchia di Arcore nell’estate del 1993. In quell’anno, importanti lavori di restauro, avevano rimesso a nuovo il campanile e il concerto di campane posto alla sua sommità. Fu l’occasione per dare alle stampe lo scritto di cui accennavamo: “Un suono per risplendere” un’attenta ricerca di Tonino Sala, per raccontare la storia del campanile e delle sue campane. Oggi 2019, poco oltre il venticinquesimo anniversario dei restauri, vogliamo in questo spazio riproporre il contenuto del volumetto, per dare continuità ad una memoria, che inesorabilmente andrebbe perduta. Una storia ricca di particolari, che penso pochi conoscano, così come senz’altro risulterà sorprendente, scoprire le decorazioni che adornano le sei campane. Ad introdurre lo scritto d’epoca, un’attenta prefazione di don Luigi Gaiani, da poco in quel 1993, parroco di Arcore e promotore del restauro. A margine un ricordo di Pierantonio Verga pittore, frequentatore “artistico” di Lucio Fontana, nato a Milano nel 1947 e morto a Vimercate nel 2015, autore dei raffinati quadranti dell’orologio del campanile, realizzati giusto in concomitanza con i lavori del 1993. Appunto da una nota del pittore, che per motivi banali, non fu possibile inserire nell’opuscolo d’epoca, lacuna a cui solo oggi si pone rimedio, spunta quel “Un suono per risplendere”, che titolò la pubblicazione. Per finire l’annuncio di un prossimo spazio ed omaggio a Carlo Bestetti, con l’intento di riproporre in versione integrale una sua lirica su “Arcore: un paese”, resa in stralcio nell’ultima di copertina nello scritto del 1993.
Riproponiamo l'opuscolo nella sua veste originale, così come realizzato nel 1993.

IL CAMPANILE E LE CAMPANE DI SANT'EUSTORGIO

LE ORIGINI

Nel libro “Notitiae Sanctorum Mediolani”, una sorta di codice che elenca i Santi, le festività e gli edifici religiosi della Diocesi Ambrosiana, il cui manoscritto originale è conservato presso la Biblioteca Capitolare di Milano,  opera si presume di Goffredo da Bussero, vissuto tra il 1220 ed i 1289, registra per Arcore: “ECCLESSIA S. EUSTORGIO IN LOCO ARCURI” con altari dedicati a S. Maria e a S. lppolito. Non sappiamo se in questa prima chiesa vi fosse o meno un campanile dotato di campane, anche se appare logico supporlo, in effetti I’uso del campanile risale al VII° – VIII° secolo e l’impiego religioso delle campane e ancora precedente (risalirebbe a S. Paolino da Nola, aII’inizio del V secolo e il nome stesso campana deriverebbe dalla regione Campania dove appunto si trova Nola)

Da un designo del curato Tagliasacco la chiesa di Arcore nel 1716

Dozio, nel suo “NOTIZIE DI VIMERCATE”, mette tuttavia in guardia: “…fino al 1556 erano pochissime le chiese che avessero anche un mezzano campanile, con una al più due campane ne grossi villaggi. Le più parte delle chiese aveva una sola campana sopra due pilastri, od alloggiata alla meglio su un fianco della facciata”

LA VECCHIA CHIESA

Da uno schizzo disegnato nel 1716 dal curato Tagliasacco (detentore del record di reggenza della cura dal 1684 al 1731, 47 anni!) rileviamo che la chiesa di S. Eustorgio, edificata nella piazza davanti alla chiesa attuale, aveva il suo campanile, quadrato con tetto a basso spiovente su due Iati; e dallo “Stato reale della parrocchia”, redatto il giorno della morte del curato Tagliasacco nel 1731, apprendiamo che era dotato di tre campane: “…la chiesa parrocchiale è con titolo di S. Eustorgio, fabbricata in sito un poco eminente, ed e di tre navi, diviso da colonnette di marmo con la porta che riguarda I’occidente, a dirimpetto all’altare maggiore oltre il quale vi sono altri tre altari uno della B.V.M. de SS.mo Rosario, e l’altro di S. Antonio da Padova, e l’altro di S. Margherita, a cui e il suo battistero, e IL SUO CAMPANILE CON TRE CAMPANE, e il suo orologio, ed ha la sua sacrestia completamente capace”.

 

Ricostruzione di Tonino Sala: l’edificio della Parrocchiale di Arcore, come poteva apparire ad inizio Settecento

Evidentemente non si trattava dello stesso edificio citato da Goffredo da Bussero, che indicava la presenza di due altari laterali. Dove fosse e quando venne demolita questa prima chiesa e sostituita da quella descritta nello “Stato reale” non si trova in archivio traccia alcuna, anche se appare logico pensarne la collocazione nell’ambito della piazza attuale. Non è da escludere che l’edificio non fosse stato demolito, ma ricomposto ingrandendone la primitiva struttura.

LA NUOVA CHIESA

Nel 1753, il curato Civalli successo a Tagliasacco, vista I‘insufficienza a “contenere il numeroso popolo”, avvia le pratiche per la costruzione di una nuova chiesa che attraverso varie peripezie arrivò alla conclusione attorno al 1800-1805; nel frattempo si erano succeduti il parroco Castelnuovo (1762-1800) e il parroco Vismara (1800-1839).

La chiesa di Arcore a fine Settecento, alle sue spalle il nuovo edificio in edificazione, completato tra il 1800 e il 1805

Il campanile risulta contemporaneo all’abside e fu innalzato fra il 1765 e il 1770. Le campane che vi furono installate erano quelle della vecchia chiesa demolita fra il 1785 e il 1790.

ACQUISTO DEL CONCERTO PER LA NUOVA CHIESA

Nel 1806 il curato Vismara ed i fabbricieri del tempo decisero di rifare il concerto di campane e il 28 maggio stipularono un compromesso con la ditta Bizzozero di Varese:

“…fra li SS.ri Fabbriceri della Chiesa Parrocchiale di Arcore, ed il Sig. Gio. Bizzozero di Varese si conviene quanto segue per la formazione di un concerto di cinque campane in tono Elafà in terza maggiore in perfettissima scala armonica, con voce chiara e ben concertata, da darsi ultimate per la metà di agosto prossimo; e ciò fatto li seguenti patti:

Prima pagina del contratto sottoscritto nel 1806 tra la Fabbriceria e il fonditore di campane Bizzozero

1° che le campane dovranno essere fatte di metallo fino e del più perfetto, da peritarsi da un Professore, e maestro di cappella beneviso ai SS.ri amministrati; e nel caso che da questi venissero giudicate imperfette o per il metallo o per il tono, dovrò il Sig. Bizzozero rifonderle immediatamente senza alcun ritardo o controversia per renderle più perfette: e tutto ciò a spese del rifonditore, senza il minimo compenso, sola che ai SS.ri Amministratori saranno obbligati alla condotta a Varese come per levarle da detto luogo per condurle ad Arcore.

2° dovrà pure il Sig. fonditore ricevere le campane vecchie nel peso attuale da dedursi queste dal peso totale del concerto ultimato per rilevare il metallo nuovo da pagarsi cosicché al fonditore si abbonerà lire tre per ogni rubbo del peso attuale delle vecchie campane per la rifusione, senza deduzione di consumo, ed il rimanente metallo novo che risulterà prededotto il vecchio si pagherà lire quarantasei dico 46 – ogni rubbo compreso la fattura, consumo ed ogni spesa per detto concerto.

3° si obbliga pure il sud. Fonditore a mantenerle due anni a suo rischio e pericolo, cosicché per qualunque rottura, o imperfezione, escluso il solo caso (che Dio non voglia) di rovina del fulmine, si obbliga a rifonderle, e a darle sempre perfette, e sotto condizioni come al patto però senza alcun compenso.

4° il pagamento di esse campanne si farà come segue, cioè lire dieci mille diconsi 10.000 al principio di agosto prossimo ed il rimanente si pagheranno ratealmente dopo la collaudazione in quattro anni, ed in quattro rate eguali senza alcun compenso di interessi.

5° nel prescritto tono d’Elafà s’intende che la campanna maggiore abbia ad essere rubbi centotrentadue circa, e le altre in proporzione.

6° dovrà pure il Sig. fonditore far fare i battenti in ferro per le dette campanne proporzionati, e ben lavorati, pure da peritarsi, e questi a spese e a carico della Chiesa.

Non vi sono altri documenti in archivio che riguardano questo concerto. Che peso avessero le tre vecchie campane date a scomputo del nuovo, quali altri costi vennero sostenuti per il castello, il montaggio, ed altre spese, non è possibile almeno per ora saperlo; conosciamo tuttavia il peso delle cinque campane: kg 3578 (di queste, la maggiore, come da contratto, doveva essere almeno 1080 kg) e il costo stimato sulla base del contratto, fu di £ 17.000, esclusi contrappesi, ruotismi, castello.

Dalle ricerche condotte, la ditta Bizzozzero di Varese, risulta un interlocutore di livello e comprovata qualità professionale, occupando un ruolo primario nella realizzazione di campane. Attivo soprattutto nel Canton Ticino per circa un secolo a contare dalla metà del Settecento.  Il periodo produttivo della fonderia, è segnato da un’aspra concorrenza con i Comerio, altro fonditore varesino, il cui sito produttivo era impiantato a Malnate e la cui attività cessò verso la metà dell’Ottocento.

L’esame della produzione dei Bizzozero non permette un elenco completo dei singoli protagonisti, poiché la maggior parte delle campane è siglata “BIZZOZERI VARESIENSES FECERUNT” dal 1764, o “BIZZOZERO DI VARESE” nell’Ottocento. Conosciamo comunque i nomi di Giovanni (dal 1786), con cui venne stipulato il contratto per le campane di Arcore. Seguirono poi, Innocente (1823) e Felice, quest’ultimo titolare della ditta nella prima metà dell’Ottocento. Di particolare interesse le scritte, che decoravano le loro campane, arricchite da elementi iconografici tali da consentire una precisa attribuzione di paternità alla fonderia stessa. Nella produzione della ditta risulta molto frequente e osservata a partire dal 1764 la formella che illustra due esploratori con il grappolo d’uva, un vero marchio di fabbrica. È certo che i Bizzozero appresero l’arte del fonditore, dai Sottile; rilevandone la fonderia varesina nella prima metà del Settecento. Tale operazione fu probabilmente conclusa appunto da Giovanni Bizzozzero, la cui opera risulta documentata in Canton Ticino a partire dalla metà del Settecento, per trovare continuità fino al primo decennio del secolo successivo

Il marchio di fabbrica dei Bizzozero, su una campana collocata a Inverigo. I due esploratori con il grappolo d’uva, identificarono a partire dal 1764 i lavori dei fonditori di Varese

In seguito si segnalano altri protagonisti della dinastia, Giuseppe Bizzozero, autore del mirabile concerto della Basilica di San Vittore a Varese. Con lui inizia la fortuna della famiglia, che dominerà incontrastata il mercato. La dinastia continuerà con Felice Bizzozero, certamente il più famoso della famiglia, autore di concerti dalla straordinaria precisione tonale. Suoi i concerti di Desio (1843), Saronno (1844), Rovagnate (1846) ed Inverigo (1856)

La fonderia Bizzozero fu rilevata verso la fine dell’ottocento dai Bianchi e rimase attiva fino al 1965.

LA RIPARAZIONE DEL CONCERTO

Tra il 1830 e il 1834 vi sono in archivio numerose note di spese per riparazioni e rifacimenti dei congegni di rotazione e dei contrappesi e nel 1834 il castello fu trovato in così cattive condizioni da dovere essere rifatto.

Nel mese di giugno, appunto del 1834, la Fabbriceria Parrocchiale sottoscrive con Luigi Ottolina di Seregno un dettagliato contratto per ricostruire nella sua completezza il castello destinato a sostenere le campane. Attraverso una decina di punti, viene espletato il contenuto dell’accordo.

L’opera del falegname dovrà rendere un manufatto simile a quello che verrà demolito se non: ” fare qualche altra operazione acciò il novo castello riesca più solido e fermo…”.  L’esecutore dovrà provvedere alla movimentazione delle campane impegnandosi a: “qualunque spesa e rifusione di danni qualora accadesse qualche rovina o rottura di sorta alcuna”. La Fabbriceria vuole assicurarsi che il rifacimento possa essere tale da: “suonare la campana a concerto festeggiante, volgarmente detto a campanna da festa.” I tempi di realizzazione sono debitamente contingentati: “intraprendersi nella prossima futtura settimana del corrente mese di giugno e proseguire con tutti quelli uomini occorribili pel lavoro de legnami, come per tutte le occorrenti fatture, acciò per la metà di agosto prossimo sia il tutto reso a perfezione cosichè nel giorno della festa della B. V. assunta cioè alli 15 di agosto p. f. si abbino a suonare liberamente le cinque campane colla ruota attuali rimesse alle campane stesse per tale giornata solenne”. Le prescrizione continuano con indicazione specifiche degli interventi evidenti e necessari alla campana piccola, così come quelli che potranno rivelarsi sulle altre campane: “Alla campana piccola dovrà cambiare il ceppo di legno noce per essere l’attuale tutto consunto, così pure se tale operazione occorresse a qualche altra campanna si obbliga di fare il cambio delli ceppi…” Ancora a carico del falegname tutte le attrezzature necessarie alle operazioni, tra cui figurano specifici tecnicismi come “Gamiro, (gomena grossa corda lunga cima) li così detti Tagli, Gemini, mazza-pietra, cordaggi ed altre cose moventi per detta opera non che li occorrenti uomini, manuali, il tutto sarà a carico e spesa dello stesso operaio.” Qualche impegno anche per la Fabbriceria: “avrà l’obbligo di somministrare i legnami e ferramenti occorrenti per metterli in opera e a maggiore assicurazione del castello medesimo. Più la fabbricieria somministrerà l’alloggio e gli utensili di cucina per quelle giornate che occorrerà da suoi uomini pel tempo in cui si eseguirà l’operazione.” Quindi la stima della spesa, che come vedremo in seguito si rivelerà di tutt’altra entità.  “Il pagamento di quanto sarà da eseguirsi per l’opera suddetta resta stabilito nella somma di milanesi lire quattrocento cinquanta diconsi 450 di Milanesi da pagarsi come segue cioè lire cento alla metà dell’opera, altre lire cento ad opera ultimata e lire duecento cinquanta diconsi 250 per la metà del mese di novembre di quest’anno”. Il contratto termina con un’ultima clausola di tutela: “Qualora si riconoscesse qualche parte della suddetta opera imperfetta o malamente eseguita l’operaio suddetto si obbliga a stare prontamente a quanto le verrà ordinato dalla fabbricieria senza alcuna eccezione”.

Sottoscrivono l’impegno oltre a Luigi Ottolina, esecutore del rifacimento, per la Fabbriceria: Carlo Franco Decio, Defendente Teruzzi, Cristoforo Moro, a loro si aggiungono due testimoni: Giuseppe Sala e Francesco Verga.

Purtroppo una volta dato il via ai lavori, gli imprevisti sono dietro l’angolo, tanto che la Fabbriceria ed il Parroco Giuseppe Vismara, il giorno 10 luglio si indirizzano con una precisa richiesta agli organi amministrativi locali, la situazione che si è palesata restituisce uno stato del “castello delle campane”, ben più deteriorato di quanto preventivato, tanto che: “si vede che i legnami creduti buoni invece non vi è niente di godibile, e sono del tutto grami ed inservibili, fuorché delle cinque ruote, per cui è indispensabile di fare il castello medesimo tutto nuovo”. Così la spesa che si credeva di poter affrontare con le disponibilità della cassa della Chiesa, ora non è più sostenibile. La perizia dell’Ingegner Comi: “scendente alla somma di £ 1200,59, perciò li sottoscritti parroco e fabbricieri non possono a meno che di rivolgersi all’Amministrativa Deputazione acciò voglia degnarsi prendere in considerazione”. Le buone intenzioni della Parrocchia, che giudicava possibile affrontare la spese con le sue sole forze, accertata l’urgenza dei lavori intrapresi, il cui rinvio avrebbe cagionato senz’altro danni, risultano infine disattese, tanto da indurre al stessa ad ammettere: “per essere la chiesa veramente miserabile come si disse e non essendovi alcuna risorsa favorevole onde far fronte all’impegno s’implora l’esecuzione a carico del comune…. perciò il parroco e fabbricieri sottoscritti confidano per la favorevole adesione sopra tale importante spesa”.

Prontamente la Deputazione Comunale di Arcore fa partecipe della richiesta l’Imperiale Regia Commissione Distrettuale di Vimercate, esponendo nei dettagli quanto illustrato dalla Chiesa e aggiungendo di suo: “La riparazione non si può sospendere perché le campane sono necessarie per ogni rapporto sia morale che civile e li disastri si devono allontanare più che si può. Lo stato della chiesa assai miserabile non si può impugnarlo perché sostenuta colle sole elemosine dei contadini e evidente che colle forze della chiesa non può far fronte …(vedesi la necessità che il comune sostenga la spesa per tale opera, per cui la scrivente deputazione non sa ritrovarsi motivo onde rifiutarsi…), ma fin d’ora acconsente per simile prestazione a carico della cassa comunale.

Prima che l’I.R. Commissione di Vimercate e la Deputazione Provinciale di Milano potessero esprimere un giudizio in merito, una nuova tegola, non solo in senso letterale, si era abbattuta sulla Parrocchia. Sempre il Parroco e la  Fabbriceria scrivono il 17 agosto del 1834 alle autorità comunali informandole di: “…una nuova angustia di spesa in cui trovasi la chiesa per il danno cagionato dal fulmine nella notte del giorno 30 scorso luglio scopiato all’interno della chiesa medesima. Tale scopio (ad ognuno consapevole) portò dei danni non pochi i quali considerati superficialmente sembrano di non grave spesa, ma esaminati intrinsecamente sono bensì danni che meritano attenta riflessione per ripristinarli. All’altare maggiore rovinò la croce posta superiormente, alla cupola del tempio dell’altare stesso, rovinò porzione del cornice del piedistallo della medesima croce, rovinò un capitello di una delle sei colonne del medesimo tempietto indi passò all’organo, e rovinò alcune canne di stagno, sconcertò il sommiere delle canne di piombo spalancò il sommiere delle canne pei contrabassi ed altri guasti per cui presentemente è inservibile. … per rimediare alli suddetti danni porterà nientemeno di £ 300 austriache da sostenersi a carico della chiesa”. Parroco è Fabbricieri hanno inteso attendere quel 17 agosto, sapendo che l’indomani si sarebbe riunito il “convocato generale”, l’odierno consiglio comunale, che avrebbe discusso sul finanziamento per pagare il nuovo castello delle campane, ormai ricostruito. Volontà della Fabbricieria, confermare in tale frangente, l’impegno finanziario della parrocchia per le spese del fulmine e auspicare il concorso del comune per il castello delle campane.

Prima d’inoltrarci nel kafkiano rimpallo tra le diverse autorità, costellato da deduzioni e controdeduzioni, su chi, come e quando si sarebbero pagate le spese per il rifacimento del castello delle campane della parrocchiale di Arcore, proponiamo, visto che anche di pane si deve vivere, come pragmaticamente sottolinea la Fabbriceria: “per non defraudare la mercede agli operai che fecero le loro istanze”, un compendio abbastanza dettagliato delle spese sostenute.

Per le opere necessarie pel rifacimento del castello delle campane veramente consunto minacciante ruina come dalla qui unita perizia 31 luglio 1834 del sig ing Comi, le quali come dalla minuta di stima unita a detta perizia importano 

£ 1148,59

Per il ricavo del legname vecchio inservibile stato stimato £ 48 nella vendita del quale alla pubblica asta sulla piazza se ne ricavano sole

£ 31,11

Rimane la spesa a

£ 1117,48

Per l’esecuzione della detta opera

Al falegname Luigi Ottolina per contratto di cottimo per tutte le fatture descritte in detta perizia come da scrittura, milanesi

£ 450

al suddetto per legno somministrato £ 19,10 totale

£ 414,45

al sig Corno d’Ornago per Bza(braccia) terzere roveri

£ 160

pagato per la condotta de suddetti

£ 6,95

Pagato al sig Francesco Cantù di Canonica per due sommieri Bza 20

£ 105,9

Pagato per condotta e ricerca

£ 8,38

da resegotto a segare le suddette

£ 6,17

Pagate al fabbro ferraio Carlo Meani per fatture per commessa e ferro da lista

£ 114,65

Pagate a Domenico Bonfanti per ceppo di noce comprato per la seconda campana

£ 24,27

Pagate e Gio Maria Premoli per due corde fine … per campane

£ 56,05

Varie spese piccole per detta operazione da lista

£ 31,16

Pagate

£ 927,98

Pagate le suddette £ 927,98 e per non defraudare la mercede agli operai che fecero le loro istanze, si sono esaurite le rimanenze attive del 1834, cioè l’importo delli moggi 12 melgone al £ 12,80 e le £ 308,96 debito delli fratelli Mapelli, più con £ 459 anticipate dal tesoriere Cristoforo Moro , con promessa di rendere ogni cosa coi denari approvati dalli SS estimati nel convocato generale. Come si vede nel dare corso ai pagamenti, le casse della chiesa sono state prosciugate oltre misura, visto che nel conteggio risultano inclusi i proventi del debito dei fratelli Mapelli, e il ricorso alle sostanze private di uno dei fabbricieri Cristoforo Moro per 459 lire, sospesi che si spera di pagare una volta avuta la sovvenzione comunale.

Per la suddetta opera rimangono le seguenti operazioni e spese

provvista di altre tre corde per le campane suddette

£ 80

la vernice a verde di marsiglia al legname del castello medesimo al quale presentemente sono chiusa soltanto le screpolature con stucco a olio, ed una leggera mano di biacca

£ 48

l’onorario da pagarsi al perito sig. Comi come da sua specifica

£ 48

Spesa totale

£ 1085.98

Nel mese di novembre del 1834 inizia la “querelle” che vede coinvolti i vari istituti amministrativi a cui doveva fare riferimento la Fabbriceria per fare fronte alle spese sostenute. Assistiamo ad uno scambio di missive, con invii e ritorni di documenti che attestano i bilanci preventivi e consuntivi e che certificano la situazione finanziaria della Parrocchia di Arcore, protrarsi sino al 1838 per concludersi, sembrerebbe, con un nulla di fatto. In data 14 novembre del 1834 la Fabbriceria, in risposta ad una specifica richiesta, fa pervenire al Sub-economo distrettuale, parroco di Carugate Francesco Bertarini, autorità preposta al controllo della gestione economica dei beni ecclesiali, il bilancio consuntivo del 1833 e quello parziale dell’anno in corso. Nel sottolineare e ribadire la disponibilità accordata dal comune di Arcore per sostenere la spesa del castello delle campane, ancora confermato nel “convocato generale” del 17 ottobre, si evidenziano le passività acquisite per l’anno in corso, che non potranno che lievitare in conseguenza di altre spese, non deferibili, per importanti lavori, che di seguito descriviamo: “Primieramente occorre che il pavimento della chiesa depresso, e consunto sia rifatto, …per cui si sono diggià provvisti li pianelloni e la cui spesa non sarà meno di £ 400. 2o Occorre di alzare li muri maestri alla sommità vicino al tetto per tutta la circonferenza della chiesa in tutto braccia 110 …e con ciò chiudere il vuoto, ossia distacco dalla sommità del muro alla radice del tetto in gronda: vuoto assai nocivo pel tetto medesimo che attualmente esiste, per le triste conseguenze occorse altre volte con danni notabili causati dalli impetuosi venti, e turbini, quali trovando la detta apertura ossia il vuoto, smantellano con facilità li coppi delle gronde della chiesa e vengono rovinati con la caduta dei coppi stessi li tetti delle sottoposte cappelle, con notabili guasti. La fabbricieria ha dovuto determinarsi a fare tale riparazione, ed a tale oggetto ha diggià fatto eseguire la condotta di porzioni dei occorrenti materiali per effettuarla toste che la chiesa avrà li mezzi: spesa che ascenderà a £ 250. 3o Per la conservazione del legname ora in opera pel castello delle campane ha divisato la fabbricieria di diminuire una porzione dell’altezza della luce dei quattro finestroni del campanile con lamere di ferro, ponendola in modo che impedisca alle piogge di nuocere il detto legname. Tale riparazione è già intrappresa ed è ultimato un finestrone. Ora conviene ultimare anche gli altri tre e così difendere il castello e le ruote delle campanne dalle intemperie e dall’umido di molto danno ai legnami di detto edificio. Operazione anch’essa urgente che si farà al più presto possibile. La spesa ammonterà a £ 240 non meno. 4o L’organo guastato dal fulmine scopiato nell’interno della chiesa nel giorno 13 scorso agosto occorre di ristaurarlo avendo già stabilito col professore Sig. Livio Tornaghi di Monza di eseguire l’operazione nella prossima primavera poiché anche questa è necessaria. Ma si vede che la forza della chiesa non può attualmente sostenere la spesa per cui converrà dilazionarla in qualche anno quantunque siano molti anni a cui necessitano operazioni, politure, accomodature, spesa che non sarà meno di £ 500. Il dettagliato elenco è prodotto a sostegno e conferma della rinnovata richiesta per avvallare “il concorso della cassa comunale almeno per la spesa del castello delle campanne”. All’inizio del 1835, il 10 gennaio, la Deputazione Provinciale, non ratifica quanto deliberato dalla Deputazione Comunale, nell’agosto dell’anno precedente, sollevando altresì dubbi sulle competenze contabili evidenziate nella redazione del bilancio economico della chiesa di Arcore: “Sul proposito poi dei consuntivo della ripetuta chiesa, la delegazione ha veduto esservi espressa l’indicazione di un’annua rendita in livelli di £ 538,57 aggravata da legati e assegni perpetui per £ 720,96 ciò deve ascriversi ad un erronea indicazione di cifre nell’attività o nella passività non potendosi così di … supporre, che a carico delle attività siano stati imposti delle passività maggiori”. Nel marzo del 1835, parroco e fabbriceria ritornano a rivolgersi alla Deputazione Comunale, nello scritto si illustra la decisione sfavorevole espressa della Deputazione Provinciale nel gennaio appena trascorso, in cui si negava il contributo comunale. La decisione avversa risultava motivata dalla presunta disponibilità della cassa parrocchiale, in quell’inizio d’anno, osservando che il comune si sarebbe attivato solo quando la parrocchia avesse esaurito il suo budget annuale. La Fabbricieria prosegue confermando la precaria situazione economica parrocchiale, per l’anno in corso, ipotizzando l’esito avverso, espresso dalla Deputazione Provinciale, per causa dell’errata compilazione del bilancio parziale dell’anno precedente, in cui non si erano contabilizzate tutte le uscite. Nel tentativo di recuperare la situazione, corre ai ripari articolando: “Per emendare alle suddette mancanze la fabbricieria crede opportuno di rassegnare il qui unito conto preventivo 1835 sopra del quale il parroco e fabbricieri fanno vedere candidamente lo stato meschino della medesima, fanno vedere gli introiti, e le spese tutte indispensabili di detto anno e queste ritenute ed esposte in piccole e ristrette somme per far conoscere alla superiorità che la fabbricieria usa tutta la economia per non aggravare troppo la cassa comunale, per cui si spera che codesta rispettabile deputazione all’amministrazione comunale assicurerà l’Imp. Reg. Delegazione Prov.le essere ogni spesa esposta in detto conto senza la minima esagerazione, ed essere altresì veramente il caso contemplato, ed urgente per cui la chiesa merita di essere sussidiata colla cassa comunale siccome esauriti i mezzi necessari per le opere indispensabili del 1835… Il parroco e i fabbricieri confidano che la lodata I. R. Delegazione provinciale veduto ed esaminato il conto preventivo che si rassegna concederà l’implorato soccorso…” 
Finalmente, il 3 febbraio del 1836, la Fabbriceria inoltra le sue considerazioni alla Imperiale Reg. Delegaz.e Provinciale, confutando le decisioni della stessa, che risalivano al gennaio dell’anno prima. Abbiamo a questo punto l’indicazione della cifra consuntiva delle spese affrontate per il rifacimento del castello delle campane: “…nella somma in tutto di aus. £ 897,11 come dalla specifica documentata unita al consuntivo 1835 si rassegna”. La fabbriceria puntuale motiva la decisione di avere anticipato la cifra, non certo per le presunte disponibilità finanziarie che non ha, ma: “Ad un tale pagamento si è sottoposta la fabbriceria non perché il patrimonio della chiesa lo permettesse ma per tacitare gli operai che non potevano per la loro posizione economica soffrire ulteriore ritardo al percepimento delle loro mercedi. In tanto la fabbriceria della chiesa dovette per un tale pagamento differire altri dipendenti da cause legitime; ed in fatti i legati, le sacre funzioni, dovuti al S. Parroco, la rimanenza per cera, ed olio…la conseguenza alla vista di tutti risulta:  “…l’attuale passività della chiesa fino dal 1835 è di £ 1588,75 …”. La missiva si conclude chiedendo che la delegazione provinciale possa finalmente approvare l’elargizione della cifra, concessa dall’amministrazione comunale di Arcore nell’agosto del 1834. Il delegato provinciale Torriani nel novembre dello stesso 1836 sembra dare ragione alla fabbriceria, forte di una seconda favorevole delibera comunale, ma..: “Siccome però in quest’anno si verificherà una possibile deficienza nell’amministrazione comunale in causa delle … piaga del cholera e che anche nel venturo 1837 la sovraimposta risulterà piuttosto gravosa… determina che la somma preannunciata debba portarsi nel preventivo 1838…”. Nel dicembre del 1837 puntuale la deputazione distrettuale di Vimercate, richiede nuovamente la documentazione per mettere a bilancio l’anno successivo la spesa del famoso castello delle campane, spesa che in ogni caso dovrà essere erogata dal comune di Arcore, ma che necessita delle opportune autorizzazioni superiori. I bilanci richiesti comprendono il periodo che va dal 1829 fino al 1835. Probabilmente qualcosa nelle comunicazioni, tra un ente e l’altro, non aveva funzionato se il 6 maggio del 1838 ancora il delegato provinciale Torriani sentenzia, che i conti in suo possesso, anni 1834 e 1835, non sono sufficienti, a certificare lo stato d’indigenza della Chiesa. Aggiunge poi che l’intervento del comune, sarebbe giustificato, solo qualora si potesse dimostrare, visto come la chiesa ha già saldato di suo il debito, che tale esborso fosse stato poi d’impedimento per il pagamento di altre spese, che a loro volta sarebbero state giustificate solo se il loro carattere d’urgenza e inderogabilità, fosse documentato. Come si può vedere una sentenza degna del miglior “azzeccagarbugli” possibile. La fabbriceria, non si scoraggia e il 16 maggio invia una dettagliata relazione alla Deputazione Provinciale, in cui si fa: “la trasmissione, cioè li consuntivi 1836 e 1837 trasmissione che la fabbriceria non ne sapeva l’obbligo massime che il consuntivo 1836 riferibile al compito quinquennio era diggià approvata come da lettera del sub economo distrettuale e come da ordinanza delegatizia del giorno 14 agosto 1837 N° 18813/1430, supponendo che tali …. bastasse per conoscere l’indigenza della chiesa, e la necessità di conseguire l’implorato rimborso delle £ 897,11 pagate per rifacimento del castello delle campane.” A questo punto oltre, alle ormai poco meno di 900 lire austriache, implorate per le spese delle campane, si coglie l’occasione per elencare le altre pendenze che la Deputazione Provinciale deve alla Parrocchia di Arcore: “più vi è unito una nuova istanza del nostro Sig. parroco che domanda il pagamento del suo credito di aust. £ 947,15 quali sono cioè rispetto a £ 720,96 per importo di legati e funzioni di chiesa dal medesimo celebrate nel 1835… e rapporto ad altre £ 229,19 sono per importo di messe 205… dal sullod. celebrate per legati di chiesa del 1837, …vi è pure unita altra domanda del sig Luigi Cernuschi per aust £ 373,53 in saldo del suo credito del 21 Xbre 1837 retro per sue somministrazioni di cera olio .. per chiesa”. La fabbriceria non manca di rinfrescare la memoria del Torriani, ricordando l’iter che dall’inizio di luglio del 1934, si stava ancora trascinando, ricordando che la chiesa avesse liquidato nel gennaio del 1935 le 879,11 lire austriache per “tacitare i riclami degli operai”, nonostante in quello stesso 1835 fosse: “aggravata di altra urgenza e particolarmente pel scopiato fulmine nell’interno della chiesa, rottura dell’organo, riparazione al tetto della chiesa ed altre necessità.” Sottolinea poi: “Successivamente per ord. della lod. I R D Prov. fu sentito di nuovo il convocato generale de SS estimati (il consiglio comunale di Arcore) e nel giorno 10 febbraio 1836 in votazione segreta venne nuovamente approvato che la ripetuta spese ritenuta a carico fosse della cassa comunale stante l’indigenza della chiesa, sostenuta soltanto colle volontarie elemosine di contadini.” Ricorda poi che il 30 novembre del 1836 la delibera della Deputazione Provinciale “approvò la pronunciata deliberazione pel rimborso alla fabbriceria delle £ 897,11 “, tuttavia la stessa fabbricieria, accettò la decisione di posticipare il pagamento a causa della contingenza provocata dal Cholera nel 1836, così come l’ulteriore rinvio per le difficoltà comunale del 1837, attendendo che il debito fosse infine saldato nel corrente 1838. “Ora la fabbriceria rispettosamente di nuovo prega supplica ed implora da cod. I R Magistratura la grazia della conferma di quanto vi è diggià … approvato cioè il rimborso delle £ 897,11 veramente di urgenza per la povera chiesa”. Il 26 maggio si conferma l’inoltro alla deputazione comunale dei bilanci degli anni 1837 e 1838, tre giorni dopo la documentazione passa alla Commissione Distrettuale di Vimercate. E’ questo l’ultimo documento che si conserva nell’Archivio Parrocchiale che conclude la “querelle”, se la cifra fosse mai stata pagata poi alla Fabbriceria, rimane un mistero. Non abbiamo scandagliato altre fonti e dunque possiamo concludere che il parroco di Arcore, Vismara, passò a miglior vita l’anno successivo 1839, senza veder soddisfatta la spesa che aveva sostenuto.

L’ACQUISTO DEL CONCERTO ATTUALE

Al parroco Vismara, subentro don Giuseppe Antonio Brambilla. Nel 1856 registriamo la documentazione relativa ad alcune spese sostenute per la manutenzione delle campane, sono due note una di Pietro Sala falegname che riscuote per differenti lavori, intercorsi nell’arco dell’anno, la cifra di £ 362, una seconda nota a firma, per saldo dei crediti che ha riscosso, del fabbro Giuseppe Mauri.

Tali guasti, che denunciavano lo stato di deterioramento a cui andava incontro il concerto di campane, forse spinsero, nel 1858, il Parroco, in accordo con i fabbricieri, ad ordinare alla ditta Barigozzi di Milano un nuovo concerto di sei campane sullo stesso tono del precedente. Evidentemente la fama, che proprio in quegli anni andavano acquisendo i Bizzozero, autori del precedente concerto, non bastò per convincere gli arcoresi nel confermare il vecchio fornitore. I motivi che produssero tale scelta, come abbiamo detto, sono solo ipotizzabili, forse la qualità non appagante del concerto oppure un deperimento inaspettato delle campane, come qualche altro danno causato da quel fulmine, che aveva interessato in modo pesante l’edificio religioso nell’agosto del 1834. Manca tuttavia nell’Archivio Parrocchiale, traccia del contratto per l’acquisto del nuovo concerto, quindi non conosciamo nei dettagli i termini della fornitura, termini che possiamo parzialmente dedurre dai numerosi stralci di conto fatti dal curato Brambilla e dai Barigozzi.

Documento pubblicitario del’attività della fonderia Barigozzi, con un commento esplicativo sulle caratteristiche della campane da loro prodotti, con un peso contenuto rispetto alle tradizionali

La scelta s’indirizzò verso un sicuro protagonista del settore, certamente non inferiore ai Bizzozero. La fonderia, nel momento in cui arrivò a fornire la Parrocchia di Arcore, aveva alle spalle un cammino professionale che vale la pena di essere narrato. Dobbiamo partire dal 1806, quando a seguito dell’arrivo di Napoleone in Italia, Eugenio di Beauharnais, viceré del Regno d’Italia,  dispose per decreto il trasferimento della fonderia dei fratelli Manfredini da Parigi, agli ambienti conventuali di S. Maria alla Fontana a Milano. Dai primi anni del XIX secolo i fratelli Manfredini, di origine bolognese, gestivano nella capitale francese un laboratorio di bigiotteria, doratura dei metalli e produzione di orologi. Con il decreto di Eugenio di Beauharnais i Manfredini stabilirono la nuova fonderia nei locali dell’ex convento in prossimità della Chiesa di  “Santa Maria della Fontana”, attribuendole il nome di “Eugenia” in onore del viceré. All’interno della nuova fonderia i Manfredini, grazie al lavoro dei martinitt, (gli orfani milanesi) producessero inizialmente piccoli oggetti in bronzo, pendole, calamai e altre fusioni per l’arredo, in seguito opere di maggiori dimensioni. Nel 1835 la Fonderia Napoleonica Eugenia fuse infatti la sestiga collocata al di sopra dell’Arco della Pace, opera dallo scultore Abbondio Sangiorgio. Nel 1823 Antonio Manfredini lasciò lo stabilimento, sostituito da Giovan Battista Viscardi, genero di Luigi Manfredini; morto quest’ultimo, nel 1840 Giovanni Battista rilevò la fonderia, continuando a produrre oggetti in bronzo, ferro e ghisa. Nel 1852 i fratelli Ermanno (1805-1882) e Prospero (1807-1866) Barigozzi acquistarono la fonderia insieme ad alcuni terreni circostanti adiacenti agli spazi industriali. Altre fonti indicano l’anno di acquisizione della fonderia “della Fontana” nell’anno 1868, informando che i Barigozzi si fossero serviti della nominata fonderia, anche prima di entrarne in possesso. Abbiamo dunque riscontro che le campane arcoresi siano state prodotte nella fonderia, collocata nel quartiere Isola di Milano. La famiglia Barigozzi aveva alla spalle una secolare tradizione nell’arte fusoria: Domenico Barigozzi, capostipite della famiglia, alla fine del Settecento lavorava alla fonderia dell’Arsenale di Venezia fino a quando, all’arrivò di Napoleone, si trasferì a Bologna, operando per la manutenzione e riparazione delle campane del luogo. Grazie all’invenzione di una tecnica innovativa per riparare le campane e per ripristinarne la sonorità, Domenico ricevette nel 1822 la medaglia dell’Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti di Milano. Ermanno e Prospero Barigozzi proseguirono l’attività del padre dedicandosi alla produzione di campane, ricevendo importanti riconoscimenti quali la medaglia d’argento nel 1834 da parte dello stesso Istituto Lombardo, che aveva in precedenza premiato il padre, per la realizzazione di campane più leggere, ma dai medesimi requisiti di durata e di suono. In effetti fu proprio con i due fratelli, che s’intrattennero i rapporti per realizzare il nuovo concerto di campane di Sant’Eustorgio.

Il concerto di campane ripreso durante il restauro degli anni ’90

La scelta degli arcoresi dell’epoca fu infatti quella di dotarsi di campane, cosiddette “leggere”, che comunque avrebbero garantito una resa pari ai concerti di campane di peso e dimensione più importanti. La Fonderia Fratelli Barigozzi gestiva l’intero ciclo produttivo delle campane, dal progetto, al disegno, alla fusione, fino all’installazione sul campanile. Le campane prodotte erano destinate per la gran parte a località lombarde e piemontesi, tuttavia non mancavano commissioni per il Canton Ticino e per città e paesi di altre regioni italiane, tra le quali si ricorda nel 1909 la prestigiosa fusione delle campane per il campanile di San Marco a Venezia, ricostruito in seguito al crollo avvenuto nel 1902. L’attività della fonderia, attraversando le vicissitudini del Paese, percorso anche dalle due guerre mondiali, che ne condizionarono la continuità produttiva, proseguì fino al 1975, anno di chiusura dello stabilimento a causa della sempre minore richiesta di campane e della difficoltà di svolgere attività produttive nel centro della città di Milano per ovvi motivi igienici e ambientali. Nel 2007 nasce il Museo Ditta Fratelli Barigozzi con la funzione di promuovere la conoscenza delle attività della fonderia, specializzata nella produzione di campane. Il complesso museale, si trova in via Thaon di Revel al numero 21 e risulta visitabile previo appuntamento. A certificare la professionalità del fonditore, proponiamo questo stampato, che avvalora le qualità della ditta Barigozzi, rinvenuto nell’Archivio Parrocchiale di Arcore e prodotto dai fratelli, in occasione del lavoro svolto

Nello stampato le credenziali che i Barigozzi produssero verso i committenti della Parrocchia di Arcore

Ritornando alla vicenda arcorese, per fare fronte alle spese sostenute, la fabbriceria chiese un contributo al Comune, che stanziò £. 4.500. Nel concedere il contributo, l’istituzione arcorese, richiese tuttavia al parroco ed ai fabbricieri il programma finanziario e soprattutto quali garanzie reali intendevano dare sul debito che si apprestavano a contrarre.

“…Alla lodevole Deputazione Comunale di Arcore. Gli infrascritti Parroco e Fabbriceri della Chiesa parrocchiale, ad evasione della rispettata ordinanza Delegatoria 29 Agosto pp n° 2431-2807 la quale ingiungeva loro di far conoscere dettagliatamente e con evidenza i mezzi con i quali far fronte, calcolando le £. 4.500 che darebbe il Comune, alla totale spesa occorrente per la fusione delle campane e per la costruzione del castello delle medesime sulla torre annessa al tempio: Rispondono che tali mezzi consistono in volontarie oblazioni dei parrocchiani i quali spontaneamente si sono obbligati a pagare per l’oggetto di che trattasi aust. £. 1 annualmente per ciascuno degli individui che oltrepassano l’età di quattordici anni, per un triennio, epoca determinata al totale pagamento diviso in quattro rate eguali: e che per la prima rata da pagarsi immediatamente all’atto della consegna delle campane, trovansi in pronto £. 3.000. Lo scrivente Parroco poi si obbliga in solido e garantisce coll’asse suo proprio qualora vi fosse qualche deficienza già nella spontanea e straordinaria oblazione che sarebbe di £. 1.500 annua circa sia nelle ordinarie offerte che ammontano pure a £. 1.500 approssimativamente. Ciò serva a dimostrare ad evidenza quanto giustamente richiedesi dalla Superiorità, bene persuasi i fatti che essa vorrà sollecitamente approvare ciò che venne concordemente e a pieni voti approvato dagli Estimati di questa Comune nel Convocato Ge­nerale del pp Marzo.
Arcore lì 22 7ebre 1858
P. Gius. Ant.o Brambilla Parroco
Decio Carlo Frane.o – Meroni Arnaldo: “Fabbriceri”

LE GARANZIE DEL CURATO BRAMBILLA

“Alla I.R. Delegazione Prov.le di Milano Il sottoscritto Parroco che con la sua dichiarazione 22 pp settembre si è assunto l’obbligo di supplire col proprio asse paterno ad ogni evenienza per la totale spesa occorribile pel nuovo concerto delle campane e per la costruzione del castello delle medesime sulla torre annessa al tempio senza ricorrere di nuovo al Comune il quale ha già offerto £. 4.500; a garanzia di un tal onere assuntosi offre un pezzo di terra di sua ragione di pertiche 63 censito… 67,6 posto nel territorio del Comune di Mezzago, Distretto V di Vimercate provincia di Milano, in quella mappa di censo distinta detta parte dal n° 8, una volta a brughiera boscata, ora resa coltivo e piantumato, del valore di acquisto di £. 6.712,50 ora di un 3° di più per il dissodamento praticatosi, e per la piantagione. Tanto ad evasione della rispettata Ordinanza Delegatoria 20 pp Ottobre N°… comunicatagli dal Commissario Distrettuale di Vimercate con nota il 29 pp 8bre.
Arcore li 29bre 1858
P. Gius. Ant. Brambilla Parroco”

Non si può proprio dire che Brambilla non volesse il nuovo concerto. Il mandato di pagamento venne riscosso il 6 gennaio 1860

COSTI E MISURE
1a Campana KG 2228,50
2a CampanaKG 1480
3za Campana  KG 1130
4ta CampanaKG 905
5ta Campana  KG 665
6a Campana KG 494
TotaleKG 6902,5
La chiesa di Arcore ad inizio Novecento. Il concerto di campane risale al 1858

L’operazione costò centesimi 89 per pesata con un totale di £. 5,34. La dichiarazione venne firmata dal funzionario Rossi. Nella nota di consegna del 27 settembre 1858 si parla di un concerto nuovo di campane in La bemolle maggiore del peso complessivo di 6092 kg. Il costo del nuovo concerto, dedotto il valore del metallo delle 5 campane vecchie rese al fonditore, che pesavano circa 3570 fu di £. 17.000. Alla consegna delle campane furono sborsate 4250 lire, era il 30 settembre 1858. Quindi dedotte le 17000 lire austriache, valore del bronzo ritirato dai Barigozzi, restavano da pagare 12750 lire. Una nuova rata di 2000 lire fu versata il 16 dicembre, il pagamento risulta registrato con un versamento di 680 nuovi fiorini. In occasione di questo esborso, una curiosa nota accompagna la ricevuta che Prospero Barigozzi redige e firma al momento del pagamento, questo il contenuto:

M. R. Sig. Curato Brambilla
Arcore 16 Xbre 1858
Quest’oggi furono pagate al sottoscritto in isconto

del suo avere per il nuovo concerto di campane
fuso per la sua Parrocchia £ 2000 duemille sulle quali
fu divisa la perdita per metta che il governo
ha inflitte ingiustamente ai suoi sudditi, la quale
sulle valute importò £ 60,87 sulla quale £ 30,43
abbiamo perduto cadauno. in fede

Prospero Barigozzi
per i F.lli Barigozzi

La ricevuta autografa di Prospero Barigozzi

Non sappiamo se la tassazione, citata dal Barigozzi, fosse una particolare imposta del governo Lombardo-Veneto, che di li a pochi mesi avrebbe lasciato la Lombardia, annessa nel luglio del 1859 al Regno di Sardegna. Ritornando al debito della parrocchia verso i fratelli Barigozzi, il 2 maggio dell’anno successivo,  furono pagate, sempre in fiorini (525,36), altre 1500 lire. A quel punto, aumentate dagli interessi che erano maturati, bisognava ancora saldare un debito di 9657 lire. Il 3 ottobre dello stesso 1859 un versamento di £ 600, questa volta con valuta di 25 marenghi, altro versamento per la stessa cifra e valuta il 12 dicembre. Il 16 gennaio del 1860 si registra la disponibilità del mandato per le £ 4500 elargite dal comune di Arcore, che sarebbero state pagabili dal 20 aprile successivo. Spulciando la ricevuta di tale pagamento, registriamo l’introduzione di una nuova valutata, la cifra viene equiparata al valore  di 3888,36 franchi, che certificava l’entrata in scena del nuovo regime quello del Regno di Sardegna. Nel riepilogativo dei versamenti, registriamo ancora, con data 24 aprile, un pagamento ai fonditori, rappresentati dal sig. Falciola, di £ 3206,40. Terminiamo il primo ottobre del 1860, con il saldo delle rimanenti 1263,80 lire. Le campane erano finalmente pagate, per un spesa totale di 19040 lire comprese 2040 lire d’interessi. Prima di giungere al momento del saldo, ottobre 1860, nel mese prima d’agosto, era emerso un errato conteggio sugli interessi calcolati dai Barigozzi. Il Parroco accortosi dell’errore, aveva informato i fornitori che in data 11 agosto, rispondono ammettendo lo sbaglio, il nuovo conteggio alleviava la spesa totale di 141,66 lire.

Le altre spese sostenute per completare castello, meccanismo, installazione, ecc., furono:

  • £ 812 Bergomi-Ferrarezza in Monza
  • £ 1.300 Corti-Falegname di Nova
  • £ 140 Redaelli-Sostraio di Gemo
  • £ 152 Redaelli-Capomastro di Arcore
  • £ 626 F.lli Meani di Arcore-Fabbri, che nella nota spesa riportano:“Lavoro della campana de festa con preso tutti i giochi et i saltarelli e rampini e lincadenadura di tutte le campane”, poi ancora “Fatto N° 6 ogiolli per fermar le campane quano si suona le campane di festa”
  • £ 550 Mavero-Fabbroferajo di Arcore
  • £ 88 Bianchi- Cordaio di Milano, l’unico che certifica la consegna dei materiali e il contestuale importo pagato, su carta intestata della sua attività, documento che proponiamo di seguito
Il documento che attesta l’acquisto della corda per le campane

Le spese si completano con:

  • £ 600 Caveggi-Battenti
  • £ 248 Bosisio-Sostraio-Agrate
  • £ 140 Baragetti-lnverniciatore di Arcore
CONTRIBUTO DEI PARROCCHIANI

Abbiamo visto che la Chiesa poteva contare sull’impegno dei suoi parrocchiani, con un versamento di un testatico di £ 1 per tre anni di seguito, da parte di chi avesse più di 14 anni. Dall’archivio rileviamo il lungo elenco degli arcoresi che versarono l’obolo per la loro famiglia; dal valore del versamento è possibile dedurne la composizione numerica, naturalmente per i maggiori di 14 anni. Dall’elenco si ricavano 93 cognomi che componevano la popolazione arcorese per un totale di 263 famiglie. Il primo anno si raccolsero £ 954,30, il secondo anno £ 1.153,75, ed il terzo anno £ 1.026,40

DAL 1929 AL 1943

Non vi sono altre carte in archivio che riguardano campane e campanile fino al 1929; è poco probabile che non vi siano stati interventi per un lasso di tempo di 77 anni. Le carte potrebbero essere state distrutte dopo il riporto in contabilità. Nel 1929 e nel 1930, in due tempi successivi, il fabbro Santambrogio Carlo da Calò mise mano ai lavori e: “Riparato n° 6 campane, levate dal posto e abbassate sul piano del campanile. Smontati i ceppi, cambiati isolatori di legno e rimesse in opera.Centrato ruote e francate, riparate e fatte molle. Messo bulloni e ranelle nuove n°26, lameroni per rinforzo sotto gli asoni delle campane, fatto n°16 asoni filettati con dadi, messo lame d’acciaio per molle…”. Il tutto per un importo di 2.876,60 lire.

Nel 1938 la ditta Villa Ambrogio di Casatenovo interveniva per riparare il parafulmine del campanile sostituendo il vecchio con: “punta campanile nuova a 5 punte Adorata a fuoco con mercurio e cuspidi platino…”

Nota delle spese sostenute negli anni 1929-30 per la manutenzione delle campane
SEQUESTRO PER IMPIEGO BELLICO

Nel 1943, quando il parroco è don Monti, succeduto a Magistrelli, morto nel febbraio ’42, arriva dalle autorità una ordinanza requisitoria per 40 q.li di bronzo da consegnare subito. Il Bollettino Parrocchiale di allora così descrive il fatto: “Il giorno 4 giugno le abbiamo viste scendere dal nostro campanile. Fra i vari sacrifici che la Patria ci ha imposto in questi anni, il privarci delle campane fu senza dubbio il più sentito dal popolo. Ma quando la Patria vuole si è pronti a tutto. Per raggiungere la percentuale del peso si dovette levare le due campane più grosse e così ne abbiamo avanzate quattro. Se non sentiremo più squillare festosamente il nostro bel concerto, ma la buona volontà supplisca e le rimaste continuino a chiamare, con la loro debole ma sempre potente voce alla Casa di Dio per l’adempimento dei nostri doveri religiosi. Rimuovendo le campane si constatò il grave disordine che regnava sul campanile. Si dovette subito attendere alla sistemazione. Con una spesa abbastanza ingente si è momentaneamente assicurato l’uso delle rimaste. Speriamo che presto anche l’orologio del campanile incominci a segnale le ore che passano e che non ritornano più.” A questo si aggiunge un po’ di cronaca in qualità di testimone presente: mezza Arcore quel mattino era presente a veder calare le campane, nessuno di noi aveva mai visto un fatto simile. Tra gli anziani che assistevano alla operazione un po’ immalinconiti mentre masticavano la “cicca” scuotendo la testa girava una battuta sconsolante: “campan a tera perdù la guera”. Al suolo, sul lato della statale, era stato ancorato un verricello ed era stata tesa una grossa fune tra questo e una carrucola posta sul campanile.



A proposito di quel “campan a tera perdù la guera”, una arcorese doc, Giovanna Cereda, che ringraziamo per averci messo a disposizione questo contenuto, evocava anni fa, ricordi legati alle campane di Arcore, tramandati da suo padre e altri arcoresi dell’epoca. A seguire il testo e il disegno di Giovanna Cereda, dopo il disegno la traduzione, al testo, fatta da Tonino Sala

Le campane del campanile – Piccoli ricordi incancellabili nella mente di mio padre e di altri.

È la guerra del ’40, il governo ordina di sequestrare tutto il materiale di metallo per fonderlo e usarlo per costruire armi per la guerra. Anche le nostre campane vengono levate dal campanile e mandate a Seregno (?), lì c’era una fonderia.
Finita la guerra hanno mandato a dire di ritirarle perché le campane, per fortuna erano ancora là, mal ridotte, ma c’erano.

Un ragazzo (di un po’ di anni fa) si ricorda che suo padre, contadino, era orgoglioso perché  era andato a Desio (?) a prendere le campane da rimettere sul campanile e insieme con altri contadini aveva avuto l’onore di riempire le campane di grano.

Quando c’erano i temporali che (i cui tuoni) rompevano i sassi, Busen (Ambrogio- Ambrusen – Busen), correva in Chiesa a suonare il Campanone per non far rovinare il Granoturco. Dicevano: “le campane suonano a Roeum (a fulgura et tempestate libera nos domine)”.

Quando le campane vengono a terra, abbiamo perso la guerra.

Don Monti benedice la campana rimossa per la “Patria”

Quando gli operai, che avevano già tolto alle campane tutte le sovrastrutture, imbragarono la quinta e la sollevarono, non si sentì più volare una mosca, solo la voce del tecnico che dirigeva l’operazione rompeva il silenzio; poi il ticchettio del salterello del verricello accompagnò la campana nel suo volo. Si era senza parole e non ci si spiegava come due operai agendo manualmente sulle manovelle del verricello riuscissero a contrastare la forza di gravità della campana. Poi fu la volta della sesta e quando toccò terra il brusio della folla riprese, ma il curato Monti inginocchiatosi, chiamò la folla alla preghiera. Le campane furono poi caricate su un camion per la loro destinazione.

IL RECUPERO

Tutto questo bronzo raccolto nei vari paesi era stato concentrato a Seregno in una specie di “cimitero delle campane”, ma altri avvenimenti incombevano. Venne settembre e venne l’armistizio, e persone amiche, che non avevano mai perso di vista il nostro patrimonio sonoro, informarono che era il momento per operare un “blitz” di recupero. Si trovò un camion, si stilò un documento di “Presa in custodia” e le campane, con prudente discrezione, vennero riportate ad Arcore e riposte nel giardino del curato mascherate da una catasta di sassi. Nessuno ufficialmente sapeva, ma ognuno di noi, avvicinando l’occhio allo spiraglio tra il pilastro e il portone del giardino, poteva “sbignare” la pila e sentirsi orgogliosamente complice.

Immagine dell’epoca che ritrae le campane ammassate nel deposito di Seregno (dall’informatore parrocchiale di quegli anni)
IL CONCERTO E ‘ RICOMPLETATO 1945

Terminò la guerra e appena fu possibile muoversi il curato Monti interessò i tecnici per ispezionare il campanile e verificarne lo stato di conservazione. L’accertamento produsse l’abbattimento di tutta la parete sopra gli archi risultata marcia e pericolante e, a cura dell’impresa Redaelli di Arcore, venne ricostruita interamente. Altro spettacolo nuovo per gli arcoresi il vedere il campanile ingabbiato e i garzoni esibirsi in spettacoli di equilibrismo spinto. Nel mese di settembre i rifacimenti erano ormai giunti al termine e la ditta Filippi di Chiari poté iniziare il suo intervento per la sistemazione del castello e la posa in opera delle campane. A ottobre il lavoro era fatto; le campane ricollocate al loro posto e il concerto di nuovo completo venne suonato sino a che i campanari, diretti da Ambrogio Brigatti (Busin), ebbero le braccia fuori servizio.Tra il 1949 e il 1950 la ditta “Giovanni Bestetti e Figli” di Arcore eseguì alcuni interventi di riparazione e consolidamento ai meccanismi e rifece ex novo il battente della terza campana. La spesa totale dell’intervento fu di £. 31.350

RIFACIMENTO DEL CASTELLO

Il parroco Monti nel 1953, a seguito dei risultati di una ispezione che aveva trovato il castello in condizioni disastrose, chiese il preventivo per il rifacimento alla ditta Filippi di Chiari. Il preventivo porta la data 25 settembre e importa £ 1.724.000. Il lavoro venne eseguito nella primavera del 1954.

Preventivo per un castello delle campane in ferro e ghisa

Fu rifatto il castello, le ruote, le molle di rimbalzo, il gioco a festa, con tutti i lavori accessori necessari. Risultò una spesa totale di 1.831.150 lire, che si terminarono di pagare nel 1956

SI AUTOMATIZZANO CAMPANE E OROLOGIO
L’antico meccanismo che regolava l’orologio del campanile, andato in pensione negli anni Settanta del Novecento

Nel 1973, il 29 ottobre il parroco, è Don Carlo Giussani, succeduto a Monti nel 1960, col Consiglio parrocchiale, informano il Comune che a seguito delle dimissioni del sacrestano Romanato non si è più in grado di garantire il servizio di ricarica dell’orologio (occorreva, due volte al giorno, risalire il campanile fino al piano del congegno e mediante una manovella rialzare i pesi, circa 60 kili) e che è loro intenzione automatizzare sia il suono delle campane che il funzionamento dell’orologio, a tal proposito si chiede un contributo per la realizzazione degli aggiornamenti.

Il conto finale relativo alle spese per il nuovo movimento delle campane e per l’orologio elettronico

Il preventivo della ditta De Antoni di Chiari è di lire 3.250.000. Viene inviata copia al Comune che in data 6 maggio 1974 informa di aver provveduto ad assegnare uno stanziamento di £ 3.000.000 e che saranno messi a disposizione nell’agosto del 74. La ditta De Antoni terminò la installazione in giugno, il costo totale fu di 4.161.000 lire, il debito fu saldato nel settembre del 77.

IN VISTA DEI RESTAURI DEL 1993

Parla di campanile malato, don Luigi Gaiani, il nuovo parroco che ha sostituito don Carlo nel 1991 e scrive: “Il nostro campanile è malato. Gravemente ammalato. Lo si vede. È un poco come “La fontana malata” di Palazzeschi: te la ricordi la poesia che si studiava a scuola …gemito della fontana che emette gli ultimi gettiti di acqua.. È morta! Lo si vede bene che il nostro campanile è ammalato: all’esterno per via di quel degrado crescente: i colori, le slabbrature dei manufatti lassù in alto, gli sgoccioli d’ogni dove che ne offendono la dignitosa grandezza… Le nostre campane suonano bene, hanno un suono molto bello, unico nella zona: quando le senti battere a festa sussulti come in quei sabati per i concerti del nuovo organo di Sant’Eustorgio. Il Campanone! Trentasei quintali… quando batte da solo a distesa. Ti fermi a coglierne i rintocchi grandiosi che ti scendono in cuore. Queste campane hanno centocinquant’anni, hanno segnato tutta la storia di questo paese, della chiesa milanese ed universale, della nostra borgata, felice o straziata da guerre e disgrazie. Una vita la campana di un paese. Adesso sono stanche le campane nostre, un concerto bisognoso di intervento urgente.”

I lavori di restauro fervono, anno 1993
STATO DELLE CAMPANE

In vista dei lavori di restauro s’indaga sullo stato dell’opera e sui possibili interventi. Il castello che sostiene le campane, ancorato ai pilastri della cella campanaria, è in profilati di acciaio, raccordati e imbullonati con una certa proprietà nel disegno e nella statica dei nodi. La struttura, con qualche modifica e rinforzo, viene giudicata idonea. Quadro elettrico e rete di alimentazione sono in pessime condizioni. I motori sono tutti ancora in grado di lavorare ma non è possibile valutarne il grado di affidabilità; anche se smontati per una revisione non si avrebbe disponibilità di parti di ricambio. Le campane, tuttavia, con l’apparato che ne accompagna o sorregge il movimento, destano le maggiori preoccupazioni. Desumendo dalle osservazioni delle ditte messe in gara per il restauro, e da una diretta constatazione delle condizioni precarie di appoggi, usura di giunti cinetici, deformazione di ruote, etc., può essere ricostruito un quadro generale sullo stato delle campane e degli interventi necessari che possiamo così riassumere. Le campane risultano prive di treccia, elemento di aggancio ai ceppi, normalmente realizzato nella fusione e inoltre di grande effetto decorativo. Con criterio di economicità, in origine, alla treccia in bronzo erano stati preferiti occhielli in ferro annegati nella fusione. Non più dunque coerenza a livello molecolare ma soltanto tenuta meccanica. Incrinature e addirittura un distacco, presenti alla ricognizione, non devono pertanto stupire. L’isolatore, elemento ammortizzatore tra campana e ceppo è in legno molto usurato sempre per la mancanza delle trecce. La diminuzione di spessore del legno, dovuta all’usura, richiede continui serraggi delle bullonature. Quando ciò non avviene, non avendo rigorosamente programmato la manutenzione, e tenendo in conto le forze notevoli che intervengono allorché le campane sono in movimento per il suono, diviene notevole l’usura e il pericolo di eventi ancor più importanti. Anche la maniglia, cui viene agganciato il battente, non è parte integrante della campana, ma l’attraversa in un foro appositamente ricavato e va ad agganciarsi direttamente al ceppo. L’isolatore viene così escluso dal sistema e ne viene ridotta drasticamente l’efficienza. Vi è inoltre l’obbligo di legare con corde di sicurezza non solo il battente ma anche la maniglia. I ceppi, manufatti un tempo in legno armato con regge di ferro, ora in fusione di ghisa, risultano essere non perfettamente calibrati nei pesi e mancanti di alcuni pomoli, anch’essi elementi insieme decorativi ed utili alla distribuzione delle masse; allo stato attuale non sono in grado di bilanciare perfettamente, durante la rotazione, il peso delle campane. I perni di rotazione dei ceppi, letteralmente torniti dagli squilibri sopra descritti, risultano essere anche troppo corti e pertanto, in caso di fuoriuscita, a nulla servirebbe il labbro paracadute appositamente ricavato nei supporti. Altre disfunzioni minori che affliggono il concerto verranno eliminate con provvedimenti che di poco superano l’ordinaria manutenzione.

INTERVENTO PER LE CAMPANE

Il piano di restauro prevede dunque un intervento con autogrù di grande portata, per rimuovere le campane e calarle sui mezzi che le trasporteranno in officina. Farà seguito lo smontaggio completo di ruote e ceppi e la selezione e lo scarto dei pezzi difettosi o semplicemente sospettati di inaffidabilità. Ceppi e campane saranno sabbiati e opportunamente trattati rispettivamente con smalti e vernici protettive. Verranno forgiati nuovi perni, nuova bulloneria con occhielli per il fissaggio, piastre interne alla campana e di supporto agli isolatori, maniglie e battenti nuovi. L’isolatore sarà sagomato in bachelite, per assicurare prestazioni e durata migliori del legno. Il nuovo assemblaggio, così detto “inceppamento”, sarà così concepito: piastra interna alla campana per migliore distribuzione delle forze, maniglia passante bloccata sulla piastra, piastra esterna di supporto all’isolatore in bachelite, bachelite, serraggio di tutti i bulloni sui ceppi, revisione dei pesi sui ceppi e montaggio dei pomoli mancanti. Saranno poi costruite nuove ruote di diametro meglio proporzionato alle dimensioni delle campane inceppate ed anch’esse sottoposte a verniciatura.

Interno della ditta dei fratelli Pagani ai Castelli di Calepio. Le campane e i nuovi meccanismi per il loro movimento, durante il restauro

I battenti risulteranno montati e assicurati alla maniglia con fasce di cuoio avvolte su cuscino di legno. Il concerto sarà posizionato su un castello provvisorio, per essere provato ed equilibrato. Nel frattempo nella cella campanaria saranno rimossi i vecchi motori, montati i nuovi supporti, i rinforzi ritenuti necessari e le nuove molle di rimbalzo. Alla data prestabilita le campane verranno sollevate al piano della cella campanaria, rimontate sul loro castello e collegate ai sei nuovi motori. Verranno montati sei nuovi martelli elettromagnetici, il quadro di distribuzione e controllo di ciascuna campana ed il quadro generale computerizzato che assicurerà automatismo e memorizzazione di tutti i suoni che si vorranno impostare.

Le campane vengono affidate alla ditta F.lli Pagani di Castelli Calepio (BG): un’antica azienda specializzata; in attività dal 1523 come “inceppatori di campane”, ancora oggi attivi

IL CAMPANILE

L’altezza al pavimento della cella campanaria è di m. 28,80; la totale, croce compresa, è di m. 43,35; il lato di base è di m. 4,20. E’ elemento architettonico semplice, appena più curato delle navate laterali. Tutto intonaco e con cementi decorativi. Non la pregevole graniglia di marmo della facciata principale. La pietra è stata usata ma come elemento strutturale: ciottoli nella muratura, blocchi sagomati come basamento della cella campanaria, lastroni per la formazione di piattabande. Sulle aperture piccole, ma largamente strombate, il carico viene deviato da ogive in mattoni. Ad un terzo circa dell’altezza la muratura si rastrema all’interno. Lesene di spigolo interrotte da fasce orizzontali segnate da un semplice rilievo determinano campiture ribassate, l’ultima delle quali, quadrata, ospita l’orologio. Un cornicione, un basamento e le lesene divengono pilastri della rustica crociera che copre la cella. Ancora un cornicione prima di una copertura ottagonale che forma un vano ulteriore, sovrastante la cella, ove sono alloggiate travi in legno servite spesso per montare e smontare le campane. L’ottagono è sormontato da otto volute appoggiate una all’altra e tenute da un mozzo in pietra che a sua volta sostiene un globo in rame e la croce.

La sfera di rame che sovrasta il campanile

Nei vuoti lasciati dall’ottagono si collocano, su appositi dadi, quattro lucerne con la fiamma irriconoscibile per l’erosione subita.

Intervento per il campanile

Con il Comune di Arcore si concorda la data di inizio lavori perché vi sia coincidenza con i lavori di sistemazione del tratto di Via Umberto I che fiancheggia la Chiesa. I due cantieri possono convivere e meglio operare con la via totalmente chiusa al traffico. Viene montato il ponteggio e finalmente è possibile un’ispezione accurata di tutto l’edificio. E’ una diffusione generale di ferri di armatura scoperti, di parti distaccate o in fase di distacco di blocchi di peso anche considerevole, di soliti chiodi ovunque piantati, di canali occlusi, di forme erose e irrecuperabili, di rigonfiamenti di intonaco.

La croce che conclude le decorazioni superiori del campanile

Nella cella campanaria ed in quella superiore, lasciata imprudentemente accessibile, è stata devastante la permanenza dei piccioni. Ci vorrà del tempo perché le pareti in mattoni, impregnate di materiale organico, si asciughino. La scala interna rozzamente costruita con tavolame e ramaglie deve essere praticata con molta prudenza. L’orologio è in ferro con numeri arabi neri incollati su fondo bianco in plexiglas. L’infelice apparato lascia intravedere alcuni tratti del vecchio orologio dipinto direttamente sull’intonaco.

Il campanile prima dei restauri degli anni ’90

Come prima operazione viene rimossa una enorme quantità di materiale organico dovuto alla presenza dei piccioni. Vengono saggiati gli intonaci e rimossi quelli ammalorati. Vengono distaccate le parti pericolanti riportando alla luce i ferri di armatura. Vengono rimossi tutti i chiodi e ferri vari. Si procede all’idrolavaggio e leggera sabbiatura di tutti i cementi decorativi. La ditta fornitrice delle vernici provvede all’analisi ed alla ricomposizione del conglomerato che occorre per i ripristini delle parti mancanti dei cementi decorativi. Si applicano nuovi intonaci. Viene sabbiato e verniciato con smalto il castello delle campane. Nel vano che sovrasta la cella campanaria vengono murate due putrelle incrociate che serviranno per il montaggio delle campane. Tutti i fori, nonché le aperture di ispezione, vengono chiusi con grigliati che permettono la ventilazione ma non l’insediamento di volatili.

La struttura all’interno del campanile che compone la precaria scala che conduce sino alla cima

Procedendo dall’alto inizia l’opera di finitura. Lucidatura e protezione di globo in rame e croce. Velatura di protezione di decorazioni e fregi. Tinteggiatura della volta della cella campanaria nel colore già voluto per il portico della chiesa. Tinteggiatura di lesene e campiture con prodotti a base di silicati. Posa di griglie in rame nelle feritoie. Ripristino di canaletti, scarichi e gocciolatoi. Viene rimosso il vecchio quadrante dell’orologio e preparato il fondo per dipingervi il nuovo. Le feritoie attraversate dagli alberini di trasmissione del moto alle lance vengono rettificate e ingrandite in senso verticale per dotare l’orologio di un sistema di illuminazione retrattile per la manutenzione. L’orologio avrà numeri romani, lance rimodellate e decori floreali diversi per ogni lato. Viene inoltre predisposto l’impianto di soffusa illuminazione per la cella campanaria e la cuspide.

Il giorno dello smontaggio delle campane

Un manipolo di persone si è raccolto intorno al campanile. Ecclesiastici, tecnici anche del Comune, maestranze e semplici cittadini si sono adoperati per la buona riuscita dell’opera. E’ stato fittissimo, lucido ed intelligente l’intreccio di informazioni, interrogativi, indagini e prudenti critiche. Si sono delineate mappe più precise delle rispettive competenze e ciò fa bene sperare per i cimenti che ancora la Chiesa ci riserva. Iniziano i lavori.

Ha inizio lo smontaggio delle campane

Si abbassano le campane e si impacchetta il campanile a disegnare una nuova singolare struttura e una giornata di vento consente agli arcoresi di godere di un happening artistico di grande valore dinamico! È un avvenimento unico ed irripetibile per queste nostre generazioni

Le campane hanno fatto il loro ritorno sono pronte per essere ricollocate
LE NOSTRE CAMPANE caratteristiche del concerto
campanaalt. cm.peso kg.ø mm.tonalità
1a77492 (665)1020Fa diesis (sol b)
2a84660 (665)1120MI
3a93904 (905)1250RE
4a1001128 (1130)1340DO diesis (re b)
5a1071483 (1480)1480SI
6a1232220 (2228,5)1680LA
NOTA: il peso è il puro bronzo, sono esclusi ceppi e contrappesi; fra parentesi è indicato il peso riscontrato in fonderia nel 1858
Cinque delle sei campane che compongono il concerto di S. Eustorgio
DEDICHE ISCRIZIONI FREGI e FIGURE

Ognuna delle campane ha decorazioni originali, che comprendono come vedremo, soggetti puramente religiosi a cui si aggiungono altre rappresentazioni, che rimandano alla mitologia, lasciando trasparire elementi pagani, seppur velatamente.

PRIMA CAMPANA
  • Un viso femminile contornato di fronde, ripetuto 6 volte sulla corona di raccordo della parte alta; una mano con l’indice puntato indica l’inizio della iscrizione dedicatoria: “VOX DOMINI IN VIRTUTE, VOX UNI IN MAGNIFICENTIA” (La voce del Signore nella forza, la voce del Signore nella magnificenza). Nella sequenza sopra proposta, tale figura non è documentata a differenza delle formelle successive.
  • Due putti con gambe caprine e con una tromba in bocca, contrapposti di schiena – ripetuto 6 volte. (Ad evocare probabilmente la figura del satiro)
  • Figura femminile su una carrozza a forma di conchiglia la cui parte posteriore ha forma di cigno, trainata da due cavalli – ripetuto 10 volte (Gli attributi della conchiglia e del cigno rimandano a Venere)

Figure poste su un altare, lungo la parete della campana

  • Crocefissione con due figure in piedi ed una inginocchiata.
  • Angelo custode con bambino.
  • Figura maschile in abito papale con piviale, reca con la sinistra un pastorale che ha la parte terminale a forma di tre croci sovrapposte, con la destra indica il cielo, in testa ha il “triregno” (probabile papa Gregorio Magno)
  • Madonna incoronata con bambino in braccio sorretta da una nube con un cherubino: Madonna del Carmine.
  • Figura di santo con una palma nella sinistra e un libro nella destra, ai piedi un sasso: S. Stefano.
  • Figura di santa in abito monacale, con la destra regge un cuore fiammeggiante: S.Margherita Maria Alacoque
  • Nella parte bassa, sotto la crocefissione, vi è il marchio del fonditore: due putti alati che reggono una campana e sotto F.LLI BARIGOZZI – più volte premiati – MILANO 1858.
SECONDA CAMPANA
  • Un viso femminile identico e nella stessa posizione della prima campana. Una mano con l’indice puntato indica l’inizio della iscrizione dedicatoria: “AD ANNUNZIANDAM MANE MISERI CORDIAM TUAM ET VERITATEM TUAM PER NOCTEM” (per annunciare il mattino la tua misericordia e la notte la tua verità).
  • Due ippogrifi (figura di leone alato con testa di aquila) contrapposti di fronte ad un altare dei profumi – ripetuto 6 volte.
  • Figura alata che rema su una barca con la prua a forma di cigno, a poppa giace semi-sdraiato con un gomito appoggiato al bordo una figura maschile barbuta, il motivo è ripetuto 9 volte.
    figure poste su un altare, lungo la parete centrale
    • Crocefissione idem come nella prima campana.
    • Figura di santa a braccia incrociate sul petto con fiori in mano. (Santa Caterina da Siena?)
    • Figura di santa, reca nella mano sinistra una torre e nella destra una palma. (Santa Barbara?)
    • S. Rocco: rappresentato col bastone ed il cappello da pellegrino e col cane ai piedi.
    • Madonna con bambino in braccio e corona nella destra: Madonna del Rosario.
    • Figura di santo, reca nella destra un coltello e nella sinistra una palma.
    • S. Pietro Martire.
    • Sulla parte bassa, sotto la crocefissione vi è il marchio della fonderia identico alla prima campana.
TERZA CAMPANA
  • Un viso giovanile simile ai precedenti che si differenzia per i diversi particolari sopra la testa, a ricordare la figura mitologica di medusa, medesima collocazione della prima e seconda campana.
  • Una mano con l’indice puntato indica l’inizio della iscrizione dedicatoria: “VOCATE CIETUM CONGREGATE POPULUM IN DOMUM VESTRI” (chiamate la gente riunite il popolo nella vostra casa).
  • Fregio: sopra una lancia, posta in orizzontale e con al centro una maschera, vi è un intreccio di armi, fronde e coppe – ripetute 6 volte.
  • Due leoni contrapposti di schiena ad un medaglione con una testa barbuta posta di profilo, il tutto in un intreccio a volute di fronde – ripetute 8 volte.

Figure su altare lungo la parte centrale:

  • Crocefissione idem come nelle prime due campane.
  • Francescano inginocchiato con un libro aperto appoggiato all’inginocchiatoio, ha la sinistra levata e la destra appoggiata al cuore, lo sguardo è rivolto ad un ovale di fronde che contiene un crocefisso e un cuore fiammeggiante: San Francesco.
  • Annunciazione.
  • S. Luigi, nelle mani tiene un crocefisso.
  • S. Lorenzo, nella sinistra tiene la graticola e nella destra la palma.
  • Figura maschile vestito da prelato che tiene in mano sinistra un crocefisso e la destra aperta sul cuore: S. Giovanni Berchmans.
  • Marchio della fonderia sempre come nelle prime due campane
QUARTA CAMPANA
  • Viso maschile barbuto circondato da fronde e chiome ripetuto 6 volte, collocazione identica alle precedenti.
  • Una mano con l’indice puntato indica l’inizio della iscrizione dedicatoria: “DEFUNCTOS PLORO PESTEM FUGO, FESTA DECORO” (Piango i defunti, allontano la peste, onoro le feste).
  • Fregio floreale ripetuto 6 volte.
  • Due cigni contrapposti ad una fontana con sviluppo di fregi frondosi, ripetuto 8 volte

figure lungo la parte centrale:

  • Crocefissione idem come altre campane
  • S. Antonio abate.
  • S. Rainaldo.
  • Madonna addolorata.
  • S. Anna – Nascita della vergine.
  • Figura di santo con nella sinistra una spada tenuta dietro al corpo e nella destra una palma: S. Paolo.
  • Marchio fonderia sotto la crocefissione
QUINTA CAMPANA
  • Viso giovanile simile a quello della 3a, ripetuto 6 volte.
  • Una mano con l’indice puntato indica l’inizio della iscrizione dedicatoria: “LAUDO DEUM VERUM VOCO CON GREGO CLERUM” (Lodo il Dio vero chiamò e raduno il clero).
  • Due sfingi (corpo di leone testa di donna) contrapposte di schiena ad una coppa colma di frutta – ripetuto 6 volte.
  • Fregio di fronde e fiori con un putto – ripetuto 8 volte;

lungo la parte centrale, figure poste su un altare e con un velarlo sostenuto da angeli:

  • Crocefissione.
  • S. Antonio da Padova.
  • S. Sebastiano.
  • Madonna sopra una falce di luna che schiaccia un serpente: Immacolata.
  • S. Giovanni Battista.
  • S. Giuseppe.
  • Il marchio della fonderia è sotto il crocefisso
SESTA CAMPANA
  • Viso barbuto simile alla 4a campana – ripetuto 6 volte.
  • Una mano con l’indice puntato indica l’inizio della iscrizione dedicatoria: D.O.M. AC MARIE VIRGINI, NEC NON S.EUSTORGIO PATRONO A FULGURA ET TEMPESTATE LIBERA NOS DOMINE” (A Dio ottimo e massimo e Maria Vergine e a S. Eustorgio il patrono dai fulmini e dalla tempesta liberaci o Signore).
  • Fregio a forma di vaso colmo di fiori – ripetuto 6 volte.
  • Due aquile contrapposte di fronte a un bastone sul quale è avvolta una serpe, inserito in fregi di fronde – ripetuto 8 volte.

figure su altare e velario come per la 5a campana

  • Crocefissione con due figure ai lati.
  • Santo con barba, in mano sinistra un libro, nella destra una penna, rocchetto e croce al collo: S. Benedetto.
  • Figura maschile con ampia barba, regge una spada nell’incavo del braccio sinistro piegato, con la destra indica il cielo.
  • Madonna con Bambino Gesù in braccio e S. Giovannino.
  • S. Pietro con le chiavi in mano.
  • Figura di alto prelato con pastorale e mitra: S. Eustorgio.
  • Sotto la crocefissione, il marchio della fonderia.
  • Sotto la Madonna: “ANNO D.NI MDCCCLVIII – RECTORE JOSEPHO BRAMBILLA” (anno del Signore 1858- rettore parroco Giuseppe Brambilla
STORIA DELL’OROLOGIO DEL CAMPANILE

Sul campanile della chiesa esistente nel 1731, come risulta dallo “Stato reale della parrocchia”, compilato alla morte del curato Tagliasacco, (…la chiesa ha il suo campanile con tre campane e il suo orologio), vi era un orologio ma.., sullo schizzo disegnato dal Tagliasacco l’orologio non si vede, come mai?. Fatta un pò di ricerca si trova: “… Nel secolo XIV° vennero costruiti i Primi orologi pubblici che inizialmente non avevano il disco orario visibile: i cittadini erano avvisati del trascorrere delle ore dai tocchi battuti su una campana posta sulla sommità della torre…”. Svelato il mistero… a meno che Tagliasacco avesse dimenticato l’orologio nell’elaborazione dello schizzo. Sul campanile della nuova chiesa, terminata nei primi anni del 1800, a livello del piano delle campane, con disco volto sui lati est e ovest, si pose un orologio rotondo con cifre romane. Il suo meccanismo si può ancora vedere presso la casa parrocchiale.

L’orologio del campanile, nel corso dei tempi

Era azionato a pesi e la ricarica consisteva appunto nel risollevare i pesi (60 kg. circa) con una manovella; (operazione da ripetere due volte al giorno). Questo orologio scandì il tempo nostro e dei nostri avi con alterne fortune (rammentiamo una lunga diatriba tra Magistrelli e l’autorità comunale riguardante la competenza economica per la riparazione) fino al 1945 epoca in cui il disco rotondo passò alla demolizione e utilizzando il vecchio meccanismo si abbassò il quadrante dipingendolo sul muro di tutti e quattro i lati dei frontoni sotto la cella campanaria, questa volta con cifre arabe

Pierantonio Verga al lavoro sulle impalcature, per dipingere i quadranti dell’orologio

Nel 1973, come è già stato detto, si mandò in pensione il vecchio meccanismo, si rinnovò il quadrante e venne installato un orologio a movimento elettrico. Infine con l’intervento di restauro del 1993, il volto dell’orologio assunse una più importante connotazione. L’artista Pierantonio Verga realizzò dei nuovi quadranti dipinti con motivi floreali che rimandano alle stagioni, il meccanismo tuttavia restò immutato.

Di seguito le riprese di alcuni particolari del lavoro del Verga, durante l’esecuzione dei quadranti dell’orologio.

CRONACA DELL’EPOCA

I ricordi dell’epoca parlano di un consiglio parrocchiale straordinario dedicato alla formulazione del programma per la ricollocazione delle campane. Attraverso la fotocronaca dell’epoca ricostruiamo quei momenti. Per sommi capi si ricorda la pubblicazione della storia di Campanile e campane, che ci ha condotto finora, poi la decorazione della piazza e delle campane con paramenti, l’esposizione dell’antico congegno dell’orologio; una mini mostra sui campanili del circondario (foto di Gilberto Bartolomeo), poi le immagini ci conducono alla cerimonia serale con la convocazione del popolo e inviti alle autorità; discorso con brevi accenni al senso sacro del suono delle campane e sintesi del lavoro svolto; preghiera e benedizione alle campane e al popolo, come previsto dalla liturgia; a seguire, a cura dei Campanari bergamaschi, un concerto di campane di dimensioni ridotte, montate su un mezzo semovente e conclusione con un po’ di rinfresco allestito in piazza.

Concludiamo dunque nel proporre lo scritto di Pierantonio Verga, che nella sua veste di artista, e probabilmente tale attributo risulta riduttivo, ha realizzato in quel 1993, le decorazioni dei quadranti dell’orologio. “Un suono per risplendere” era il titolo dello scritto che abbiamo proposto all’inizio del post, solo ora come dicevamo, l’inedito del Verga trova visibilità pubblica.